Formazione alla sicurezza 5: si può valutarne la qualità?

Concludo con questo post la pubblicazione dell’intervista che ho realizzato qualche mese fa per il giornale PuntoSicuro a tre degli estensori di un documento della Consulta Interassociativa Italiana per la Prevenzione (CIIP): Giancarlo Bianchi (Presidente della Consulta CIIP e dell’associazione AIAS), Norberto Canciani (Vice Presidente di CIIP e Segretario dell’associazione Ambiente e Lavoro) e Arnaldo Zaffanella (Vice Presidente di AIAS e coordinatore del gruppo di lavoro della CIIP sulla formazione).

È stata una lunga intervista divisa in tre parti – questa di oggi è la terza parte – che affronta una delle probabili cause che rendono spesso vana qualunque strategia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: la scarsa qualità di alcuni dei percorsi formativi, in materia di sicurezza, proposti nelle aziende ai lavoratori.

Una scarsa qualità che potrebbe essere alla base del ritorno di fiamma degli infortuni mortali denunciati all’Inail che nel 2015, secondo alcuni dati recentemente forniti dall’Inail, sarebbero aumentati del 16% rispetto al 2014.

E le aziende? Non sono le aziende che dovrebbero cogliere, al di là dei concetti di qualità – in parte raccontati nella terza parte dell’intervista – l’efficacia o meno di quanto erogato?

Non sono loro a poter confrontare gli indici infortunistici? Non sono loro a verificare il gradimento o l’opinione dei lavoratori? Non sarebbero proprio loro – dirigenti e datori di lavoro – ad avere il vero interesse che quanto si è speso per formare abbia un effettivo ritorno?

Purtroppo spesso questo non accade.

 

Veniamo dunque alla terza e ultima parte dell’intervista che si sofferma in particolare su due temi: la valutazione di efficacia della formazione alla sicurezza con gli “indicatori di performance” (KPI – Key Performance Indicator) e la qualificazione dei formatori.

Riporto, come sempre, una parziale trascrizione dell’intervista, come pubblicata su PuntoSicuro lo scorso 29 gennaio con l’articolo “Formatori: indicatori di performance e qualificazione”.

Link alla prima parte dell’intervista.

Link alla seconda parte dell’intervista.

 

Una vostra proposta riguarda gli “Indicatori di performance” dei processi di formazione professionale con cui misurare confrontare i percorsi formativi erogati. Cosa sono questi indicatori?

Arnaldo Zaffanella: Bisogna misurare. Se c’è qualcosa da valutare, occorre un sistema di misura. (…). La formazione è un processo di crescita e quindi necessariamente parte da un livello. E dunque, prima di far formazione, bisogna misurare a che livello siamo e poi misurare di nuovo dopo la formazione. Si dovrebbe trovare una differenza tra prima e dopo l’erogazione della formazione…. Ma non basta. Perché un conto è quello che uno ha appreso e un conto è quello che poi uno fa nella realtà. E quindi ci deve essere una misura anche una volta che il lavoratore rientra nel proprio luogo di lavoro. Sono tanti i lavoratori che ritengono di aver fatto un bel corso di formazione, ma poi, tornati in azienda, tornano alle vecchie abitudini. Ed è questo che dicono, le norme, gli schemi internazionali,… È chiaro che parlando di sicurezza e di prevenzione, un tema che riguarda tutte le professioni e tutte le attività umane, che non ci possono essere pochi indicatori che vadano bene per tutto. Bisogna vedere di cosa parliamo. Siamo su una nave? Siamo in un cantiere? Siamo in un ospedale? Siamo in un campo?

È logico che gli indicatori di performance, gli indicatori di qualità, devono essere definiti caso per caso. E gli strumenti di misura devono essere indicati subito, all’inizio del processo. Io progetto un percorso formativo. Bene, ma come lo misuro? Lo diciamo subito, così da saper cosa misurare e vedere se è stato raggiunto il risultato. (…)

Riguardo a tali indicatori ci sono già esperienze, indicazioni e esempi? E non ci sono difficoltà valutative anche con gli indicatori di performance? Quali sono le criticità di questi indicatori? Come applicarli?

Arnaldo Zaffanella: (…) Io direi innanzitutto che prima bisogna vedere da che punto si parte. Quali sono le conoscenze… Poi c’è anche il livello di esperienza. Siamo di fronte ad una persona che ha già svolto delle esperienze, magari incomplete, o non ne ha? Qual è la sua sua capacità di mettere insieme, di coniugare le esperienze acquisite?

Insomma ci sono dei processi di valutazione iniziali che ci consentono di avere in quadro della situazione di partenza. (…) Dunque i KPI (i Key Performance Indicators, indicatori di performance, ndr) li definiamo in sede di progetto, in sede di analisi del fabbisogno… (…). Questo modo di procedere, che potrebbe essere definito caso per caso, è un modo che sottolinea l’importanza della progettazione del percorso formativo, un percorso formativo che nasca da un’analisi dei bisogni.

La formazione non è un processo generale, è personale. Quando, ad esempio, si valuta la formazione da parte del giudice, non si guarda alla formazione generale, si guarda alla formazione della persona. Se era adeguata o meno.

La formazione dell’adulto, non è come quella dei bambini che a scuola hanno tutti la stessa età, magari fanno lo stesso percorso e arrivano da una stessa classe.

Quando si va in un’azienda e si mettono insieme più operatori, il contesto è estremamente vario e i fabbisogni sono estremamente diversi. E i percorsi possono essere sufficienti per qualcuno e non per altri. (…)

Nel vostro documento voi chiedete anche di migliorare i criteri di verifica della “Qualificazione dei Formatori”. Cosa non va oggi nella normativa sulla qualificazione dei formatori? I criteri proposti a vostro parere come potrebbero essere cambiati? Quali sono i riferimenti europei?

Giancarlo Bianchi: Per fare una formazione efficace bisogna avere formatori qualificati. Ma in che senso qualificati? Utilizziamo, da questo punto di vista, le nuove direttive europee che incominciano a precisare innanzitutto il linguaggio comune. Perché se non distinguiamo con precisione cosa vuol dire “conoscenza”, “abilità” e “competenza” in un ambito armonizzato europeo, poi quando parliamo o andiamo a far lezione, non ci capiamo.

Quindi la prima cosa è l’uniformità di linguaggio con definizioni europee portate a livello italiano. Sapendo con precisione che conoscenze, che competenze e che abilità deve avere un formatore, gli si fa fare un percorso di qualificazione formale, con esami finali, in modo che si riesca a creare  un elenco di formatori qualificati. (…) E poi i formatori devono essere valutati dagli allievi sulle capacità reale di tenere l’aula, di utilizzare una didattica attiva con strumenti attivi, diversi dal passato. Sto parlando ad esempio del BIM (Building Information Modeling, ndr), dell’uso dei personal computer e dei tablet, …

L’aula può essere tenuta in modo molto più proattivo e molto più attivo, utilizzando le nuove tecniche e metodologie. Si può arrivare ad un elenco di soggetti qualificati e verificati costantemente, che poi vengono inseriti – secondo il decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13 – in un associazione professionale dei formatori, la quale ha l’obbligo, nei confronti dei committenti, di garantire che i formatori siano soggetti qualificati secondi e terzi (qualificati da soggetti secondi e soggetti terzi, secondo quanto contenuto nella Legge 4/2013, ndr) e non autocertificati. E in più i formatori devono fare una formazione permanente. In questo modo si danno garanzie agli utenti e committenti che questi siano soggetti in grado di fare una formazione efficace.

Nel passato la CIIP è riuscita a incidere sulle scelte del legislatore in materia di tutela della salute e sicurezza? Ad Come far conoscere e presentare le proposte in materia di prevenzione?

Norberto Canciani: (…) La CIIP in questi anni ha avuto una buona capacità propositiva agendo indirettamente, cioè agendo sui soggetti decisionali. Ad esempio siamo stati utili bloccando alcune situazioni, come nel caso della modifica dell’Accordo Stato-Regioni sulla formazione degli RSPP. Su questo decreto noi abbiamo premuto affinché la Commissione Consultiva non approvasse un documento che, secondo noi, era carente sotto tanti punti di vista. Però la CIIP riesce a incidere indirettamente nel momento in cui ha degli interlocutori che stanno ad ascoltare quello che dice. (…) Forse è arrivato il momento di esserci. (…)

E’ stata riformulata la composizione della Commissione Consultiva, che ha un ruolo importante, (…) e forse è arrivato il momento che ci siano anche delle competenze tecnico-scientifiche. Noi abbiamo chiesto di esserci. Abbiamo chiesto che ci sia una rappresentanza delle associazioni tecnico-scientifiche, culturali e professionali. E’ arrivato il momento di aver un luogo dove andare a presentare delle proposte in modo ufficiale. (…)

Insomma in definitiva potremmo dire che non solo è necessario un miglioramento della qualità dell’offerta formativa in Italia, ma anche che necessitano strumenti per conoscere, al di là del modello formativo scelto, l’efficacia della formazione erogata…

Arnaldo Zaffanella: Queste conclusioni sono giuste. Non c’è una formazione buona e una formazione cattiva. La formazione è un processo di evoluzione individuale, è quasi un “prodotto artigianale (…). Ci vuole un processo di personalizzazione e ci vuole poi un processo di verifica…

Link all’articolo di PuntoSicuro “Formatori: indicatori di performance e qualificazione” 

Link alla prima parte dell’intervista.

Link alla seconda parte dell’intervista.