Una raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. La futura norma UNI e gli ambienti assimilabili agli spazi confinati. Intervista a Paolo De Santis della Contarp Inail.
Sono ancora troppi gli infortuni che avvengono nei cosiddetti ambienti sospetti di inquinamento o confinati. A titolo esemplificativo tra il 2002 e il 2014 si registrano in Italia circa 69 incidenti che hanno comportato 90 morti. E sono comunque molti gli infortuni mortali plurimi dal 2014 ad oggi, ad esempio con riferimento all’incidente plurimo (quattro morti) avvenuto in provincia di Pavia nel 2019.
Proprio partendo da questi dati e dalla necessità di migliorare la prevenzione a partire dalla conoscenza e dallo studio degli infortuni che avvengono in questi particolari ambienti, concludo il viaggio attraverso i rischi negli spazi confinati con un post, il quarto, che raccoglie un’intervista da me realizzata durante la manifestazione “Ambiente Lavoro” del 2019 e pubblicata sul giornale online PuntoSicuro (Spazi confinati: gli infortuni, le criticità e la futura norma UNI).
L’intervista è a Paolo De Santis (Inail – Contarp Lazio), relatore al workshop Inail “Ambienti Confinati e infortuni mortali: analisi delle criticità e proposte di soluzioni”, che si è soffermato proprio sulle criticità rilevate negli infortuni in questi ambienti.
L’intervista, realizzata il 17 ottobre 2019 e di cui riporto il video e una parziale sbobinatura, ci permette di avere anche informazioni su una futura norma UNI in materia di ambienti confinati.
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Entriamo nel dettaglio degli infortuni che avvengono ogni anno negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, con particolare riferimento al plurimo infortunio mortale che è avvenuto in provincia di Pavia a metà settembre…
Paolo De Santis: In particolare quest’ultimo incidente ha la caratteristica di raccogliere un po’ tutte quelle criticità che possono essere elencate.
Intanto osserviamo che, a 11 anni dalla pubblicazione del decreto 81/2008, ancora si muore negli spazi confinati. Nel frattempo c’è stato il DPR 177/2011, ci sono state decine di buone prassi, linee guida, … Ma il problema che questo particolare incidente indica è che la normativa, le buone prassi, ecc. molto spesso non arrivano alla piccola e piccolissima azienda.
Cosa è successo?
Dalle ricostruzioni dei giornali si capisce che un lavoratore si è sentito male al bordo di una vasca di liquami. È caduto nella vasca, è annegato e gli altri tre, di cui due datori di lavoro, hanno cercato di estrarlo ma, ovviamente nelle stesse condizioni, sono morti anche loro annegati.
Io analizzando questo incidente sono rimasto abbastanza sconcertato dal fatto che questa particolare tipologia di ambiente, quella delle vasche dei liquami, è analizzata addirittura dal 1978. Molti esperti (…) sulla base proprio dell’indagine approfondita su decine e decine di incidenti, hanno pubblicato articoli, fatto incontri, convegni, dato anche proprio delle misure preventive, tecniche, molto pratiche… Sappiamo, per esempio, che un’adeguata correzione del pH può diminuire questo rischio. Il problema è come arrivare alla piccola e piccolissima azienda: ecco, credo, che questo sia il nostro obiettivo per il futuro.
Che altra tipologia di infortuni avvengono negli ambienti a cui fa riferimento il DPR 177? Ci sono altri incidenti che ci possono fornire insegnamenti e indicazioni per migliorare la prevenzione?
P.D.S.:Sì, e bisognerebbe anche fare una prima distinzione, quella distinzione che stiamo cercando di portare a livello di gruppo UNI tra ambienti che rientrano nella normativa – quindi ambienti confinati o sospetti di inquinamento, secondo le definizioni del decreto 81 e del decreto 177/2011 (…) – e i cosiddetti ambienti assimilabili.
Oggi nel workshop li abbiamo citati. Per esempio, le pale di un impianto eolico, oppure i pozzetti di piscina degli ambienti, che non sono normati, ma che ugualmente possono rappresentare, in determinate condizioni, un rischio mortale.
A livello del gruppo UNI, in cui si spera vedrà la luce la formulazione di una nuova norma specifica sull’argomento, stiamo dando dei criteri di identificazione, comunque di categorie di spazi in cui ci possono essere problemi mortali. Questi spazi si divideranno in due grosse categorie, cioè quelli che finiscono sotto l’attuale vigenza normativa e quelli che, comunque, hanno le medesime caratteristiche di pericolosità e per i quali il datore di lavoro deve, con la propria valutazione del rischio, individuare le misure preventive migliori.
Quali sono i tempi per arrivare alla nuova norma UNI?
P.D.S.:I tempi saranno ancora lunghi, perché è partito da poco il progetto di norma. Ancora non sappiamo se sarà una norma o un Technical report; probabilmente il gruppo è indirizzato più verso la norma.
C’è stata un’ampia discussione proprio per venire a definire le due definizioni di spazio confinato o sospetto di inquinamento e di spazio assimilabile.
Oggi c’è un accordo, che sarà sottoposto ovviamente all’analisi pubblica.
È un primo passo avanti. Spero che, dopo questo primo grosso scoglio, i lavori andranno molto più velocemente. Speriamo che nel corso del prossimo anno vedrà la luce.
Forniamo qualche dato quantitativo relativo agli infortuni e alle tipologie di infortuni…
P.D.S.:Dati di infortuni consolidati possono essere estratti dalla nostra Banca Dati Infor.mo. Quelli consolidati sono riferibili all’intervallo di tempo che va dal 2002 al 2014. In quel periodo abbiamo registrato circa 69 incidenti che hanno comportato 90 morti.
E quindi già si vede, da questo dato, che effettivamente i decessi sono plurimi rispetto agli eventi. Probabilmente è un dato sottostimato perché nell’analisi non sono state compresi gli scavi, che invece, in determinate condizioni, possono essere intesi come ambienti confinati o sospetti di inquinamento.
Veniamo alle principali criticità che avete rilevato…
P.D.S.:La criticità principale, a nostro avviso, è riferibile al fattore umano.
Intanto si osserva che circa il 73% degli infortunati che sono deceduti aveva una grande esperienza di lavoro ben oltre i 3 anni e che la maggior parte – anche qui intorno al 70% – era personale dipendente a tempo indeterminato.
Quindi mai o quasi mai si è trattato di inesperienza. In alcuni casi ci sono state delle persone non assunte, in nero, ma la stragrande maggioranza degli infortuni ha riguardato gente con esperienza. Quindi molto spesso, quando si parla di esperienza, è “dir tutto e dir poco”. A volte l’esperienza, invece, è foriera di cattive abitudini che, purtroppo, si ripetono nel tempo.
E molto spesso, un’altra criticità che abbiamo riscontrato, è che le stesse persone avevano compiuto le stesse operazioni in maniera similare nel tempo, ma, purtroppo, sono cambiati piccoli parametri del processo che non sono stati rilevati, proprio per una carenza di conoscenza e anche di capacità di analisi dei processi stessi. E queste piccole variazioni hanno comportato invece l’instaurarsi di condizioni mortali.
(…)
Secondo lei cosa si può fare per migliorare la prevenzione? Come agire sul fattore umano?
P.D.S.:Bisogna aumentare la percezione del rischio delle persone.
Cosa significa? Intanto il fattore umano non dobbiamo intenderlo come errore della singola persona, ma come eventuale carenza nell’ambito delle organizzazioni che, a volte, sono piccolissime organizzazioni. Infatti molti incidenti hanno coinvolto gli stessi datori di lavoro, che non hanno avuto le capacità di analisi e di valutazione del rischio.
Ecco noi dovremmo cercare di far arrivare, di diffondere questa capacità di analisi del rischio.
(…)
Per altri approfondimenti rimandiamo anche ai post:
- “Spazi confinati 01: le criticità e la definizione mancante”
- “Spazi confinati 02: la sottovalutazione del rischio in edilizia”
- “Spazi confinati 03: un nuovo strumento per la prevenzione”.
Post e intervista a cura di Tiziano Menduto