Spazi confinati 04: conoscere gli infortuni per migliorare la prevenzione

Una raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. La futura norma UNI e gli ambienti assimilabili agli spazi confinati. Intervista a Paolo De Santis della Contarp Inail.

Sono ancora troppi gli infortuni che avvengono nei cosiddetti ambienti sospetti di inquinamento o confinati. A titolo esemplificativo tra il 2002 e il 2014 si registrano in Italia circa 69 incidenti che hanno comportato 90 morti. E sono comunque molti gli infortuni mortali plurimi dal 2014 ad oggi, ad esempio con riferimento all’incidente plurimo (quattro morti) avvenuto in provincia di Pavia nel 2019.

Proprio partendo da questi dati e dalla necessità di migliorare la prevenzione a partire dalla conoscenza e dallo studio degli infortuni che avvengono in questi particolari ambienti, concludo il viaggio attraverso i rischi negli spazi confinati con un post, il quarto, che raccoglie un’intervista da me realizzata durante la manifestazione “Ambiente Lavoro” del 2019 e pubblicata sul giornale online PuntoSicuro (Spazi confinati: gli infortuni, le criticità e la futura norma UNI).

L’intervista è a Paolo De Santis (Inail – Contarp Lazio), relatore al workshop Inail “Ambienti Confinati e infortuni mortali: analisi delle criticità e proposte di soluzioni”, che si è soffermato proprio sulle criticità rilevate negli infortuni in questi ambienti.

L’intervista, realizzata il 17 ottobre 2019 e di cui riporto il video e una parziale sbobinatura, ci permette di avere anche informazioni su una futura norma UNI in materia di ambienti confinati.

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Entriamo nel dettaglio degli infortuni che avvengono ogni anno negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, con particolare riferimento al plurimo infortunio mortale che è avvenuto in provincia di Pavia a metà settembre…

Paolo De Santis: In particolare quest’ultimo incidente ha la caratteristica di raccogliere un po’ tutte quelle criticità che possono essere elencate.

Intanto osserviamo che, a 11 anni dalla pubblicazione del decreto 81/2008, ancora si muore negli spazi confinati. Nel frattempo c’è stato il DPR 177/2011, ci sono state decine di buone prassi, linee guida, … Ma il problema che questo particolare incidente indica è che la normativa, le buone prassi, ecc. molto spesso non arrivano alla piccola e piccolissima azienda.

Cosa è successo?

Dalle ricostruzioni dei giornali si capisce che un lavoratore si è sentito male al bordo di una vasca di liquami. È caduto nella vasca, è annegato e gli altri tre, di cui due datori di lavoro, hanno cercato di estrarlo ma, ovviamente nelle stesse condizioni, sono morti anche loro annegati.

Io analizzando questo incidente sono rimasto abbastanza sconcertato dal fatto che questa particolare tipologia di ambiente, quella delle vasche dei liquami, è analizzata addirittura dal 1978. Molti esperti (…) sulla base proprio dell’indagine approfondita su decine e decine di incidenti, hanno pubblicato articoli, fatto incontri, convegni, dato anche proprio delle misure preventive, tecniche, molto pratiche… Sappiamo, per esempio, che un’adeguata correzione del pH può diminuire questo rischio. Il problema è come arrivare alla piccola e piccolissima azienda: ecco, credo, che questo sia il nostro obiettivo per il futuro.

Che altra tipologia di infortuni avvengono negli ambienti a cui fa riferimento il DPR 177? Ci sono altri incidenti che ci possono fornire insegnamenti e indicazioni per migliorare la prevenzione?

P.D.S.:Sì, e bisognerebbe anche fare una prima distinzione, quella distinzione che stiamo cercando di portare a livello di gruppo UNI tra ambienti che rientrano nella normativa – quindi ambienti confinati o sospetti di inquinamento, secondo le definizioni del decreto 81 e del decreto 177/2011 (…) – e i cosiddetti ambienti assimilabili.

Oggi nel workshop li abbiamo citati. Per esempio, le pale di un impianto eolico, oppure i pozzetti di piscina degli ambienti, che non sono normati, ma che ugualmente possono rappresentare, in determinate condizioni, un rischio mortale.

A livello del gruppo UNI, in cui si spera vedrà la luce la formulazione di una nuova norma specifica sull’argomento, stiamo dando dei criteri di identificazione, comunque di categorie di spazi in cui ci possono essere problemi mortali. Questi spazi si divideranno in due grosse categorie, cioè quelli che finiscono sotto l’attuale vigenza normativa e quelli che, comunque, hanno le medesime caratteristiche di pericolosità e per i quali il datore di lavoro deve, con la propria valutazione del rischio, individuare le misure preventive migliori.

Quali sono i tempi per arrivare alla nuova norma UNI?

P.D.S.:I tempi saranno ancora lunghi, perché è partito da poco il progetto di norma. Ancora non sappiamo se sarà una norma o un Technical report; probabilmente il gruppo è indirizzato più verso la norma.

C’è stata un’ampia discussione proprio per venire a definire le due definizioni di spazio confinato o sospetto di inquinamento e di spazio assimilabile.

Oggi c’è un accordo, che sarà sottoposto ovviamente all’analisi pubblica.

È un primo passo avanti. Spero che, dopo questo primo grosso scoglio, i lavori andranno molto più velocemente. Speriamo che nel corso del prossimo anno vedrà la luce.

Forniamo qualche dato quantitativo relativo agli infortuni e alle tipologie di infortuni…

P.D.S.:Dati di infortuni consolidati possono essere estratti dalla nostra Banca Dati Infor.mo. Quelli consolidati sono riferibili all’intervallo di tempo che va dal 2002 al 2014. In quel periodo abbiamo registrato circa 69 incidenti che hanno comportato 90 morti.

E quindi già si vede, da questo dato, che effettivamente i decessi sono plurimi rispetto agli eventi. Probabilmente è un dato sottostimato perché nell’analisi non sono state compresi gli scavi, che invece, in determinate condizioni, possono essere intesi come ambienti confinati o sospetti di inquinamento.

Veniamo alle principali criticità che avete rilevato…

P.D.S.:La criticità principale, a nostro avviso, è riferibile al fattore umano.

Intanto si osserva che circa il 73% degli infortunati che sono deceduti aveva una grande esperienza di lavoro ben oltre i 3 anni e che la maggior parte – anche qui intorno al 70% – era personale dipendente a tempo indeterminato.

Quindi mai o quasi mai si è trattato di inesperienza. In alcuni casi ci sono state delle persone non assunte, in nero, ma la stragrande maggioranza degli infortuni ha riguardato gente con esperienza. Quindi molto spesso, quando si parla di esperienza, è “dir tutto e dir poco”. A volte l’esperienza, invece, è foriera di cattive abitudini che, purtroppo, si ripetono nel tempo.

E molto spesso, un’altra criticità che abbiamo riscontrato, è che le stesse persone avevano compiuto le stesse operazioni in maniera similare nel tempo, ma, purtroppo, sono cambiati piccoli parametri del processo che non sono stati rilevati, proprio per una carenza di conoscenza e anche di capacità di analisi dei processi stessi. E queste piccole variazioni hanno comportato invece l’instaurarsi di condizioni mortali.

(…)

Secondo lei cosa si può fare per migliorare la prevenzione? Come agire sul fattore umano?

P.D.S.:Bisogna aumentare la percezione del rischio delle persone.

Cosa significa? Intanto il fattore umano non dobbiamo intenderlo come errore della singola persona, ma come eventuale carenza nell’ambito delle organizzazioni che, a volte, sono piccolissime organizzazioni. Infatti molti incidenti hanno coinvolto gli stessi datori di lavoro, che non hanno avuto le capacità di analisi e di valutazione del rischio.

Ecco noi dovremmo cercare di far arrivare, di diffondere questa capacità di analisi del rischio.

 (…)

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “Spazi confinati: gli infortuni, le criticità e la futura norma UNI”.

Per altri approfondimenti rimandiamo anche ai post:

Post e intervista a cura di Tiziano Menduto

Spazi confinati 02: la sottovalutazione del rischio in edilizia

Una raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Una intervista, realizzata nel 2014, al geometra Paolo Secchi.

Come abbiamo ricordato nel precedente post, che riportava un’intervista all’ingegnere Adriano Paolo Bacchetta, ai margini del 3° Convegno Nazionale sulle attività negli Spazi Confinati, gli ambienti confinati e/o gli ambienti sospetti d’inquinamento sono tra gli ambienti a maggior rischio di infortuni gravi e mortali.

E l’edilizia è sicuramente uno dei settori lavorativi in cui sono ancora molte le difficoltà nel riconoscere la presenza di eventuali spazi confinati e nell’attuare tutte le misure richieste dal Decreto legislativo 81/2008 e dal Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”.

Per questo motivo nell’ottobre del 2014 ho realizzato, per il giornale online PuntoSicuro, un’intervista al Geom. Paolo Secchi, relatore al convegno del 22 ottobre 2014 “Applicazione del D.P.R. 177/2011 a tre anni dalla sua entrata in vigore”, organizzato da www.spazioconfinato.it, in collaborazione con il Centro di Ricerca Interdipartimentale sulla Sicurezza e Prevenzione dei Rischi di Modena (C.R.I.S.).

Il geometra, che si è occupato lungamente di sicurezza come coordinatore in fase di progetto e in fase di esecuzione, interveniva al convegno con una relazione proprio sull’applicazione del DPR 177 al settore delle costruzioni

L’intervista, di cui riporto il video e una parziale sbobinatura, è stata pubblicata nell’articolo “In edilizia c’è una scarsa percezione degli spazi confinati”.

Nelle prossime settimane continuerà la pubblicazione di articoli e contributi sul tema.

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(…)

Quando si parla di spazi confinati raramente si fa riferimento al comparto edile. Ci sono spazi confinati? Quali sono le principali problematiche?

Paolo Secchi: Colgo l’occasione per essere in accordo sul fatto che la percezione degli spazi confinati in edilizia attualmente non c’è molto.

Probabilmente questa carenza è generata da un equivoco. Il DPR 177 richiama l’articolo 121 che riguarda la presenza di gas negli scavi. Quindi molto spesso in edilizia molte persone considerano che l’unico spazio confinato possa essere quello.

In realtà di spazi confinati, soprattutto nel campo industriale, ne troviamo un numero sempre crescente. Se pensiamo a tutti i vani tecnici, dove vengono collocati gli impianti – ad esempio gli impianti per trattamento aria, di refrigerazione, che possono funzionare a glicole o ammoniaca – abbiamo a che fare con spazi che possono diventare estremamente pericolosi. Quindi in edilizia abbiamo sicuramente una casistica che dovremo tenere in considerazione per fare delle valutazioni, nel campo della sicurezza, adeguate.

(…)

Nel suo intervento ha mostrato alcune slide relative a ponteggi. Un ponteggio può diventare uno spazio confinato? E con quali condizioni?

P.S.: (…) Se ad un ponteggio applichiamo dei teli di protezione e all’interno di questo ponteggio effettuiamo delle lavorazioni – di restauro, di ripristino, … – utilizzando solventi ed eventualmente fiamme libere si possono generare anche situazioni di pericolo.

La mia era una provocazione per cercare di far intuire alle persone che seguivano il convegno che occorre una maggiore sensibilità, ma occorre anche un metodo diverso per identificare questi spazi.

Anche se il DPR 177 avesse fornito un elenco il più possibile esaustivo sicuramente il caso che ci si pone in avanti non sarebbe compreso nell’elenco, ci troveremmo di fronte a delle difficoltà interpretative. Quindi la mia provocazione è quella di voler richiamare l’attenzione su questi aspetti.

Lo stesso discorso vale per le coperture. Molto spesso si pensa a spazi confinati come spazi piccoli, angusti. Ma non è assolutamente vero. Basti immaginare i piani di copertura dove abbiamo impianti di raffreddamento, di trattamento aria, che possono funzionare ad ammoniaca o avere dei gas abbastanza invasivi e importanti dal punto di vista della sicurezza. Oppure possiamo avere vasche di laminazione dove la presenza degli inquinanti è abbastanza elevata.

Dobbiamo cercare di diffondere questa nuova abitudine a valutare gli spazi confinati ai tecnici e ai datori di lavoro che molto spesso ritengono di non essere coinvolti in questo tipo di argomenti.

Presentiamo un caso operativo. Un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione scopre che i lavoratori stanno lavorando in uno spazio confinato con rischi non valutati in relazione alla specificità dell’ambiente. Cosa deve fare?

P.S.: Secondo me il coordinatore in fase di esecuzione ha due possibilità.

O coinvolgere il coordinatore per la sicurezza in fase di progetto e rielaborare una procedura per gestire questa situazione.

O direttamente può andare – questo glielo consente la normativa – ad integrare quello che è il Piano di Sicurezza e Coordinamento con proprie disposizioni. In questo modo andrà ad integrare e colmare una lacuna che non era stata considerata precedentemente.

(…)

Link all’articolo originale di PuntoSicuro ” In edilizia c’è una scarsa percezione degli spazi confinati”

Per altri approfondimenti rimandiamo anche al post “Problemi normativi 02: come interpretare il DPR 177/2011”.

Intervista di Tiziano Menduto

Problemi normativi 03: interferenze, DUVRI e PSC

Per ricordare come le nostre leggi in materia di sicurezza sul lavoro a volte non solo siano complicate da un punto di vista lessicale, ma contengano veri e propri aspetti oscuri, che lasciano troppo spazio all’interpretazione e all’arbitraria applicazione, pubblico oggi un’intervista, realizzata per PuntoSicuro, su un tema delicato: la gestione delle interferenze nei luoghi di lavoro.

Come devono essere gestite? Con quali documenti? Con il Documento unico per la valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI) e/o il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC)?

Che non ci sia chiarezza nella norma e convergenza nelle opinioni degli operatori ho potuto rendermene conto partecipando – come conduttore della Tavola Rotonda finale – al workshop “Articolo 26 e titolo IV del D.Lgs 81/08 a confronto nella gestione degli appalti” organizzato il 14 luglio 2016 a Modena, nell’ambito del progetto “A Modena la sicurezza sul lavoro, in pratica”. Un workshop cui si affrontava proprio il tema della gestione di appalti e interferenze con riferimento alla normativa e alla stesura di DUVRI e PSC.

Benché si volesse fare chiarezza su questi temi, si sono evidenziate durante il workshop alcune differenze interpretative della normativa. Differenze che mostrano come questo tema necessiti di ulteriori approfondimenti o, secondo alcuni relatori al workshop, di futuri interventi interpretativi/normativi che individuino, senza ombre o dubbi, ambiti e soluzioni idonee da utilizzare per gestire le interferenze. Intervento normativo che, a distanza di un anno, non è ancora avvenuto.

E proprio per cercare di fare chiarezza su questi temi ho intervistato, per PuntoSicuro,  Fabrizio Lovato, presidente di Federcoordinatori, un sindacato dei coordinatori per la sicurezza del lavoro che era rappresentato a Modena da un consigliere nazionale del sindacato (Nicola Nicolini).

Nell’articolo apparso su PuntoSicuro, dal titolo “Gestione delle interferenze: quando elaborare il DUVRI e il PSC?”, riporto anche alcune utili tratte dal documento Inail “L’elaborazione del DUVRI – Valutazione dei rischi da interferenze”, curato da Raffaele Sabatino con la collaborazione di Andrea Cordisco.

Il documento, che vuole chiarire la differenza esistente tra il DUVRI e il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) e sulle eventuali problematiche che possono insorgere da “un’eventuale sovrapposizione dei due documenti”, indica che:

– “il PSC si applica esclusivamente ai lavori edili e di genio civile nei quali sia prevista la presenza, anche non contemporanea, di più Imprese esecutrici. Il DUVRI e il PSC non sono quindi, assolutamente, lo stesso documento; essi, pur riferendosi ad aspetti analoghi afferenti alla sicurezza sul luogo di lavoro sono riferiti, il primo, a qualsiasi ambiente di lavoro, mentre il secondo, esclusivamente al cantiere edile”;

– in alcuni casi “la stesura del PSC esonera da quella del DUVRI, pur tuttavia occorre precisare che anche nel cantiere edile, il PSC non sempre costituisce il documento unico per la pianificazione della sicurezza, dovendo essere comunque necessaria l’elaborazione del DUVRI. Esistono infatti molti casi in cui i documenti vanno redatti entrambi, occupandosi ciascuno della prevenzione e protezione dai rischi da interferenze nel cantiere”.

Veniamo ora all’articolo di PuntoSicuro e alla parte  relativa all’intervista a Fabrizio Lovato.

Buona lettura.

 

Tiziano Menduto


 

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

 

Sappiamo che il DUVRI e il PSC sono documenti differenti che operano in contesti diversi. Secondo la sua esperienza di coordinatore ci sono dubbi sul fatto che un’attività possa o meno essere considerata un lavoro edile e di ingegneria civile con applicazione del Titolo IV del D.Lgs. 81/2008?

 Fabrizio Lovato: “No, nessun dubbio, la norma quando definisce un cantiere è chiara. È un cantiere temporaneo o mobile qualunque luogo in cui si effettuano lavori edili o di ingegneria civile”.

 Nel workshop si è parlato di DUVRI e PSC ricordando quando è necessario elaborare un documento o l’altro. Tuttavia ci sono casi in cui i due documenti potrebbero essere compresenti e, in qualche modo, sovrapporsi… In quali casi può succedere? E questa sovrapposizione è un errore normativo o ha una qualche effettiva funzione di prevenzione dei rischi?

FL: “È possibile che in determinate situazioni, si abbia la compresenza (non sovrapposizione) di entrambe i documenti: DUVRI e PSC. Basti pensare a lavori relativi ad interventi di manutenzione edile da eseguirsi all’interno di una struttura industriale che deve comunque continuare ad essere operativa. Per gestire la sicurezza all’interno del cantiere verrà elaborato il PSC mentre per gestire e coordinare la sicurezza tra l’azienda e il cantiere (il cantiere, non le singole aziende) verrà elaborato il DUVRI.

In nessun modo comunque i due documenti potranno essere sovrapposti in quanto il DUVRI è il documento iniziale che il Coordinatore tiene in considerazione mentre sta elaborando il PSC, e gli fornisce informazioni in merito allo stato dei luoghi e ai rischi presenti in cui il cantiere si dovrà insediare. Mentre nella fase esecutiva è lo strumento che consente al CSE il dialogo con il datore di lavoro committente ospitante. I due documenti non sono dunque sovrapponibili quanto piuttosto complementari!”.

 Per chiarire le cose faccio riferimento ad un esempio riportato nell’articolo “ Gestione delle interferenze: normativa, dubbi e difficoltà delle imprese”, uscito su PuntoSicuro il 14 settembre scorso. Nell’articolo, riportando il contenuto di una relazione, si indica, ad esempio, che “quando il cantiere è ubicato presso una ditta che svolge l’attività lavorativa anche durante le opere del cantiere stesso, si ritiene che il PSC debba prendere in considerazione anche questo tipo di interazione rendendo, di fatto, inutile il DUVRI (il documento di valutazione dei rischi da interferenza che il datore di lavoro committente è tenuto a redigere in tutti gli altri casi di interferenza con altre attività). In questo caso, quindi, sarà il Coordinatore per la Progettazione che dovrà tenerne conto in fase di redazione del PSC, sarà quello incaricato della Esecuzione a verificare nel tempo, durante lo svolgimento dei lavori, che il piano venga rispettato, che sia adeguato all´effettiva situazione di rischio, che tutte le ditte presenti (e che influiscono sul cantiere) siano rispettose del piano stesso”.

Tuttavia l’esempio riportato a mio parere è fuorviante in quanto caso “limite”, ossia l’unica attività interferente nella mia azienda è il cantiere … possibile, ma improbabile. Mi domando: l’azienda dell’esempio, non ha fornitori, manutentori o ospiti per la normale gestione della sua attività? Non ha imprese di pulizie, o aziende che fanno manutenzione agli impianti fissi (elettrico o idraulico), o il gestore del distributore delle bevande?

Riporto anche alcune indicazioni tratte da una Linea guida INAIL:

– “Il DUVRI è redatto dal DLC, e non dalle Imprese o lavoratori autonomi, affidatarie del/dei contratto/i d’appalto, d’opera o di somministrazione (o “ordini d’acquisto” utilizzati per aggirare l’indicazione normativa, nda); questi ultimi dovranno in ogni caso cooperare onde permettere al DLC di evidenziare tutti i possibili rischi da interferenza e fornendo tutti i documenti attestanti l’idoneità tecnico professionale richiesti dall’art. 26;

– Il DUVRI deve essere redatto o aggiornato ogniqualvolta siano posti in essere dei contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione, anche non formalizzati, che implichino la presenza di Imprese operanti all’interno dell’Azienda, anche se non si ravvisano particolari rischi da interferenza: in questo caso il documento dovrà evidenziare l’assenza di rischio (contratto cosiddetto non rischioso);

– Il DUVRI è un documento UNICO per tutti gli appalti e per questo DINAMICO, in quanto deve essere aggiornato in caso si ravvisino nuovi rischi da interferenza, all’ingresso di nuove Imprese, ove si presentino variazioni nella struttura e nella tecnologia delle varie Imprese, in caso di acquisto ed utilizzo di nuove attrezzature da parte dell’Azienda, ecc.”.

Come dicevo: è improbabile che l’esempio portato corrisponda alla realtà, e quindi se la gestione della prevenzione è vera, TUTTE le aziende hanno la necessità di gestire le interferenze. Certo il risultato di questa attività (il DUVRI) sarà piccolo o grande in relazione alla complessità della valutazione, ma la sua esistenza a mio giudizio è indubbia.  Come è indubbio che tale documento diventi un documento d’ingresso del PSC che ad esso dovrà dedicare una parte specifica che riguarda il fondamentale scambio d’informazioni tra il datore di lavoro committente (con il DUVRI) e il coordinatore prima in progetto (con il PSC) e poi durante l’esecuzione per gli aggiornamenti.

 Nel workshop modenese sono state sollevate infatti alcune perplessità riguardo alla possibile compresenza/sovrapposizione tra i due documenti. Lei cosa ne pensa? Dietro queste differenze di opinioni c’è una diversa interpretazione della normativa? Qual è la corretta lettura del secondo comma dell’articolo 96 del TU, comma che qualcuno potrebbe leggere come esonero dal DUVRI tutte le volte in cui esiste un PSC?

FL: “Ribadisco che i documenti non sono sovrapponibili in quanto ognuno ha la propria area di azione.

Nello specifico l’art. 96 (e siamo in Titolo IV – cantieri temporanei o mobili) vuole chiarire i confini di operatività dell’uno e dell’altro documento. Se stiamo parlando di Cantiere avremo il PSC e i POS come documenti di riferimento, ed è con le loro regole che ci si ‘parla’ all’interno del cantiere, non con il DUVRI. Se parliamo dell’esempio precedente (intervento edile all’interno di un sito industriale), in questo caso avremo il DUVRI (azienda-cantiere) quale documento di riferimento che interesserà le attività e le aree esterne al cantiere, ma limitrofe a questo e che possono avere un’interazione con esso”.

Accade spesso nei cantieri in cui lavorate che si debbano elaborare due diversi documenti, il DUVRI e il PSC? E laddove siano necessari entrambi ma, ad esempio, manca il DUVRI, cosa fa un coordinatore?

FL: “Sovente, e soprattutto in caso di ristrutturazioni o ampliamenti industriali e condominiali (quando c’è la presenza del custode dipendente), capita di avere entrambi i documenti.

Il DUVRI per il coordinatore è il documento iniziale che prende in considerazione per l’elaborazione del PSC e nel caso in cui non sia presente lo richiede al datore di lavoro committente”.

 All’opposto nel caso di mere forniture di materiale ed attrezzature potrebbe non necessitare né DUVRI né POS. Anche in questo caso lei ritiene che sia corretto o siamo di fronte a una lacuna normativa? E come può essere garantita, in questo caso, una informazione reciproca sulle possibili interferenze? 

FL: “La normativa non può (e non deve) regolamentare tutto, ma deve fissare i principi. Laddove non vi sia una norma specifica per la gestione in sicurezza di un’attività, quale può essere per esempio la fornitura di materiale in cantiere o la realizzazione delle campionature, il Coordinatore avendo chiari i principi di prevenzione può definire una, o più procedure che le imprese e i fornitori dovranno rispettare”.

 Lasciamo da parte la norma e torniamo alle vostre esperienze. In alcuni commenti sul nostro giornale si indica che il DUVRI passa “sopra la testa” degli interessati, è un “monumento di carta” del tutto inutile, volto solo a cercare di ridurre le responsabilità aziendali. Cosa potrebbe rendere questo monumento meno formale e più effettivo ed efficace?

 FL: “Anzitutto occorre distinguere l’attività di ‘valutazione dei rischi interferenti’ dalla redazione del ‘Documento di valutazione dei rischi interferenti’. Nella prima viene fatta la valutazione dei rischi ma non viene registrata da nessuna parte. Ciò non significa che il datore di lavoro non abbia adottato misure di sicurezza tali per i cui i lavoratori non risultino tutelati.

Nel secondo caso viene elaborato un documento che riporti la valutazione dei rischi interferenti con indicate tutte le misure di sicurezza da attuare ma ciò non implica che il datore di lavoro li abbia valutati o che attui quanto indicato.

Il fatto di produrre un ‘monumento di carta’, o un documento fine a se stesso, serve a dimostrare agli organismi di vigilanza che tale attività è stata effettuata. Se ci limitassimo a fare vedere il nostro buon operato, le modalità operative, gli apprestamenti messi a disposizione ma non presentassimo alcun documento scritto tutta la nostra ‘buona condotta’ non verrebbe presa in considerazione e non ci salverebbe da una sanzione.

La cultura della sicurezza deve essere le fondamenta del ‘monumento’ che ogni datore di lavoro deve predisporre e realizzare”.

So che lei ha partecipato, come esperto, alla stesura dei nuovi modelli standardizzati/semplificati di POS/PSC e PSS. Non si è pensato a modelli standardizzati/semplificati di DUVRI?

 FL: “C’è da dire che a differenza del PSC, POS e PSS per i quali l’All. XV del D.Lgs. 81/2008 e smi ne definisce i contenuti minimi, per il DUVRI non vi è questa precisazione.

Diversi enti, tra cui ricordiamo Regione Lombardia e Inail, hanno elaborato delle linee guida relative la redazione del DUVRI lasciando comunque al datore di lavoro committente la possibilità di elaborare il documento come meglio riteneva.

In fine, ma come si dice non per ultimo, dobbiamo ricordare che l’art.26 per la parte relativa al DUVRI è stata ‘semplificata’ dall’art. 32 del DL n.69 del 21.06.2013 recante ‘disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia’, infatti per i lavori a basso rischio in sostituzione del DUVRI è stata introdotta la figura dell’incaricato che però deve essere in possesso di formazione aggiornata, di conoscenza diretta dell’ambiente di lavoro, di esperienza e competenza professionale, adeguata e specifica in relazione all’incarico … un genio ! Che però per dare evidenza di assolvimento dell’incarico al suo datore di lavoro … dovrà redigere un DUVRI! E se non lo fa spontaneamente glielo chiederà il datore di lavoro al fine di verificare il suo operato … perché nel nostro paese (di apparenze) i fatti non sono sufficienti, ci voglio i documenti a provarlo”.

Concludiamo infine con qualche considerazione. Qual è l’attenzione, nelle aziende e tra i committenti, per adempimenti come DUVRI e PSC?  I documenti vengono realizzati solo quando è un obbligo di legge o anche quando è necessario?

FL: “Capita, talvolta, che i datori di lavoro/committenti non siano a conoscenza degli obblighi di predisposizione del DUVRI e del PSC, non per disinteresse nel riguardo del tema sicurezza, ma semplicemente per ignoranza nei confronti della materia.

Occorre una maggiore informazione che come Federcoordinatori abbiamo cercato di fornire tramite l’istituzione dello “Sportello del committente” – attività di consulenza specialistica gratuita alla cittadinanza, ma che non ha trovato il supporto delle pubbliche amministrazioni”.

E, infine, ritiene che sia utile un intervento interpretativo/normativo per togliere dubbi in merito a quali documenti elaborare per affrontare il rischio di interferenze?

FL: “No, tutt’altro! Ritengo che il legislatore debba fermarsi e non continuare ad emettere decreti attuativi e di specifica che fanno perdere il riferimento ai principi regolamentari di partenza.

Infine smettiamo di abusare della parola ‘semplificazione’ al fine di una ricerca utopistica della perfezione legislativa, perché: ‘La perfezione si ottiene non quando non c’è più nulla da aggiungere, ma quando non c’è più niente da togliere’ (Antoine de Saint-Exupéry).

 

Link all’articolo originale di PuntoSicuro…