Smart working e lavoro ibrido 05: lavoro agile, lavoro ibrido e flessibile

Una intervista per parlare dell’evoluzione del lavoro agile in lavoro ibrido e flessibile. Cosa è il rischio legale? Che importanza ha la contrattazione collettiva nel lavoro agile? Le risposte di Laura De Angelis, tecnologo giuridico DIT Inail.

Attraverso “IndagineSicurezza” nei mesi scorsi si è parlato ampiamente del lavoro a distanza, (smart working e telelavoro), delle novità organizzative connesse all’emergenza COVID-19 e del futuro del lavoro agile come normato dalla legge 22 maggio 2017, n. 81 (Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato).

Tuttavia le riflessioni su queste novità organizzative, sul nostro sito o sui media, hanno riguardato per lo più i vantaggi/svantaggi per i lavoratori e le aziende o i rischi emergenti. Molto meno si detto sugli aspetti connessi al diritto del lavoro (e al diritto alla sicurezza). E ce ne sarebbe bisogno perché la legge 81/2017 sembra essere già vecchia per le nuove modalità lavorative “ibride” che appaiono come una sintesi tra il lavoro tradizionale e il lavoro agile.

Per parlare di questi aspetti, anche adombrando una sorta di “rischio legale” connesso alla carenza di una normazione specifica, per il giornale PuntoSicuro ho intervistato Laura De Angelis,tecnologo giuridico del Dipartimento Innovazioni Tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (DIT) dell’Inail, ad Ambiente Lavoro 2023 a Bologna.

Lei in questa manifestazione era relatrice al convegno “Digitalizzazione e ambienti di lavoro ibridi: lavoro agile e da remoto oltre la pandemia” con l’intervento “Lavoro agile e la sua evoluzione applicativa in Ibrido e Flessibile: vuoti normativi, atipicità contrattuale e criticità per la salute e sicurezza sul lavoro”.

Cosa si intende con evoluzione applicativa del lavoro agile in lavoro ibrido e flessibile? E come si differenzia quest’ultimo dal lavoro agile disciplinato dal decreto 81 del 2017?

Riguardo al lavoro agile e agli interventi governativi e legislativi in materia lei parla di un “rischio legale”. Cosa si intende? Come evitarlo?

Lei indica poi che si è affievolita la correlazione indispensabile tra diritto del lavoro e diritto alla sicurezza. Perché? E quali sono gli impatti sulla salute e sicurezza sul lavoro?

Che importanza ha la contrattazione collettiva nella regolamentazione del lavoro agile?

L’intervista in video è stata realizzata per PuntoSicuro e pubblicata nell’articolo “Lavoro agile e lavoro ibrido e flessibile: rischi legali e sicurezza”. Qui, pur rimandando alla lettura dell’articolo originale su PuntoSicuro, ripropongo il video e riporto una breve trascrizione”.  

Buona lettura…

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Cosa si intende con evoluzione applicativa del lavoro agile in lavoro ibrido e flessibile? E come si differenzia quest’ultimo dal lavoro agile disciplinato dal decreto 81 del 2017…

Laura De Angelis: Durante il periodo pandemico e post pandemico il lavoro agile è stato utilizzato, tutti noi lo sappiamo, ed anche attualmente, in tutti i settori aziendali pubblici e privati, in modo molto diffuso ed ha coinvolto una platea di lavoratori molto più ampia di quella che era prevista dal legislatore del 2017. Quindi c’è stato un coinvolgimento di tipo orizzontale, al di là dei settori industriali e delle categorie professionali per il quale era stato previsto.

Questo ha determinato un’evoluzione, una trasformazione degli elementi costitutivi del lavoro agile, perché è diventato, di fatto, un elemento strutturale dell’organizzazione del lavoro. Ad oggi quasi 4 milioni di occupati usa il lavoro agile, quindi lo usiamo in modo diffuso. E di fatto il lavoro agile è diventato una terza nuova tipologia contrattuale – e quindi non “modalità esecutiva”. È una sintesi tra quello che è il lavoro tradizionale – quindi parliamo della dicotomia classica sulla quale si fonda il diritto della sicurezza, quindi subordinato e autonomo – e il lavoro agile come previsto dal legislatore del 2017.

Con questa nuova figura (…), che noi immaginiamo nuova, ibrida e flessibile, si sono acquisiti, modificati dei requisiti del lavoro agile, secondo il legislatore del 2017, e ne sono stati integrati dei nuovi che sono propri di altri lavori a distanza.

Lei mi ha chiesto qual è la differenza rispetto al lavoro agile secondo la ratio del 2017.

È che siamo passati (…) da un’autonomia ad una semiautonomia del lavoratore, perché sono stati introdotti concetti – come operabilità, contattabilità, reperibilità, … – questo grazie proprio agli interventi delle Parti Sociali che hanno cercato di adattare questo Istituto in maniera più ampia e diffusa. E chiaramente questi concetti indeboliscono quella che è l’autonomia del lavoratore.

C’è stata anche un’inversione di marcia, secondo me, su quello che è il controllo dei risultati. Mentre secondo la ratio del legislatore del 2017 il potere direttivo del datore di lavoro si esplicava per obiettivi e, marginalmente, residualmente, in subordine, per fasi e cicli, oggi c’è un’inversione di marcia. Ora si sviluppa per fasi e cicli e, marginalmente, per obiettivi.

Ma la cosa forse più importante, riguardo alla differenza che lei mi ha chiesto, è la fonte.

Il lavoro agile ad oggi si sta orientando verso una fonte della contrattazione collettiva nazionale. E che funge da una parte come fonte privilegiata di regolazione di questo Istituto, che abbiamo definito nuovo, e dall’altra come clausola di garanzia, in tutte quelle imprese in cui il contratto collettivo non è applicabile. Mentre prima era l’accordo, la fonte (…).

Nella sua relazione lei indica che riguardo al lavoro agile e agli interventi governativi e legislativi in materia si è reso evidente un “rischio legale”. Cosa si intende con questo termine?

L.D.A.: Questo concetto è, secondo me, il più importante del mio intervento ed è anche il più delicato da affrontare.

Torniamo alla trasformazione del lavoro agile e al fatto che questa modalità occupazionale – diffusa in modo ampio su una platea grandissima di lavoratori e che ha determinato una trasformazione proprio degli elementi costitutivi – è diventata importante, uno strumento di lavoro in tutti i tessuti aziendali.

Ora però questa trasformazione, di fatto, non è stata accolta dal legislatore.

A questa trasformazione non si sono controbilanciati degli interventi legislativi puntuali per disciplinare questa nuova modalità esecutiva della prestazione. Soprattutto anche per garantire la sicurezza in questa modalità esecutiva che prevede una flessibilità, quindi una diversità di luoghi, che prevede anche una qualificazione giuridica del rapporto contrattuale che non è quello del rapporto di lavoro subordinato.

Quindi che cosa intendo nella mia relazione? Parlo di quella carenza di normazione specifica di settore, nel caso specifico del lavoro agile, che è capace di accompagnare quelli che sono i cambiamenti del diritto del lavoro e del diritto della sicurezza.

Perché avvengono questi cambiamenti? Perché la tecnologia entra nei luoghi di lavoro e nel lavoro stesso, nel rapporto di lavoro e, quindi, si evidenzia sempre di più quel dislivello che esiste tra l’innovazione tecnologica, lo sviluppo della tecnologia e la lentezza (…) del diritto nel cogliere in tempo reale questi cambiamenti.

Questo gap legislativo, dell’intervento di normazione, cosa richiederebbe, secondo me e sempre con riferimento alla mia relazione? Una rivisitazione del Testo Unico sulla sicurezza, proprio perché si fonda su delle categorie che ormai sono superate grazie a un diverso modo di produrre e di organizzare il lavoro e di ridistribuire la ricchezza. E anche una revisione dello Statuto dei lavoratori. (…)

Lei indica poi che si è affievolita la correlazione indispensabile tra diritto del lavoro e diritto alla sicurezza. E quali sono gli impatti sulla salute e sicurezza sul lavoro?

L.D.A.: Allora il diritto della sicurezza e il diritto del lavoro sono collegati tra di loro.

Il diritto della sicurezza, il Testo Unico si fondano su che cosa? Sul rapporto di lavoro subordinato.

Ora il lavoro agile di fatto rompe un po’ quelli che erano gli elementi costitutivi su cui si fondava il diritto del lavoro e, conseguentemente, il diritto della sicurezza, che sono lo spazio, il tempo, l’azione – quindi l’attività mono-professionale del lavoratore – e l’eterodirezione (il fatto che il prestatore è sottoposto alle direttive del datore nell’esecuzione della prestazione concordata, ndR). (…)

All’interno di una cornice di lavoro subordinato, il lavoro agile acquisisce in sé delle logiche che sono proprie del lavoro autonomo, quindi la flessibilità e l’autodeterminazione nello svolgimento dell’attività lavorativa. E questa “condivisione” (…) fa sì che il lavoratore agile possa in questa logica di flessibilità condividere i rischi e responsabilità che sono da sempre stati in capo al datore di lavoro in quanto rischi di impresa.

Allora qui viene proprio il cuore della questione. In tutta quest’ottica che abbiamo fino a questo momento descritto (…), bisognerebbe parlare di diritto della sicurezza e di sicurezza sui luoghi di lavoro in una versione dinamica. Cioè, vale a dire che la sicurezza dovrebbe essere realizzata nei luoghi di lavoro attraverso una fattiva collaborazione e condivisione, una fattiva collaborazione responsabile tra datore di lavoro e lavoratore, al di là della qualificazione giuridica del rapporto di lavoro e dell’unità produttiva del datore di lavoro. Proprio perché si svolge una parte in azienda e una parte fuori azienda.

Lei si è soffermata anche sulla contrattazione collettiva. Che importanza ha nella regolamentazione del lavoro agile e del lavoro ibrido e flessibile?

L.D.A.: Diciamo un’importanza molto grande. Proprio perché è diventata, come ho detto prima, una fonte di regolazione privilegiata del lavoro agile nel rispetto, chiaramente, della legge. Tanto che in Italia la maggior parte dei contratti collettivi nazionali hanno recepito l’istituto del lavoro agile. E questo perché? Perché fondamentalmente, proprio in questa incapacità del legislatore di cogliere in tempo reale quelli che sono i cambiamenti del mondo del lavoro, le Parti Sociali invece riescono a cogliere quelle criticità. E in una sintesi degli interessi coinvolti, anche se contrastanti, tra datori di lavoro e lavoratori, bilanciano il mercato del lavoro. E quindi cercano di realizzare una sicurezza che superi quei vincoli limitativi che abbiamo detto fino adesso. Proprio perché è impossibile, in un concetto di flessibilità ed autodeterminazione del lavoratore.

Infatti in questo senso si sono mossi anche degli interventi governativi. Ad esempio, se pensiamo al protocollo nazionale sul lavoro stipulato dal ministro Orlando o alle linee guida della funzione pubblica dove in tutte e due i casi si richiamano i contratti collettivi come fonte di regolazione, chiaramente in determinati ambiti. Perché poi sappiamo che la contrattazione collettiva non ha un’efficacia erga omnes perché non è mai stato dato attuazione al secondo comma della Costituzione all’articolo 39.

E tutto questo avviene proprio per bilanciare questo vuoto che il legislatore non riesce a colmare.

Intervista di Tiziano Menduto

L’articolo originale che contiene l’intervista: “Lavoro agile e lavoro ibrido e flessibile: rischi legali e sicurezza”.

Gli altri post sul tema:

Covid e smart working 01: criticità e prospettive future”;

Covid e smart working 02: valutazione dei rischi e prevenzione”;

“Covid e smart working 03: i vantaggi della riduzione degli infortuni in itinere”.

Covid e smart working 04: qual è il futuro del lavoro agile?

Appunti sulla Thyssenkrupp: l’incendio, il processo e la sicurezza mancata

Il 24 aprile 2014 è stata emanata la sentenza della Corte di Cassazione relativa all’incendio della Thyssenkrupp che conferma le responsabilità ma annulla le condanne con rinvio ad un nuovo dibattimento per ridefinire le pene.

Torno dunque ad occuparmi giornalisticamente per l’ennesima volta della vicenda Thyssenkrupp. La ricerca di fonti attendibili. La lettura dei primi commenti. Un articolo di presentazione e di riepilogo. Qualche domanda a cui dare qualche risposta. Una nuova intervista al sostituto procuratore Raffaele Guariniello.

Torno ad occuparmi del processo Thyssenkrupp e lo fanno gli altri cento media che normalmente sono impermeabili alle notizie sulla sicurezza. Perché parlare molto dell’incendio del 6 dicembre 2007 alla Thyssen appare purtroppo il miglior modo che hanno molti media di non soffermarsi sui mille morti che ci sono ogni anno in Italia. Di non soffermarsi sulle 700 mila denunce di infortuni, sugli incidenti non denunciati. Di non sentirsi obbligati a ospitare una rubrica che parli magari non di incidenti, ma anche solo di prevenzione.

Torno ad occuparmene perché non si può e non si deve tacere.

Non solo perché i sette operai morti a Torino hanno diritto ad avere giustizia, ma perché il nome Thyssenkrupp è sì il simbolo di una battaglia per chiedere più sicurezza nei luoghi di lavoro, ma è ancora di più. È il simbolo di qualcosa che nelle aziende, in molte aziende, non funziona in materia di sicurezza.

La sentenza della Corte di Cassazione riguardo all’incidente del 6 dicembre conferma “l’inefficienza e l’inidoneità dei meccanismi di emergenza dello stabilimento a svolgere le loro funzioni”, la situazione di degrado (“la pulizia non era accurata mentre è importante che in strutture di questo tipo sia rimossa la presenza di materiale infiammabile”). Ricorda che dopo l’incidente “gli ispettori della Asl rilevarono ben 116 violazioni” relative alla sicurezza e che quando gli operai tentarono di intervenire sulle fiamme “il primo estintore risultò non funzionante, venne poi srotolata una manichetta antincendi ma l’apparato di spegnimento non funzionò per la mancanza di pressione”, che “anche l’operazione di allarme risultò farraginosa e impossibile” e “i mezzi di soccorso ebbero difficoltà a entrare nello stabilimento”.

E nella intervista Raffaele Guariniello ribadisce, come confermato ormai anche dalla Cassazione, che questo scempio di sicurezza non era un evento episodico: “costituiva il frutto di una politica aziendale della sicurezza addebitabile al vertice supremo dell’impresa”. È questa frase, al di là delle polemiche sulle pene da rideterminare, che deve arrivare alle nostre coscienze.

Da anni si racconta la carenza di sicurezza sul lavoro spiegandola con la mancata consapevolezza dei singoli lavoratori e con le difficoltà delle aziende italiane, specialmente le piccole, nel uniformarsi alle richieste molteplici della normativa in materia di sicurezza. E da anni uno dei principali strumenti per la prevenzione è diventato la semplificazione delle norme.

Ma le vicende della Thyssenkrupp dicono altro. Non si parla di una piccola azienda. Di una micro impresa che deve giostrarsi con poche risorse tra un’economia zoppicante e una burocrazia esigente. Si parla di quella che dovrebbe essere la punta di diamante della prevenzione: la grande azienda, che ha le risorse, il personale, le competenze, l’organizzazione per adempiere alla normativa ed evitare incidenti come quello di Torino.

La nostra coscienza dovrebbe essere turbata. E dovremmo ragionare forse meno in termini di pene, ma capire perché ciò accade. Come impedirlo. Come portare il tema della “responsabilità sociale d’impresa” nelle aziende.

Per chi volesse cercare di comprendere di più, di analizzare una volta ancora tutto quanto è avvenuto intorno all’incidente del 6 dicembre 2007 alla Thyssenkrupp, riporto brevemente quanto il giornale online “PuntoSicuro” ha pubblicato in questi anni.

 

L’incidente:

Torino: incendio all’acciaieria ThyssenKrupp

Si aggrava il bilancio dell’incendio all’acciaieria ThyssenKrupp di Torino

Muore anche il settimo operaio gravemente ferito nell’incendio alla ThyssenKrupp

Un documentario sull’incendio alla ThyssenKrupp

 

Le riflessioni sull’incidente e sulla prevenzione:

Una pagina di approfondimento sull’incidente alla ThyssenKrupp

Sicurezza sul lavoro: la lezione di Torino

Infortunio Thyssenkrupp: indicazioni per la prevenzione

Dopo l’incidente all’acciaieria ThyssenKrupp: riflessioni sulla sicurezza sul lavoro

Intervista a Dario Domenighini, fornitore delle attrezzature antincendio alla ThyssenKrupp

Incendio alla ThyssenKrupp: gli atti della commissione di inchiesta

Incendio alla ThyssenKrupp: un video per capire

Indennizzo per infortunio solo alle vedove Thyssen legalmente coniugate

 

Il primo processo, le indagini, il pool della Procura di Torino:

Thyssen: omicidio volontario e strategia per influenzare il processo

Tempi rapidi per le indagini sull’incendio alla Thyssenkrupp

Accertamenti ASL e indagini della procura: probabile una chiusura degli stabilimenti della ThyssenKrupp di Torino

Incendio alla ThyssenKrupp di Torino: rinviati a giudizio i sei indagati

Un verdetto storico nella sicurezza

La sentenza ThyssenKrupp: il ruolo del RSPP

ThyssenKrupp: sentenza epocale e monito per tutti i vertici aziendali

Il pool del pm Guariniello e i suoi 30 mila processi in 40 anni

 

Le riflessioni sulla prima sentenza:

Conseguenze presenti e future della sentenza Thyssen (intervista di PuntoSicuro al magistrato Bruno Giordano per far luce sugli aspetti che rendono importante la sentenza del Tribunale di Torino);

ThyssenKrupp: il dolo eventuale e la confisca del profitto

Sentenza Thyssen: dolo eventuale e sicurezza sul lavoro

L’Organismo di Vigilanza 231: legge di stabilità e sentenza Thyssen

Idoneità dei modelli 231 e sentenza Thyssen

RSPP Thyssen: la condanna e la qualificazione come dirigente di fatto

La sentenza Thyssenkrupp e le conseguenze sulla prevenzione

 

La sentenza della Corte d’Appello:

Sentenza Thyssen: da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo

Thyssenkrupp: le motivazioni della sentenza d’appello

Raffaele Guariniello: un commento su Thyssenkrupp e Darwin

 

La sentenza della Corte di Cassazione:

Thyssenkrupp: le pene sono da rideterminare

Thyssen: accertata la colpa cosciente e il carcere è certo

Guariniello: la sentenza Thyssenkrupp e il futuro del dolo eventuale (è l’ultima intervista fatta al sostituto procuratore Raffaele Guariniello che affronta anche il delicato tema dei cambiamenti nella giurisprudenza relativamente al riconoscimento del dolo eventuale)

Tiziano Menduto