Lo stress dimenticato 2: il malessere lavorativo nelle aziende italiane

Nelle scorse settimane ho parlato dello stress, dello stress dimenticato, nascosto nelle aziende. Di quello stress solo blandito da valutazioni e misure di prevenzione non sempre in grado di modificare i problemi organizzativi che, in molti casi, sono alla radice dello stress lavoro correlato.

Oggi non mi soffermo, come nel precedente post, su indagini e su dati, ma provo a monitorare il malessere nelle aziende attraverso un’intervista a Rosanna Gallo, psicologa del lavoro, specializzata in benessere organizzativo, già docente di “Promozione del benessere organizzativo” all’Università di Parma e componente del Comitato Scientifico Asicus.

Non è un intervista recente, è stata pubblicata su PuntoSicuro il 16 aprile 2013. Ma permette di rilevare ancora oggi una situazione di malessere che, specialmente a causa della crisi persistente delle aziende, continua ad essere elevata.

I lavoratori “si ammalano” e le malattie psicosomatiche sono in aumento; “lo stress riduce la prestazione lavorativa sia manuale che intellettuale ed aumenta il rischio di errori e di infortuni” e si ricorre ad “abusi di farmaci per mascherare il sentimento di impotenza, di depressione e di vera rassegnazione”…

Un’intervista che vi invito a leggere…

Buona lettura.

Tiziano Menduto

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “Salute sul lavoro: depressione, benessere organizzativo e produttività

 


Salute sul lavoro: depressione, benessere organizzativo e produttività

Un’intervista di PuntoSicuro alla psicologa del lavoro Rosanna Gallo, specializzata in benessere organizzativo. Come affrontare l’aumento dello stress, della depressione, delle malattie psicosomatiche, degli errori umani nei luoghi di lavoro.

Oggi si sta male nei luoghi di lavoro”, i lavoratori “si ammalano e le malattie psicosomatiche sono in aumento; lo stress riduce la prestazione lavorativa sia manuale che intellettuale ed aumenta il rischio di errori e di infortuni” e si ricorre ad “abusi di farmaci per mascherare il sentimento di impotenza, di depressione e di vera rassegnazione”.

Queste alcune frasi tratte da una intervista di PuntoSicuro a Rosanna Gallo, psicologa del lavoro, specializzata in benessere organizzativo, già docente di “Promozione del benessere organizzativo” all’Università di Parma e componente del Comitato Scientifico Asicus.

L’abbiamo intervistata in relazione al convegno “Benessere Organizzativo & Produttività Aziendale” che si è tenuto a Milano l’11 marzo 2013 – organizzato da TEC, la scuola di formazione del Gruppo Bosch in Italia, in collaborazione con Ranstad, Technogym e Virgin – di cui Rosanna Gallo era moderatrice.

Convinti che la prevenzione dei rischi psicosociali, anche in conseguenza delle ripercussioni sul mondo del lavoro della crisi economica, sia sempre più la “nuova frontiera” della tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, le abbiamo dunque posto alcune domande sul tema del benessere e malessere nei luoghi di lavoro.

Partiamo da alcuni dati: nell’Unione Europea la condizione di stress interessa circa il 22% dei lavoratori, mentre in Italia siamo al 27% con un evidente criticità rispetto agli altri paesi europei. E la depressione, secondo l’Agenzia Europea per la sicurezza e salute sul lavoro, diverrà ben presto la principale causa di congedo per malattia in Europa. Cosa sta succedendo nei luoghi di lavoro? E ha senso parlare di benessere in questo periodo di crisi occupazionale?

Rosanna Gallo: Oggi si sta male nei luoghi di lavoro. L’incertezza e la paura di perdere il lavoro portano a comportamenti difensivi, per cui le persone non si espongono, non decidono e si rendono invisibili; purtroppo si ammalano e le malattie psicosomatiche sono in aumento; lo stress riduce la prestazione lavorativa sia manuale che intellettuale ed aumenta il rischio di errori e di infortuni, riduce la memoria e la flessibilità. Le persone e ricorrono ad abusi di farmaci per mascherare il sentimento di impotenza, di depressione e di vera rassegnazione. Nel 2000 scrissi un articolo proprio sulla depressione organizzativa, non da attribuire alle singole persone, ma al clima organizzativo.

Ecco, oggi la situazione si è estremizzata e amplificata: oggi ci sono i suicidi veri o tentati, anche inconsapevolmente, che mettono a rischi persone e organizzazione. Avrei preferito fare prevenzione dei rischi psicosociali nei luoghi di lavoro, ma oggi è diventato indispensabile agire con interventi per la promozione del benessere organizzativo. Oggi è diventata un’emergenza, perché dopo la depressione sta emergendo la rabbia che può essere molto distruttiva.

Definiamo il benessere organizzativo. Quali sono i vantaggi pratici per i lavoratori e per i datori di lavoro? E quale è il rapporto tra benessere organizzativo e produttività aziendale?

RG: Il benessere organizzativo (b.o.) si riferisce alle politiche di prevenzione e promozione della salute e sicurezza intese in senso ampio. Ad esempio parliamo di sicurezza fisica (prevenzione infortuni) e sicurezza psicologica (prevenzione stress), ma anche di processi e comportamenti che promuovono il benessere organizzativo: la formazione, la meritocrazia, politiche di equità e di pari opportunità, la valorizzazione delle diversità (di età, di genere e culturali) e soprattutto il lavoro in team; infatti il gruppo di lavoro è un forte ancoraggio per le politiche di sicurezza, perché protegge e sviluppa le persone e l’organizzazione allo stesso tempo.

I vantaggi del benessere organizzativo sono numerosi: le persone, se non devono dedicare energie nel nascondere il proprio stress/malessere, ne hanno da investire per innovare e produrre con maggiore qualità. Le persone che si sentono riconosciute nel contribuire allo sviluppo dell’organizzazione sono più coinvolte e appartenenti e più soddisfatte e solidali; dimostrano una maggior resilienza allo stress e minori possibilità di malattia e assenteismo. Il datore di lavoro trae il vantaggio del minor assenteismo e maggior produttività.

Le ricerche più recenti evidenziano che il denaro investito per il b.o. ha un ritorno medio di 4 volte tanto.

Se, come indicato da alcune ricerche del 2012, il lavoratore felice ha performance più elevate, ha un tasso di logoramento inferiore, ha minore assenteismo e minore necessità di assistenza sanitaria, come è possibile che solo oggi si pensi benessere organizzativo? Cosa impedisce che questa diventi una strategia condivisa dalle aziende?

RG: Se ne parla da anni, ma è sempre stato vissuto come un argomento “snob”, per poche aziende che avevano già fatto tutto. E non avevamo tutte le ricerche, di cui disponiamo oggi, a supporto. In questi giorni, alcune aziende milanesi più illuminate si stanno organizzando per condividere una strategia comune, ma altre continuano a mantenere un clima ricattatorio per cui quando un lavoratore non è più al massimo della propria efficienza viene …sostituito da un altro…

Abbiamo a suo parere in Italia un management, dei datori di lavoro, delle società all’altezza di questi difficili compiti? C’è più attenzione al benessere organizzativo in altri paesi?

RG: Purtroppo in questi ultimi anni la crisi ha “paralizzato” molte aziende che, nel dubbio, non hanno fatto nulla ed hanno perso anni. Il management italiano non ha goduto di formazione e sviluppo necessari ad affrontare le sfide con maggior coraggio, indipendenza e spirito critico e si adegua alle richieste dell’imprenditore con uno spirito poco orientato a promuovere cambiamento.

Affrontare la crisi aumentando le ore di presenza in ufficio non migliora la situazione, mentre i colleghi stranieri traggono vantaggio dall’uscire dal lavoro in tempo per fare sport, bere qualcosa con gli amici e occuparsi dei familiari prima di essere troppo stanchi.

Spesso quando si parla sia di malessere che di benessere nel mondo del lavoro si fa riferimento alla flessibilità lavorativa. Secondo lei la flessibilità è da intendere come un fattore positivo o negativo per il benessere del lavoratore?

RG: La flessibilità dovrebbe essere positiva per tutti, perché dovrebbe incontrare le esigenze della persona e dell’organizzazione; in realtà assistiamo spesso a flessibilità a senso unico e spesso solo in funzione delle esigenze organizzative.

Quali sono i principali indicatori di malessere nelle organizzazioni? E come questo malessere si trasforma in depressione, in rassegnazione, in rabbia? Mi pare che lei si sia occupata in passato anche di alcuni casi di suicidio…

RG: Quando si entra nelle organizzazioni si comprende subito il clima, se c’è fiducia e rispetto, se il merito è riconosciuto, se le persone sentono di poter crescere e contribuire, se si può imparare da un errore, chiedere aiuto o se non si è capaci di affrontare diversità e gestire i conflitti. Lo stile di leadership definisce molto le relazioni di collaborazione o competizione interna.

Il suicidio è un caso estremo di malessere in cui si è persa la speranza e ci segnala il senso di grande solitudine del lavoratore: l’impossibilità di potersi esprimere con gli altri di poter chiedere aiuto, di condividere un sentimento di depressione.

Mi pare che in alcune proposte di intervento per migliorare il benessere organizzativo ci sia la proposta di portare a galla il dolore affettivo – ad es. legato ai demansionamenti – in azienda. Quale è il ruolo dell’emozione nei luoghi di lavoro? E cos’è l’intelligenza emozionale?

RG: Il ruolo delle emozioni è fortemente comunicativo e produttore o sabotatore di energia per le persone e per i team. Le emozioni positive costituiscono la base di quella fiducia necessaria alla collaborazione e alla creatività che promuove innovazione. Il senso di perdita che le persone provano, ad es. durante riorganizzazioni, è dato dalla perdita del ruolo e del team di appartenenza. Anche se si mantiene il posto di lavoro si vive la perdita dell’identità lavorativa (quasi totalizzante per gli uomini) e si sperimenta la sindrome dei sopravvissuti (alla prima ondata di uscite di personale) col pensiero che la volta successiva non si avrà la stessa fortuna.

L’intelligenza emozionale è l’emozione compresa mentre la si prova. Ad es. se l’emozione della paura (di perdere il lavoro) fosse espressa da qualcuno del gruppo di lavoro tutti i suoi membri se ne avvantaggerebbero nel sentirsi meno soli. Inoltre, la condivisione della paura ne abbasserebbe l’ intensità per tutti, mettendo a disposizione maggior energia da destinare alla costruttività, anzichè alla difesa.

In conclusione per spingere le aziende a considerare e a attuare strategie che portino al benessere organizzativo, cosa è necessario che accada? Bisogna sensibilizzare i lavoratori? O i datori di lavoro? O addirittura si deve arrivare a qualche nuova legge?

RG: Abbiamo abbastanza leggi, ma poca informazione sui vantaggi sociali ed economici del benessere organizzativo. Ogni anno ci sono premi per le aziende che promuovono benessere, ma per alcuni è ancora un argomento frivolo. Oggi abbiamo molti dati e best practice a supporto e dobbiamo solo aumentarne la diffusione sia per i datori di lavori che per le organizzazioni sindacali, perché la sostenibilità del lavoro andrà in questa direzione.

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

 

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “Salute sul lavoro: depressione, benessere organizzativo e produttività

Indagine competenze Stato/Regioni 8: l’evoluzione delle modifiche in materia di competenze

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter dopo l’approvazione alla Camera (seduta del 10 marzo 2015). Ora la riforma dovrà tornare a Palazzo Madama per l’iter della seconda lettura e approvazione. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

 

Le modifiche al Titolo V della seconda parte della Costituzione continuano il loro iter.

Dopo aver ragionato, nel precedente post, sul percorso articolato della riforma costituzionale, vorrei affrontare un aspetto non sufficientemente sottolineato nei resoconti dei media: i piccoli cambiamenti a cui la riforma è soggetta nei vari passaggi parlamentari.

Se rimaniamo sempre sul tema delle competenze relative alla “tutela e sicurezza del lavoro” anche la variazione di qualche parola, di qualche riga, nella riforma, possono avere un rilevante significato.

Per parlarne riprendo semplicemente un interessante contributo diRocco Vitale, presidente dell’associazione AiFOS, pubblicato da PuntoSicuro il 16 marzo 2015 con il titolo “Dove andiamo con la sicurezza sul lavoro?”. Il contributo racconta quali modifiche la Camera ha apportato al testo predisposto dal Senato.

Buona lettura.

Tiziano Menduto

 


 

Due su quattro. La Camera dei Deputati ha approvato in seconda lettura le  modifiche alla Costituzione. Ci vorrà ancora un anno per la terza e poi quarta lettura. Alla fine verrà proposto un referendum popolare per l’approvazione, o meno, della nuova Costituzione.

In questo provvedimento un aspetto importante, oltre a quelli più noti e discussi, riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro.

In particolare il nuovo testo relativo all’art. 117 della Costituzione apporta all’attuale sistema una modifica fondamentale. Di fatto viene abolita quella che si chiama “legislazione concorrente” delle Regioni e pertanto verrà meno tutto il sistema degli Accordi Stato-Regioni.

Come noto, già nell’agosto dello scorso anno, il Senato della Repubblica aveva dato il via alla prima approvazione delle modifiche all’art. 117. Nei giorni scorsi la Camera, nell’approvare il testo predisposto dal Senato, ha apportato una piccola modifica: poche righe ma significative.

Vediamo nel dettaglio le nuove modifiche.

L’art. 117, modificato dal Senato, definisce la legislazione esclusiva dello Stato in una serie di materie tra cui la “previdenza sociale ivi compresa la previdenza complementare e integrativa”.  La Camera ha modificato questo comma aggiungendovi “tutela e sicurezza del lavoro, politiche attive del lavoro; disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale”.

In buona sostanza viene riaffermato in modo esplicito ciò che di fatto avveniva con l’abolizione delle materie concorrenti: la norma approvata estende il concetto di previdenza sociale a tutela e sicurezza sul lavoro. Dunque, senza possibilità di equivoci o interpretazioni, la materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro rientra nella piena competenza dello Stato non delegabile alla legislazione regionale.

Nel corso dell’esame presso la Camera sono state approvate, sia in sede referente che in Assemblea, alcune modifiche tese a riformulare specifiche materie di competenza legislativa. In particolare, la competenza in materia di tutela e sicurezza del lavoro è stata interamente attribuita allo Stato, mentre nel testo approvato dal Senato lo era limitatamente alle disposizioni generali e comuni [lett. o) e m)].

Come già avvenuto al Senato, anche alla Camera è stato abrogato il comma che definiva la “legislazione concorrente” in ambiti specifici quali la sicurezza del lavoro, l’istruzione, l’alimentazione, la protezione civile, ecc. ecc.

Ed è proprio nell’abolizione della legislazione concorrente che viene ad esercitarsi una profonda modifica dei rapporti normativi.

C’è da chiedersi che cosa succeda adesso, o domani. Per il momento non cambia nulla sino alle approvazioni definitive. Dato per completato l’iter parlamentare delle 4 letture, tra Camera e Senato, verranno – di fatto – modificate tutte le leggi, decreti o decreti legislativi laddove vi siano dei rimandi ad Accordi tra lo Stato e le Regioni. Ciò però, non significa, l’abolizione dalla sera alla mattina di tutti gli Accordi in essere ed approvati. E, d’altro canto, non può nemmeno configurarsi un vuoto legislativo.

Di fatto gli attuali Accordi Stato-Regioni avranno valore fino alla loro decadenza decretata con altri atti che possono essere decreti ministeriali o nuove leggi. Ma non sarà un passaggio semplice. Di fatto ci troveremo ad operare con un sistema legislativo che continuerà ad applicare tali Accordi in attesa della nuova legislazione di riferimento, pur non riconoscendoli più costituzionalmente validi. Sarà un dibattito interessante e che non mancherà di sollevare problemi, polemiche e prospettive.

Come sempre accade – purtroppo – nel nostro abbastanza sgangherato corpus legislativo, sappiamo già che al momento dell’approvazione definitiva delle modifiche costituzionali si presenta la prevedibile necessità di modificare altrettante leggi e norme. Però prima di rimboccarsi le maniche si aspetta il D-Day per cominciare daccapo. Con il risultato che tutto resterà fermo in attesa del “partiam, partiam, partite…” dell’opera, dove tutti cantano ma restano impassibilmente fermi.

Probabilmente succederà ancora una volta così. Si cambierà la Costituzione (già sapendo adesso cosa si cambia) e staremo ad aspettare Godot.

Cosa fare, invece, nell’immediato? Non è vero che non ci sia nulla da fare. I periodi di gestazione e discussione di leggi e norme servono o, meglio, dovrebbero servire ad alimentare il dibattito culturale. In un paese, come il nostro di guelfi e ghibellini, i dibattiti sulle leggi si aprono dopo la loro approvazione con il risultato che ciascuno tende a dare la propria interpretazione.

In un paese moderno e civile il dibattito si fa mentre si lavora al cambiamento e, allorquando la norma viene approvata, cessano le parole e si inizia il percorso della sua applicazione.

Verrebbe da chiedersi perché di questo tema non se ne parli. Siamo tutti – da anni ormai – in attesta della modifica dell’Accordo Stato Regioni del 2006 sugli RSPP e non abbiamo il coraggio di dire che si sta pensando (da anni) ad una sistema normativo che verrà abolito. I puristi della dottrina diranno che il sistema attuale non è cambiato e dunque si va avanti come se nulla fosse. Una bella risposta da politica dello struzzo che mette la testa sotto la sabbia, perché non vuole vedere, ma all’aria – ben visibile – sta la parte posteriore.

Varrebbe la pena, allora, iniziare nello stesso momento in cui si parla di semplificazioni, delle nuove politiche del lavoro, del Job Acts, dell’ Agenzia Unica, a discutere tenendo presente il faro di riferimento rappresentato dalle modifiche dell’art. 117 della Costituzione e procedere con logica conseguenza. Almeno in una fase di confronto, dialettica e dibattito quale contributo ai temi della salute e sicurezza le cui (nuove) norme, non dovrebbero produrre carta ed adempimenti formali, bensì costituire atti sostanziali per la prevenzione degli infortuni, degli incidenti sul lavoro e delle malattie professionali. Questo è il tema anche se, spesso, nel suo svolgimento viene dimenticato il titolo e si discute dei fogli, della penna, dell’inchiostro e dei bolli. Tutte cose assai utili per scrivere il tema, ma non il suo contenuto.

Rocco Vitale, presidente AiFOS

Link all’articolo originale di PuntoSicuro

 

 

Indagine competenze Stato/Regioni 7: quando si completerà l’iter delle modifiche costituzionali?

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter dopo l’approvazione alla Camera (seduta del 10 marzo 2015). Ora la riforma dovrà tornare a Palazzo Madama per l’iter della seconda lettura e approvazione. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

Il 10 marzo la Camera dei deputati – con 357 sì, 125 no e 7 astenuti – ha approvato la riforma costituzionale che contiene non solo importanti cambiamenti riguardo al bicameralismo e al Senato, ma anche le modifiche all’articolo 117 della Costituzione di cui parliamo da mesi in questo blog di informazione. Modifiche che riporterebbero le competenze relative alla “tutela e sicurezza del lavoro” allo Stato.

A leggere i titoli dei media – cartacei e non – ogni approvazione della riforma costituzionale sembra definitiva. Sembra che il nuovo assetto istituzionale sia cosa fatta, che dall’oggi al domani le rilevanti modifiche possano entrare in vigore.

Per fortuna non è così: cambiare la nostra Costituzione prevede un lungo iter che dovrebbe permettere modifiche meditate e, laddove possibile, condivise. Un iter che ci permette di valutare attentamente le conseguenze di ogni virgola alterata della legge fondamentale della Repubblica italiana e l’impatto sulla nostra democrazia.

Non entro nella discussione, invero allettante, se questo stia accadendo o meno, se le proposte siano sufficientemente meditate e condivise. In epoca di semplificazioni e razionalizzazioni esasperate, non sarebbe la prima volta che in Italia il tempo non sia un valore a cui si dà la giusta importanza. Tuttavia è bene ricordare quale sia l’iter di una modifica costituzionale in Italia.

Anche perché se diamo per scontato che le modifiche all’articolo 117 della Costituzione sono destinate ad essere approvate definitivamente (se il progetto di legge costituzionale dovesse arenarsi, in realtà lo farebbe su ben altri temi che non quello relativo all’articolo 117) è bene che ciascuno di noi sappia, a livello indicativo, quando questo accadrà. E quando entreranno in vigore i cambiamenti annunciati…

Sul tema della recente approvazione alla Camera, è intervenuto su PuntoSicuro, Rocco Vitale, presidente dell’Associazione AiFOS. Prima di parlarne, in un prossimo post, vorrei riportare oggi un breve schema da cui partire per poter dare un’idea dell’iter normativo e, indirettamente, dei tempi. È un semplice schema pubblicato sul sito di un Istituto Professionale di Stato e che ha il felice dono della chiarezza e della sinteticità.

Immagine blog_pdfIterCostCliccare sull’immagine per scaricare e visualizzare lo schema

Dunque 4 votazioni (ne abbiamo avute fino ad oggi 2).

Se si approva con maggioranza qualificata (2/3) si passa direttamente alla promulgazione, altrimenti può essere richiesto un referendum (ne ha parlato più volte il nostro Presidente del Consiglio).

Infine per approfondimenti più “spinti” vi lascio un link presente sul sito della Camera. E’ un analisi, di Gian Carlo Perone, dal titolo “L’iter legislativo : l’esame delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale”, sul procedimento di revisione della Costituzione.

Immagine blog_pdfCamCostCliccare sull’immagine per scaricare il documento

Buona lettura.

Tiziano Menduto

 

Indagine competenze Stato/Regioni 6: per le ispezioni è meglio un’Agenzia Unica?

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter dopo la recente approvazione alla Camera (seduta del 10 marzo 2015). Ora la riforma dovrà tornare a Palazzo Madama per l’iter della seconda lettura e approvazione. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

 

Della legge delega per la riforma del lavoro, ormai chiamata da tutti “Jobs Act”, si parla in Italia da mesi. Di questa legge, già approvata ed entrata in vigore, i media hanno sfornato tutti i possibili dettagli in materia di reintegro, licenziamenti, ammortizzatori, nuovi contratti. Innumerevoli talk show hanno cercato di chiarire se questa legge servirà o meno a diminuire la disoccupazione in Italia, se l’azzardo verso le “tutele crescenti” non sia un modo di nascondere la riduzione delle “tutele presenti”. I grandi giornali cartacei hanno ricoperto le proprie prime pagine di titoli sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sull’opportunità osteggiata, discussa o esaltata di cambiare le regole in materia di licenziamenti.

Peccato che invece pochi media si sianoinvece soffermati su un aspetto del “Jobs Act” meno conosciuto e per questo più insidioso: i cambiamenti in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori con particolare riferimento alle “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”.

Quali cambiamenti?

Innanzitutto cambiamenti dipendenti dalla delega in materia di sicurezza, delega per modifiche che tengano conto dei criteri della semplificazione e razionalizzazione.

Ma una ulteriore delega, ancor più sottaciuta dai media e sempre ispirata dagli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione, riguarda anche il compito di istituire una sorta di “Agenzia unica delle ispezioni del lavoro”.

Questo è uno stralcio del comma 7 dell’articolo 1 del Jobs Act approvato:

7. Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi, in coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le convenzioni internazionali:

(…)

i) razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l’istituzione, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’INPS e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.

 

Per cogliere la connessione tra Jobs Act e riforma del titolo V della Costituzione, tra l’Agenzia Unica delle Ispezioni e il passaggio delle competenze allo Stato in materia di sicurezza, riprendiamo uno stralcio di un contributo, pubblicato con il titolo “Vigilanza e competenze: l’Agenzia unica delle ispezioni del lavoro” su PuntoSicuro del 15 gennaio 2015, di Massimo Peca, Ispettore tecnico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, componente del Coordinamento Spontaneo degli Ispettori del Ministero (CSI-MLPS).

Per comprendere infine il percorso a ostacoli del futuro decreto attuativo relativo all’Agenzia Unica, riportiamo a seguire, infine, lo stralcio di una mia intervista a Sebastiano Calleri, il Responsabile Salute e Sicurezza della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil) nazionale. Intervista pubblicata su PuntoSicuro il 5 marzo 2015 con il titolo “Jobs Act: le modifiche in materia di ispezioni e formazione”.

Buona lettura.

Tiziano Menduto


 

Vigilanza e competenze: l’Agenzia unica delle ispezioni del lavoro

Lo “stato dell’arte” dell’Agenzia unica delle ispezioni del lavoro” in relazione alle probabili competenze sulla salute e sicurezza dei lavoratori. A cura di Massimo Peca.

(…)

Dalla lettura dei testi anzidetti (il comma 7 dell’articolo 1 del Jobs Act, ndr), appare evidente che, mentre nel caso in cui venisse realizzata l’Agenzia, questa potrebbe interessare solo le funzioni ispettive dell’INPS e dell’INAIL, per quanto riguarda le attività ispettive descritte delle ASL e ARPA (circa 250 in tutto), la legge delega (e di conseguenza il decreto legislativo che ne deriverebbe) prevede solo delle “forme di coordinamento” e quindi tali funzioni non potrebbero essere ricomprese tra i compiti dell’agenzia, se verrà realizzata. Ciò a causa del vincolo posto dal Parlamento al Governo.

Lo stesso Governo Renzi ha presentato l’8 aprile 2014 al Senato, il disegno di legge costituzionale S1429 per la riforma del titolo V della Costituzione. Per quanto d’interesse in questa trattazione, la modifica dell’articolo 117 della Costituzione predisposta dal Governo prevedeva la seguente formulazione: “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie e funzioni: … norme generali per la tutela … e sicurezza del lavoro”. Il testo licenziato dal Senato ed ora in discussione alla Camera (C2613) è stato privato della parola “funzioni”, sebbene sia stato emendato nelle varie commissioni affari costituzionali.

Seppure il percorso della riforma costituzionale dell’articolo 117 non si sia ancora concluso, è importante rilevare dalla lettura del testo originario del Governo, che l’intenzione dello stesso parrebbe essere quella di creare i presupposti normativi costituzionali per riportare alla competenza esclusiva dello Stato non solo l’importantissima ed esclusiva potestà legislativa relativa alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, ma anche quella delle “funzioni” ad essa connessa, cioè l’attività di vigilanza a parere di chi scrive. Ben più pregnante, impegnativa e profondamente riformatrice dell’apparato pubblico ad essa destinato: principalmente ASL e ARPA. Le date di trasmissione dei due disegni di legge sono sintomatiche.

Orbene, seppure la riforma dell’articolo 117 della Costituzione tornasse nella sua precedente formulazione, cioè ricomprendendo anche le “funzioni”, queste sarebbero impossibili da esercitare se non previa modifica sia della legge delega appena approvata (183/2014) che del conseguente decreto legislativo, perché esulerebbero dai vincoli “imposti” dal Parlamento. O meglio, sarebbe più opportuno parlare di vincoli “votati” dal Parlamento.

Sarebbe importante che l’obiettivo della riforma legislativa in atto fosse quello di ricondurre alla gestione unitaria dell’Agenzia, tutte le competenze frazionate in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro già assegnate ai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, della salute, dello sviluppo economico, della difesa per la parte di competenza sulle funzioni delle Capitanerie di porto in merito alla navigazione civile, al Servizio sanitario nazionale, alle ARPA, alle Regioni direttamente o alle Province e pertanto dovrebbero essere ricondotte all’Agenzia anche i compiti svolti da organismi regionali o statali relativi a:

– porti e navigazione delle navi mercantili e da pesca;

– ferrovie e aeroporti;

– industrie estrattive a cielo aperto o sotterranee, torbiere;

– acque minerali e termali;

– radiazioni ionizzanti in ambito sanitario.

Si evidenzia come l’Agenzia così definita, esercitando i compiti già assegnati ad altri organi pubblici, statali o locali, riunirebbe in un unico soggetto una molteplicità di funzioni che attualmente sono sovrapponibili con quelle già presenti in alcune direzioni generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per tale ragione, il Ministero di riferimento non avrebbe più la necessità di contenere al suo interno la Direzione generale dell’attività ispettiva, le divisioni II e VI della Direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro, similmente per gli altri Ministeri indicati. In termini generali, i principali compiti specifici dell’Agenzia, relativamente agli aspetti della salute e sicurezza dei lavoratori, sono ben delineati negli articoli 5, 6 e 7 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

Questa sarebbe una vera riforma di una parte della pubblica amministrazione che consentirebbe di affrontare in modo decisivo ed organico i 2’282’000 tra malattie professionali e ad esse assimilate degli ultimi 12 mesi (di cui tra i 700 e 900 causano la morte – dato sottostimato) rispetto ai “soli” 714’000 infortuni dello stesso periodo, di cui 833 mortali (INAIL – ultimo rapporto). Nel nostro Paese, una stima prudenziale del 4% di tutte le morti per neoplasie, porterebbe a quantificare in 6’400 l’anno quelle di origine lavorativa (Ultimo Piano sanitario nazionale).

Massimo Peca

NB: Ai sensi della circolare del MLPS del 18 marzo 2004, le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro

 


 

 

Jobs Act: le modifiche in materia di ispezioni e formazione
Il Jobs Act e i decreti attuativi introducono varie novità: dall’Agenzia Unica per le ispezioni alla possibile fine dell’obbligo di formazione per i lavoratori demansionati. Ne parliamo in un’intervista con Sebastiano Calleri, responsabile sicurezza Cgil.

 

(…)

Altri due punti che è necessario chiarire in merito al Jobs Act sono relativi alla legge-delega sulla normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro di cui, ad oggi, si sa poco o nulla e all’ Agenzia unica delle ispezioni del lavoro a cui si fa cenno nel Jobs Act approvato a dicembre e a cui sarebbe dedicato un decreto attuativo che è ancora in fase di definitiva formulazione.

(…)

Credo che poi nel provvedimento già approvato a dicembre ci fosse già il riferimento ad un Agenzia Unica per le ispezioni…

Sebastiano Calleri: C’è una delega del Jobs Act dedicata espressamente a questo. Doveva andare in Consiglio dei Ministri il 20 febbraio. Non ci è andata.

Noi abbiamo accolto positivamente questa cosa perché la bozza di decreto rispetto all’Agenzia Unica non ci piaceva affatto e non ci piaceva per due motivi.

Uno perché è una delega come al solito senza alcuna risorsa, cioè a invarianza della finanza pubblica. E’ una riorganizzazione basata sul risparmio economico nella quale si prevede l’abolizione, per esempio, delle Direzioni Territoriali del Ministero del lavoro e anche di quelle interregionali nell’ottica della razionalizzazione, ma in realtà di un accorpamento e di un taglio di fondi. Non si dice poi nulla di quello che l’Agenzia farà.

Vi dico solo una chicca che era contenuta nella Relazione Illustrativa del provvedimento: c’è l’ispettore, fa il suo lavoro sul territorio e quindi non ha bisogno di un ufficio per tutta la settimana, e poi torna una volta a settimana a scaricare le pratiche all’interno della struttura. Questo è un modo di vedere le cose che non ci soddisfa. Primo perché in realtà le professionalità presenti all’interno dei servizi ispettivi del Ministero del Lavoro (…) sono professionalità multiformi che hanno bisogno di formazione (…) e soprattutto hanno bisogno di mezzi (…).

Crediamo che anche questa sia un’operazione da fare con molta attenzione e molta cautela. Noi non siamo in toto contrari all’Agenzia e alla sua istituzione. Però si deve fare con un criterio di positività di tutti, sia per i lavoratori che ci lavorano dentro e in seconda battuta per i lavoratori che devono essere salvaguardati da questa Agenzia. Non possiamo abbassare né il livello, né il numero delle ispezioni. (…) In realtà le ispezioni sono poche su tutto il territorio nazionale e non si raggiungono dei livelli ottimali.

E poi c’è il problema del raccordo, del coordinamento con i servizi ispettivi delle Asl sotto il Ministero della Sanità. Questa è una grossa querelle che sappiamo che parte dall’ articolo 117 della Costituzione, dalla volontà di cambiarlo e da tutto quello che c’è sulle Regioni. Ha senso fare un’Agenzia che poi non integra in qualche modo anche le attività di vigilanza delle Regioni? (…).

 

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro

Indagine competenze Stato/Regioni 5: perché le competenze allo Stato

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter dopo la recente approvazione alla Camera (seduta del 10 marzo 2015). Ora la riforma dovrà tornare a Palazzo Madama per l’iter della seconda lettura e approvazione. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

Dopo aver descritto nelle scorse settimane la situazione attuale delle competenze in materia di salute e sicurezza e aver approfondito il tema del ruolo delle regioni, veniamo ora ad analizzare storia e conseguenze del probabile futuro passaggio (in realtà, un ritorno) di competenze allo Stato.

E per farlo utilizzo il racconto e il parere di una persona che sull’utilità di riportare le competenze allo Stato credo non abbia mai avuto dubbi e che ha dovuto spesso affrontare, nel suo lavoro, le difficoltà di quel gioco “concorrenziale” di competenze tra Stato e Regioni che ha causato non pochi ritardi nella legislazione.

Sto parlando dell’avvocato Lorenzo Fantini, ex dirigente del Ministero del Lavoro, che in questi anni è stato, non solo dall’interno del “Palazzo”, uno dei principali referenti dell’applicazione e attuazione del D.Lgs. 81/2008, ma anche il felice connettore di una miriade di progetti e accordi in materia della sicurezza.

Quello che presento è un suo contributo in due puntate presentato su PuntoSicuro il 05 dicembre 2014 (“Le competenze legislative in materia di salute e sicurezza”) e il 10 dicembre 2014 (“Competenze Stato-Regioni e Jobs Act: le prospettive di un mutamento”), per cui ben prima della recente approvazione (con modifiche che affronteremo più avanti), dopo il Senato, della Camera dei Deputati.

Del suo contributo presento in particolare la parte che riguarda proprio il tema delle competenze Stato/Regioni in materia di sicurezza, rimandando poi ai link per una lettura integrale dei contributi su PuntoSicuro.


 

Le competenze legislative in materia di salute e sicurezza

Le competenze legislative in materia di salute e sicurezza

La competenza legislativa in materia di salute e sicurezza tra assetto attuale e possibili prossime novità. Brevi considerazioni sulla competenza “ripartita” tra Stato e Regioni in materia di salute e sicurezza. Di Lorenzo Fantini.

(…)

1. Il “testo unico” di salute e sicurezza come corpo normativo “cedevole”

Il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in piena coerenza con il criterio di delega a suo tempo introdotto dalla legge n. 123 del 2007 (il cui articolo 1 recava i principi da attuare per l’esercizio delle relativa delega), individua esplicitamente – in apertura del provvedimento – l’obiettivo principale dell’intervento legislativo, identificato nel “riordino e coordinamento” delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza “delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo”.

Le ragioni della rivisitazione sono molto chiaramente identificate nella “Relazione di accompagnamento” al d.lgs. n. 81/2008, ove è dato leggere quanto segue: “l’attuale regolamentazione è il risultato di una stratificazione di norme, molte delle quali di derivazione comunitaria, emanate nell’arco di quasi sessanta anni. Il sistema che ne è disceso è caratterizzato da una notevole complessità nonché strutturato sul modello della grande impresa, tanto da imporre alle aziende ed agli organi di vigilanza un approccio alla sicurezza unicamente per regole, tassative ed assistite da sanzione penale, e non per obiettivi. Ne sono derivati problemi di adattabilità alla realtà produttiva italiana, fondata sulle imprese di piccole o piccolissime dimensioni, in particolare nei settori (si pensi, per tutti, ai cantieri edili o alla agricoltura) nei quali l’utilizzo del lavoro nero ed irregolare determina una minore attuazione di cautele antinfortunistiche.Per tali ragioni il Governo ha perseguito con convinzione l’obiettivo della creazione di un “Testo Unico” di salute e sicurezza sul lavoro avente natura non solo compilativa ma anche innovativa del sistema vigente, al fine di perfezionarlo, nel rispetto della filosofia delle direttive comunitarie in materia e del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, il quale – come noto – trova i suoi capisaldi nella programmazione della sicurezza in azienda, da realizzare tramite la partecipazione di tutti i soggetti delle comunità di lavoro”.

Tale obiettivo andava, naturalmente, necessariamente perseguito in un contesto costituzionale radicalmente modificatosi nel 2001.

In particolare, va ricordato che l’articolo 117 della Costituzione, comma 3, quale risultante all’esito della legge costituzionale n. 3 del 2001, colloca tra le materie riservate alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni anche la “tutela e sicurezza del lavoro”, mentre il successivo comma 4 dispone — ribaltando la prospettiva precedente alla riforma del 2001 — che: “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”[1].

In ogni caso, rispetto alle materie di legislazione concorrente “la determinazione dei principi fondamentalientro i quali deve esplicarsi la potestà legislativa concorrente delle Regioni viene “riservata alla legislazione dello Stato” (comma 3, ultimo inciso, articolo 117 Cost.).

Per queste ragioni, la già citata “Relazione illustrativa” al d.lgs. n. 81/2008, rimarcava come la legge di delega (attuata dal d.lgs. n. 81/2008) prevedesse “non solo una operazione di riorganizzazione della normativa di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro bensì anche la rivisitazione della medesima materia attraverso l’armonizzazione di tutte le leggi vigenti in una logica unitaria ed innovativa e nel pieno rispetto delle previsioni dell’art. 117 della Costituzione, il cui terzo comma attribuisce alla competenza ripartita di Stato e Regioni la materia della “tutela e sicurezza del lavoro”.

Di conseguenza, sempre secondo la “Relazione illustrativa”, il “testo unico” identifica “come imposto dall’articolo 1, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 123, i principi e i livelli essenziali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che devono essere gli stessi sull’intero territorio nazionale, ferma restando la facoltà delle Regioni di esercitare la propria potestà legislativa concorrente, sempre in maniera tale da non intaccare complessivamente alcune garanzie di base che assumono un ruolo fondamentale in una materia come quella della salute e sicurezza del lavoro che riguarda beni di natura primaria costituzionalmente tutelati”.

In tale contesto risulta, quindi, fondamentale la formulazione del secondo capoverso dell’articolo 1 del d.lgs. n. 81/2008, il quale specifica che il decreto legislativo n. 81/2008 persegue le proprie finalità da un lato “nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia” e dall’altro in coerenza con l’assetto delle competenze tra Stato e Regioni, “garantendo l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Attraverso il richiamo ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” il “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro dimostra di voler garantire l’assenza di diversificazioni di disciplina e assicurare, quindi, l’uniformità della disciplina legale in materia di sicurezza sul lavoro sull’intero territorio nazionale attraverso l’attribuzione allo Stato della legislazione sui “minimi di tutela” lasciando alle Regioni il compito di operare attraverso un sistema di opting out upwards, cioè unicamente tramite deroghe migliorative.

Tale interpretazione risulta rafforzata dalla lettura del comma 3 dell’articolo 1 della legge n. 123 del 2007, il quale imponeva al legislatore delegato di non prevedere alcun abbassamento dei livelli di tutela raggiunti, limite valido anche per i legislatori regionali. Resta inteso che, come puntualmente evidenziato dalla “clausola di cedevolezza” inserita al comma 2 dell’articolo 1 della legge n. 123/2007, le Regioni sono libere di disciplinare la materia liberamente sostituendosi — sempre nel rispetto dei livelli di tutela appena citati — alla normativa statale, espressione del “potere sostitutivo” dell’Amministrazione centrale, le cui regolazioni in materia sono destinate a perdere efficacia una volta che Regioni e Province autonome decidano di esercitare il loro potere legislativo.

2. Gli indirizzi sistematici del passato: una breve ricostruzione.

La dottrina giuslavoristica pronunciatasi sull’assetto costituzionale sopra richiamato ha in passato costantemente rimarcato come il testo dell’articolo 117 della Costituzione sia quanto meno di difficile interpretazione, se non addirittura “criptico in merito ai contenuti ed ai confini della competenza legislativa attribuita alle Regioni” (in questi termini M. Magnani, Il lavoro nel Titolo V della Costituzione, in ADL, n. 3, 2002, 646, la quale sottolinea altresì come tale ripartizione di materia in ambito lavoristico non risulti “essere stata oggetto di attenta discussione nei lavori parlamentari”).

In particolare, è stato sottolineato come tali problemi divengano ancora più complessi ove si consideri che il diritto del lavoro è una materia ove opera un sistema complesso di fonti, non solo legislative, che possono dirsi – in via di prima approssimazione – dirette a dare concretezza alla tutela di diritti fondamentali dell’individuo.

A fronte di tale realtà, il punto essenziale è quello di capire se ed in quale misura il diritto del lavoro in senso stretto, quello sindacale, quello della previdenza sociale e la salute e sicurezza sul lavoro continuino ad essere – a costituzione variata – materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato o se ed in quale misura, viceversa, debbano intendersi affidate alla legislazione concorrente Stato-Regioni oppure a quella esclusiva delle sole Regioni.

A tale riguardo, appare fondamentale individuare il concetto di “ordinamento civile” dello Stato (secondo comma, lettera l), dell’articolo 117 della Costituzione nel testo introdotto dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3 del 2001) a fine di capire se in tale previsione debba farsi rientrare, in tutto o in parte, la materia del lavoro complessivamente e/o nelle sue singole partizioni considerata.

Con specifico riferimento all’espressione ordinamento civile”, ritengo necessario segnalare come la dottrina vi riconduca pressoché in maniera unanime l’intera disciplina del contratto e del lavoro subordinato[2] che risulterebbe in tal modo assistita da una riserva di legge statale, anche se gli interpreti si dividono sulle ragioni in base alle quali detta disciplina debba essere considerata come appartenente all’ “ordinamento civile” dello Stato. Così taluni hanno affermato semplicemente che farebbero parte dell’ “ordinamento civile” dello Stato tutte le materie regolate dal Codice civile e, comunque, tradizionalmente ricomprese nel diritto privato[3], altri hanno concluso nel senso appena esposto prescindendo da una interpretazione del dettato dell’articolo 117 della Costituzione (nel testo attualmente vigente) condotta secondi i canoni propri della legge ordinaria ed orientata dalla considerazione dei “principi fondamentali” enunciati dalla Costituzione (M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, op. cit., 26).

In particolare, secondo i fautori di tale seconda corrente di pensiero, la legislazione in materia di regolamentazione del rapporto di lavoro dovrebbe essere riservata al solo Stato in applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale nella vigenza del precedente testo dell’articolo 117 – ritenuti applicabili anche in relazione al nuovo dettato introdotto nel 2001 – e secondo i quali: “l’ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale di uguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati”[4]. Ne deriva, sempre seguendo l’orientamento appena considerato, che il diritto del lavoro strictu sensu non tollererebbe una differenziazione per territorio proprio in quanto la disciplina del rapporto di lavoro potrebbe davvero dirsi rispettosa del principio costituzionale di eguaglianza solo ove essa non sia differenziata per aree geografiche. In tale ottica, la materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro dovrebbe essere ricompresa tra quelle riconducibili al concetto di “ordinamento civile” in quanto trova la sua norma-cardine nell’articolo 2087 del Codice civile che è norma diretta a disciplinare i rapporti tra privati imponendo al datore di lavoro l’obbligo di apprestare ogni misura di tutela nei confronti dei propri prestatori di lavoro (M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, op. cit., 24).

Altra parte della dottrina è giunta ad una interpretazione parzialmente diversa del dettato costituzionale in commento, per quanto pur sempre diretta a dare coerente soluzione al problema della uniformità della disciplina legale in materia di sicurezza sul lavoro sul territorio nazionale. In particolare, vi è stato chi ha ritenuto che facendo leva sull’articolo 117, 2° comma, lettera m), della Costituzione, che, si ripete, attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti di diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, si potrebbe superare la apparente dicotomia tra “ordinamento civile” e “tutela e sicurezza sul lavoro” e ritenere attribuita allo Stato una legislazione sui minimi – che in determinati casi potrebbe spingersi fino alla normativa di dettaglio – lasciando alle Regioni il compito di modulare oltre il minimo la legislazione in materia di lavoro e sicurezza (M. Biagi, Il lavoro nella riforma costituzionale, in DRI, n. 2 , 2002, 157).

Al fine di avere un quadro di riferimento maggiormente completo e, al contempo, di comprendere bene la notevole complessità della questione dell’assetto delle competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro, può essere utile ricordare quanto accaduto ancora prima del 2008, in relazione al tentativo – poi fallito – di attuare la delega (anch’essa per la rivisitazione e la razionalizzazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro) di cui all’articolo 3 della legge n. 229 del 2003 (legge “di semplificazione” 2001), il cui termine ultimo era stato, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 306, prorogato al 30 giugno 2005.

Al fine di attuare tale delega era, infatti, stato approvato dal Consiglio dei Ministri, in data 18 novembre 2004, un articolato al tempo anch’esso comunemente definito come “Testo Unico” di salute e sicurezza sul lavoro. Tuttavia, il relativo schema di decreto, dopo essere stato trasmesso alle Commissioni XI e XII per i pareri di competenza, venne ritirato dal Governo nel mese di maggio del 2004. Tale decisione, oltre che frutto di valutazioni politiche indotte dalle posizioni critiche espresse dalla Conferenza Stato-Regioni alla seduta del 3 marzo 2005, venne adottata anche in ragione del parere espresso sulla bozza di articolato dal Consiglio di Stato in data 7 aprile 2005 (in Bollettino ADAPT del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi”,n. 16, del 2 maggio 2005), il quale ha segnalato al Ministero proponente (quello del Lavoro e delle Politiche Sociali) l’opportunità di procedere ad una modifica dell’impostazione del testo di una così ampia rilevanza da far preferire al Governo il ritiro della bozza, la quale avrebbe tramite tali modifiche perso alcune delle sue più pregnanti caratteristiche.

In particolare, in tale parere il Consiglio di Stato, sul presupposto che nel caso di specie il principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni non avrebbe potuto operare in ragione del parere negativo (parziale, in quanto la Regione Lazio ed i Comuni avevano manifestato il proprio consenso) espresso sulla bozza di decreto legislativo in parola dalla Conferenza Stato-Regioni alla citata riunione del 3 marzo 2004, ha innanzitutto evidenziato come: “le prescrizioni finalizzate alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro non costituiscono (…) il frutto dell’autonomia contrattuale delle parti ma vengono eteroimposte”, non rientrando pertanto nell’”ordinamento civile dello Stato”, come invece sostenuto dal Ministero del Lavoro nei documenti illustrativi del “Testo Unico”, evidentemente in applicazione dell’orientamento sopra riportato. Ciò, specifica il Consiglio di Stato, a differenza di quanto attinente alla materia regolata dalla allora molto di attualità “Riforma Biagi” (la quale, come evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2005, è quasi del tutto riconducibile “alla disciplina intersoggettiva del rapporto di lavoro”).

Sulla base di tale presupposto logico, il parere citato ha “inquadrato” la totalità della materia della salute e sicurezza sul lavoro nell’area della concorrenza procedendo, quindi, ad una ampia dissertazione (tramite la rassegna della giurisprudenza della Corte costituzionale in materie connesse) su temi quali i “principi fondamentali”, le “clausole di cedevolezza”, la normativa “di dettaglio” e la attuazione delle direttive comunitarie.

All’esito di tale operazione, il Consiglio di Stato ha esposto testualmente quanto segue:

“- il legislatore statale può adottare solo norme costituenti principi fondamentali e non anche disposizioni di dettaglio, benché cedevoli;

– le disposizioni di dettaglio preesistenti restano in vigore con carattere della cedevolezza, fino a quando esse non vengono sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema;

– in relazione a tali disposizioni di dettaglio preesistenti, lo Stato non dispone della legittimazione ad innovarle, ma può solo svolgere un’attività meramente ricognitiva, fermo restando il carattere di cedevolezza delle disposizioni stesse.

A tali principi sempre il Consiglio di Stato ha aggiunto che:

nelle materie a legislazione concorrente, avendo lo Stato perduto la potestà regolamentare, le leggi previgenti, attributive della potestà regolamentare allo Stato, debbono ritenersi venute meno a seguito della emanazione del nuovo Titolo V della Costituzione che esclude che lo Stato possa disciplinare le materie predette nella loro intera estensione e, per giunta, a livello regolamentare (Cons. Stato, Ad. gen., 11 aprile 2002, n. 1/2002; 17 ottobre 2002, n. 5/2002);

– in sede di attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, il potere sostitutivo attribuito allo Stato in caso di inadempimento da parte delle Regioni presuppone la possibilità che lo Stato possa intervenire in via preventiva adottando una normativa di carattere cedevole e ad efficacia differita alla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole Regioni inadempienti (Cons. Stato, Ad. Gen., 25 febbraio 2002, n. 2/2002)”.

Il parere del Consiglio di Stato, per quanto ormai risalente nel tempo, appare di particolare rilevanza perché reso su un testo – per quanto mai approvato – che esattamente come il d.lgs. n. 81/2008 costituisce un “codice” concernente la disciplina di una materia attribuita alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni.

Ad esso, quindi, ritengo che si debba necessariamente guardare per comprendere le possibilità, le criticità e le ricadute di una possibile riforma della salute e sicurezza sul lavoro, che possa comprendere anche il mutamento, totale o parziale, delle competenza legislativa e/o istituzionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Tale tema è di assoluta attualità, solo che si consideri che il disegno di legge di riforma della Costituzione che è stato presentato dal Governo Renzi prevede che la salute e sicurezza sul lavoro torni di competenza esclusiva dello Stato e che un documento di particolare importanza in materia, come la “Relazione finale” – approvata in data 15 Gennaio 2013 dal Senato della Repubblica[5] – predisposta da parte della Commissione parlamentare di inchiesta per gli infortuni sul lavoro, identifica tra le principali criticità del sistema di prevenzione italiano attuale la mancanza di uniformità degli indirizzi della Pubblica Amministrazione in materia di salute e sicurezza proponendo, come cercherò di esporre nel dettaglio nella seconda parte di questo contributo, una sostanziale devoluzione della vigilanza (se non proprio di tutta la competenza in materia) sulla salute e sicurezza allo Stato (in questo caso “rappresentato” da una Agenzia).

Avv. Lorenzo Fantini

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro: dall’articolo è possibile visualizzare il testo originale all’intervento presentato…


 

Competenze Stato-Regioni e Jobs Act: le prospettive di un mutamento

Competenze Stato-Regioni e Jobs Act: le prospettive di un mutamento

La competenza legislativa in materia di salute e sicurezza tra assetto attuale e possibili novità. Considerazioni sulla legislazione concorrente, sul Jobs Act e sulla possibile rivisitazione delle competenze istituzionali. Di Lorenzo Fantini.

(…)

3. La prospettiva di un mutamento delle competenze di Stato e Regioni in materia di salute e sicurezza

Nella prima parte di questo contributo ho cercato di fornire una – per quanto sintetica – ricostruzione storica e sistematica delle ragioni e dei contenuti della definizione, operata dal “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro, dell’assetto delle competenze tra Stato e Regioni in materia antinfortunistica.

Al riguardo, ritengo utile sottolineare come il tema del cambiamento delle competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro sia stato, negli anni successivi alla pubblicazione del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro e del decreto “correttivo” (d.lgs. n. 106/2009) del d.lgs. n. 81/2008, di costante attualità, per ragioni non tanto di tipo dottrinale quanto, invece, più legate alla difficoltà di applicazione di una normativa non semplice nelle diverse parti del territorio italiano, troppo spesso interpretata dagli organi di vigilanza competenti in materia – i quali, va ricordato, sono ex lege le ASL ma anche, in taluni settori (edilizia su tutti) le Direzioni Territoriali del Lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, in altri, organi diversi (si veda quanto previsto all’articolo 13 del d.lgs. n. 81/2008) – in modo niente affatto uniforme nelle diverse Regioni o Province autonome.

In tale contesto, solo in parte mitigato dalla operatività (oggi apprezzabile, dopo un primo periodo di stasi nelle relative attività) della Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza (chiamata a fornire indirizzi operativi comuni agli organi di vigilanza di Stato e Regioni su temi di natura generale discussi in materia di salute e sicurezza sul lavoro) prevista dall’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008, si è sempre più diffusa tra gli operatori la convinzione che sia opportuno se non addirittura necessario un mutamento almeno dell’assetto istituzionale – se non proprio delle competenze legislative – della salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento alle attribuzione della titolarità della vigilanza in materia.

Al riguardo, valore paradigmatico va attribuito alle ampie considerazioni svolte al punto 2.5. della “Relazione finale”, approvata in data 15 Gennaio 2013 dal Senato della Repubblica[6], da parte della Commissione parlamentare di inchiesta per gli infortuni sul lavoro, che si riportano – parzialmente – di seguito.

2.5. La proposta della Commissione. L’istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro

In vista della scadenza del suo mandato, la Commissione d’inchiesta ha sentito come suo dovere non solo la necessità di segnalare l’esistenza di una serie di difficoltà e di ritardi nel coordinamento e nella cooperazione tra gli organismi statali e periferici del sistema della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, ma anche l’esigenza di individuare e suggerire, al Governo e al Parlamento, possibili soluzioni. La prima ipotesi presa in considerazione è stata quella di una proposta di modifica dell’articolo 117 della Costituzione per riportare alla competenza esclusiva dello Stato la potestà legislativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Si trattava certamente di una proposta «forte», in quanto incideva direttamente sull’assetto del nostro sistema istituzionale e, come tale, è stata oggetto di un’ampia riflessione all’interno della Commissione.

Con questa proposta di revisione costituzionale non si intendeva tuttavia sottrarre competenze o poteri alle Regioni e alle Province autonome, in nome di una malintesa forma di statalismo o centralismo, bensì piuttosto ripristinare le condizioni per l’esercizio di un effettivo potere di indirizzo e di programmazione nelle politiche a favore della salute e sicurezza sul lavoro, capace di dispiegarsi in maniera univoca su tutto il territorio nazionale, per assicurare uguali livelli di tutela di diritti che – è bene ribadirlo – sono costituzionalmente garantiti. Un potere di questo tipo potrebbe essere esercitato soltanto dallo Stato, ma non andrebbe ad interferire con le altre attribuzioni spettanti alle Regioni in questo settore, considerato tra l’altro che l’azione amministrativa – ossia le concrete competenze operative, volte a tradurre in pratica gli indirizzi politici – dovrebbe necessariamente esplicarsi a livello locale, come prevede del resto anche l’articolo 118, primo comma, della Costituzione, in applicazione del principio di sussidiarietà.

Questa posizione trova conforto nel confronto con l’assetto normativo di altri Paesi. All’inizio della XVI legislatura, la Commissione d’inchiesta ha svolto un’apposita indagine in tre Paesi dell’Unione europea (Germania, Francia e Regno Unito), dalla quale è risultato che in tutti e tre gli Stati la potestà legislativa in materia di “tutela e sicurezza del lavoro” è di esclusiva competenza statale, anche in una nazione di marcata impronta federalista come la Germania.

In realtà, sul tema della competenza legislativa si confrontano, legittimamente, due distinte posizioni, fra chi ritiene che essa dovrebbe essere appunto ricondotta in via esclusiva allo Stato, per assicurare una effettiva uniformità di indirizzo, e chi invece sostiene l’opportunità che essa rimanga concorrente fra lo Stato e le Regioni e Province autonome, per garantire una più efficace attuazione in ambito territoriale. Si tratta ovviamente di un tema complesso, che si iscrive nel più generale dibattito sulla ridefinizione dei rapporti e delle competenze tra lo Stato centrale e gli enti locali, intorno al quale esistono opinioni e sensibilità diverse”.

La Commissione prosegue ricordando come le criticità da lei stessa riscontrate nel corso degli anni siano state decisamente negate dalle Regioni a tale scopo audite e, tenendo conto delle medesime, formalizza la proposta che testualmente di seguito si trascrive:

“Come risulta da questa ampia illustrazione, il sistema delle Regioni e delle Province autonome è dunque fermamente contrario ad una revisione dell’articolo 117 della Costituzione, ritenendo che essa non risolverebbe i problemi indicati dalla Commissione d’inchiesta, che andrebbero invece affrontati con interventi volti a rafforzare il coordinamento e la leale collaborazione tra le amministrazioni centrali e periferiche nelle sedi istituzionali già esistenti. Ciononostante, le Regioni hanno comunque riconosciuto l’esistenza di un problema generale, che è appunto quello di assicurare una più efficace uniformità di indirizzo politico e quindi di azione sia a livello nazionale che territoriale, anche se le valutazioni divergono riguardo alle possibili soluzioni.

Nel prendere atto della posizione del sistema regionale, la Commissione ha avviato lo studio di una soluzione alternativa che, senza incidere sul riparto delle competenze costituzionali in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, possa tuttavia fornire correttivi all’attuale situazione, nella convinzione che occorra comunque prevenire quei rischi di eccessiva dispersione e disomogeneità dell’azione amministrativa che – è bene ripeterlo – sono emersi in modo chiaro durante l’inchiesta, in particolare attraverso la ricognizione diretta svolta in tutte le Regioni d’Italia negli ultimi due anni.

Si è già spiegato che nell’attuale assetto istituzionale il coordinamento a livello centrale delle attività di prevenzione e di vigilanza per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro spetta al Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale dell’attività di vigilanza, previsto dall’articolo 5 del Testo unico. Tuttavia, per le difficoltà già indicate, il Comitato non ha potuto finora svolgere appieno questa funzione, il che costituisce un oggettivo elemento di debolezza del sistema e impone un ripensamento della natura e degli strumenti a disposizione di questo organismo. Come si è già accennato nel paragrafo 2.3, partendo da tale assunto, dopo un’attenta riflessione la Commissione d’inchiesta ha elaborato una proposta, mirante a sopprimere il Comitato e a sostituirlo contestualmente con una nuova «Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro», che ne assumerà le funzioni. L’Agenzia eserciterà tali attribuzioni, e in particolare quella della programmazione e del coordinamento delle attività di prevenzione e di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con un rafforzamento dei relativi poteri rispetto all’assetto vigente. I diversi aspetti dell’iniziativa sono stati esaminati in particolare nelle sedute del 14 e del 21 novembre 2012 e hanno condotto alla predisposizione di un testo normativo che, su iniziativa del presidente Tofani e dei componenti della Commissione, è infine confluito nel disegno di legge n. 3587, presentato in Senato il 27 novembre 2012 e intitolato «Istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro».

La scelta di proporre questa soluzione si rende necessaria proprio alla luce delle considerazioni precedenti: il sistema della prevenzione disegnato dal Testo unico è infatti necessariamente complesso e articolato, coinvolgendo le competenze di una pluralità di soggetti istituzionali e sociali. Serve quindi una modalità di raccordo più forte, che possa fare da sintesi tra le diverse istanze e, contemporaneamente, dare impulso alle varie attività di prevenzione e di contrasto agli infortuni e alle malattie professionali. Al riguardo, la Commissione ha ritenuto che tale compito possa essere meglio assolto da un organismo dedicato, che sia al tempo stesso operativamente snello e dotato di adeguate competenze e risorse.

La formula dell’Agenzia, già prevista e presente nel nostro ordinamento con compiti di supervisione e controllo in vari settori di pubblico interesse (si pensi, solo per fare un esempio, all’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie), è apparsa quindi la scelta più idonea a soddisfare queste esigenze”.

La Commissione, dopo aver esplicato nel dettaglio la proposta (effettivamente confluita in un vero e proprio disegno di legge), conclude sul punto formulando: “L’auspicio (…) che questa iniziativa possa trovare il sostegno convinto di tutte le istituzioni e le forze politiche e sociali del Paese, per giungere ad una sua rapida attuazione nella prossima legislatura, e contribuire così in questo modo ad una più efficace azione di prevenzione e contrasto agli infortuni e alle malattie professionali”.

(…)

Avv. Lorenzo Fantini

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro e al link per visualizzare il breve saggio presentato…


 

[1] Per un approfondimento dei temi legati a tale — indubbiamente problematica — ripartizione di competenze si rinvia, per tutti, a Persiani, Devolution e diritto del lavoro, in ADL, 2003, 19

[2] Per tutti, si rinvia a M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, in ADL, n. 1, 2002, 19

[3] Così, per tutti, M.G. GAROFALO, Pluralismo, federalismo e diritto del lavoro, in RGL, 2002, II, 410, secondo il quale: “sono esclusi dall’espressione solo i rapporti tra soggetti pubblici in quanto tali e l’esercizio delle potestà pubbliche nei confronti dei cittadini”),

[4] Corte cost., 6 novembre 2001, n. 352; Corte cost., ord. 23 giugno 2000, n. 243; Corte cost., 24 luglio 1998, n. 326; Corte cost., 1° aprile 1998, n. 82; Corte cost., 24 luglio 1996, n. 307; Corte cost., 27 luglio 1995, n. 408; Corte cost., 23 dicembre 1994, n. 441

[5] Disponibile, quindi, nel relativo sito, ma anche in www.olympus.uniurb.it

[6] Disponibile, quindi, nel relativo sito, ma anche in www.olympus.uniurb.it

Indagine competenze Stato/Regioni 4: quali sono le competenze delle Regioni?

Mentre la modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione continua il suo iter, vorrei rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

Sono sempre convinto che prima di emettere giudizi su qualunque tema sia prima necessario cercare di conoscere contenuti e confini della materia affrontata. E in riferimento all’indagine/reportage – lanciata in un precedente post – sulle possibili modifiche alla nostra Costituzionerelative alle competenze sulla “tutela e sicurezza sul lavoro”, penso che sia venuto il momento di raccogliere informazioni sulla situazione attuale, sui vantaggi e svantaggi delle competenze alle Regioni.

Tra l’altro questo approfondimento sul ruolo delle Regioni segue la presentazione, avvenuta nel precedente post, del parere – che potremmo definire semplicisticamente “pro-regioni” – di Cinzia Frascheri, una delle sindacaliste italiane che in questi anni più si sono più occupate di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori…

Il primo documento è un mio articolo – pubblicato su PuntoSicuro del 9 maggio 2012, con il titolo “D. Lgs. 81/2008: ruolo e funzioni delle regioni e delle ASL” – di presentazione di un intervento ad una giornata di studio e di aggiornamento, promossa dalla Cgil Emilia Romagna, che si è tenuta a Bologna il 22 novembre 2011.

L’intervento – del Dott. Giuseppe Monsterastelli (Assessorato Sanità Regione Emilia Romagna) – presenta le competenze delle Regioni e dei Dipartimenti di Sanità Pubblica delle Aziende USL alla luce del D. Lgs. 81/2008.

Il secondo documento è tratto invece da un mio articolo– pubblicato su PuntoSicuro del 2 agosto 2012, con il titolo “Le competenze delle Regioni in materia di sicurezza sul lavoro” – di presentazione di un “working paper”, un breve saggioprodotto dall’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro (Olympus), dal titolo “Brevi note sulle competenze delle Regioni in tema di disciplina della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.



 

D. Lgs. 81/2008: ruolo e funzioni delle regioni e delle ASL

Ci soffermiamo su alcuni aspetti del Decreto legislativo 81/2008 con riferimento al ruolo e alle competenze delle Regioni.

Affronta questo tema la prima parte dell’intervento “Stato dell’arte dell’applicazione della legislazione: d.lgs 81/2008 e smi. Criticità della norma e armonizzazione con i sistemi di gestione certificata. Ruolo della vigilanza istituzionale rispetto ai sistemi certificati”, a cura del Dott. Giuseppe Monsterastelli (Assessorato Sanità Regione Emilia Romagna).

Per introdurre il tema delle competenze regionali e dei competenti servizi delle ASL il relatore riporta il primo articolo del Decreto legislativo 81/2008, con riferimento all’art. 117 della Costituzione e alla legislazione di Stato e Regioni:

 

Articolo 1 – Finalità

1. Le disposizioni contenute nel presente decreto legislativo costituiscono attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, per il riassetto e la riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo. Il presente decreto legislativo persegue le finalità di cui al presente comma nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia, nonché in conformità all’articolo 117 della Costituzione e agli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e alle relative norme di attuazione, garantendo l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati.

2. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione e dall’articolo 16, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, le disposizioni del presente decreto legislativo, riguardanti ambiti di competenza legislativa delle regioni e province autonome, si applicano, nell’esercizio del potere sostitutivo dello Stato e con carattere di cedevolezza, nelle regioni e nelle province autonome nelle quali ancora non sia stata adottata la normativa regionale e provinciale e perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore di quest’ultima, fermi restando i principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, terzo comma , della Costituzione.

3. Gli atti, i provvedimenti e gli adempimenti attuativi del presente decreto sono effettuati nel rispetto dei principi del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Veniamo alle funzioni della Regione.

Il relatore indica che la Regione, nel sistema che risulta dai decreti legislativi 81/2008 e 106/2009, “ha la responsabilità di garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori attraverso la realizzazione degli interventi programmati a livello nazionale e la effettuazione di specifiche azioni locali, anche di natura normativa, attuate utilizzando gli ambiti di autonomia normativa previsti dalla Legge Costituzionale numero 3 del 2001, che colloca la tutela e sicurezza del lavoro tra le materie di legislazione concorrente tra le Regioni e lo Stato” (nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato).

Il modello di prevenzione così riformato “richiede alla Regione un ruolo evoluto e complesso, che prevede relazioni stabili e strutturate con gli Organismi di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro ed un sistematico coordinamento tra gli Enti pubblici competenti in materia: la Direzione regionale del lavoro, l’Inail, l’Inps, i Vigili del fuoco, nonché con Associazioni di rappresentanza degli Enti Locali: ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e UPI (Unione Province Italiane)”.

E in questo nuovo contesto, “la Regione deve indirizzare, programmare e coordinare le attività di prevenzione assicurando la realizzazione di iniziative di comunicazione, informazione, formazione ed assistenza dirette ai lavoratori e alle imprese e deve garantire la programmazione ed il coordinamento dell’attività di vigilanzarealizzata dai Dipartimenti di Sanità Pubblica delle Aziende USL”. E le strutture alle quali la Regione assegna questi compiti “sono rispettivamente il Comitato regionale di coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e l’ ‘Ufficio operativo regionale’”.

La relazione continua con la descrizione del ruolo delle UOPSAL.

Le Unità Operative di Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro delle Aziende USL, “hanno compiti di promozione della salute e di vigilanza, in questo contesto, su loro iniziativa o su delega dell’Autorità Giudiziaria, possono verificare:

– le caratteristiche strutturali ed organizzative degli ambienti nei quali si svolge l’attività lavorativa;

– le attrezzature di lavoro: macchine, apparecchi, utensili o impianti usati durante il lavoro;

– gli impianti e le attrezzature elettriche;

– i cantieri edili, compresi gli scavi e le fondazioni, le demolizioni i ponteggi;

– i fattori di rischio legati agli agenti fisici (rumore, ultrasuoni, infrasuoni, vibrazioni meccaniche, campi elettromagnetici, radiazioni ottiche, laser, microclima);

– i fattori di rischio legati all’uso di sostanze pericolose (agenti chimici, cancerogeni e mutageni, amianto);

– i fattori di rischio legati agli agenti biologici che possono provocare infezioni, allergie o intossicazioni;

– i fattori di rischio legati alle atmosfere esplosive;

– il rispetto delle norme da parte dei progettisti, fabbricanti, fornitori, installatori, medici competenti;

– gli obblighi connessi ai contratti di appalto, di opera, di somministrazione;

– l’adeguatezza della formazione, informazione, addestramento dei lavoratori”.

Possono avere inoltre il compito:

– “di informazione, formazione ed assistenza diretti ai lavoratori e alle aziende relativamente ai rischi presenti nei luoghi di lavoro e alle modalità con le quali è possibile ridurli o eliminarli;

– di realizzare interventi di promozione della salute in particolare relativi all’abuso di alcol e tabagismo;

– di formulare, anche in coordinamento con altri soggetti, pareri per i Comuni in caso di realizzazione o ristrutturazione di locali destinati al lavoro, al fine di promuovere già in fase di progettazione la sicurezza e l’igienicità dei locali;

– di coordinamento e controllo degli accertamenti sanitari sui lavoratori esposti a rischi professionali;

– di svolgere valutazioni medico legali per l’inserimento lavorativo dei disabili;

– di svolgere accertamenti al fine di tutelare le lavoratrici madri”.

Queste sono poi altre funzioni delle UOPSAL:

– “pareri: Parere di agibilità per nuovi insediamenti produttivi;

certificazioni:Rimozione o risanamento da amianto, riutilizzo del sito; Vidimazione registro infortuni;

provvedimenti e autorizzazioni: Notifica inizio attività produttive; Parere per autorizzazioni, in deroga a norme; Piani di demolizione o rimozione amianto;

comunicazioni obbligatorie all’Unità Operativa: Comunicazione di inizio lavori inerenti ristrutturazioni edili ai fini delle detrazioni fiscali (Legge 27.12.1997 n.449 e successive integrazioni); Comunicazioni D. Lgs. 81/08 Titolo VIII capo 2 – rumore – Deroga all’utilizzo DPI e rispetto valore limite; Comunicazioni D. Lgs. 81/08 relative all’uso di agenti biologici; Comunicazioni D. Lgs. 81/08 relative alla protezione da agenti cancerogeni e mutageni; Comunicazioni D. Lgs. 81/08 relative alla protezione da agenti chimici pericolosi; Notifica di manutenzioni smaltimenti o bonifiche di aree con presenza di amianto – D. Lgs. 81/08 art. 250; Notifica Preliminare per Cantieri Temporanei o Mobili – D. Lgs.81/08 art.99;

attività sanitarie, provvedimenti e autorizzazione: Parere per lo svolgimento di attività vietate agli adolescenti; Ricorso avverso il giudizio di “idoneità” del medico competente aziendale; Rilascio attestazione relative a mansioni lavorative che comportano rischio per la gravidanza;

prestazioni sanitarie e certificazioni: Controlli sanitari ai cittadini rientrati da missioni umanitarie in Bosnia e Kosovo; Richiesta di allontanamento da lavoro vietato per le lavoratrici madri durante la gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto”.

Infine ricordiamo anche i compiti di verifica e di controllo delle Unità Operative Impiantistiche Antinfortunistiche (UOIA).

Su loro iniziativa o su delega dell’Autorità Giudiziaria, “possono verificare:

– gli impianti a pressione contenenti gas o vapori;

– gli impianti di riscaldamento ad acqua calda;

– gli ascensori e montacarichi;

– gli impianti di sollevamento: gru e apparecchi di sollevamento, ponti sviluppabili su carro e autocarro, argani e scale aeree a inclinazione variabile;

– gli idroestrattori a forza centrifuga;

– gli impianti elettrici”.

Inoltre alle UOIA è attribuita la competenza:

– “di verificare, su richiesta, lo stato di conformità degli impianti alle specifiche normative di sicurezza ed il loro stato di manutenzione;

– di svolgere interventi di comunicazione e di informazione diretti ai lavoratori e ai cittadini per trasmettere conoscenze relative ai rischi e i pericoli legati all’uso degli impianti e alle modalità di controllarli”.  

 

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro: dall’articolo è possibile visualizzare il testo originale all’intervento presentato…



 

Le competenze delle Regioni in materia di sicurezza sul lavoro

Sul tema si sofferma anche un Working Paper, un breve saggioprodotto dall’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro (Olympus), dal titolo “Brevi note sulle competenze delle Regioni in tema di disciplina della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.

Il documento, a cura del prof. Paolo Pascucci (professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino “Carlo Bo”), riproduce l’intervento presentato dal docente alla Giornata nazionale di studio e ricostruisce in modo sintetico il quadro delle competenze legislative in materia di salute e sicurezza sul lavoro, così “come risulta delineato nella Costituzione italiana dopo la riforma del 2001”. Soffermandosi in particolare “sulle competenze delle Regioni e sul loro fondamento” e proponendo “alcuni interventi per rendere più stringente la loro azione” dopo l’emanazione del Decreto legislativo 81/2008.

L’autore ricorda che malgrado, da un punto di vista formale, il D.Lgs. 81/2008 non possa essere definito un vero e proprio testo unico, la sua disciplina presenta in realtà un’“unicità sostanziale” essendovi “rinvenibili i principi generali del sistema di tutela sia per quanto concerne l’assetto istituzionale sia per quanto attiene alla gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro”.

Questa “complessa operazione di unificazione, riassetto e riforma delle regole è stata resa possibile grazie ad una straordinaria sintonia realizzatasi tra gli attori istituzionali del sistema – i Ministeri del lavoro e della salute e le Regioni – e le parti sociali”. E tutto ciò tenendo conto che, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, “sulla disciplina della salute e della sicurezza dei lavoratori si intrecciano competenze legislative esclusive dello Stato (art. 117, comma 2, Cost.) e competenze concorrenti delle Regioni (art. 117, comma 3, Cost.), con una decisa prevalenza delle prime”.

Infatti vi sono vari aspetti della materia correlata alla sicurezza che “sono ascrivibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Ciò vale per: i riflessi della disciplina prevenzionistica sul rapporto individuale di lavoro; per gli aspetti della rappresentanza e della tutela collettiva della sicurezza dei lavoratori; per la disciplina dell’apparato sanzionatorio penale ed amministrativo e dei connessi profili processuali; per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale; per i riflessi che la disciplina della materia in esame può produrre sulla concorrenza fra imprese”.

In un simile quadro, continua il docente, “il perimetro della competenza legislativa delle Regioni appare alquanto circoscritto e di non agevole definizione, discutendosi se l’eventuale funzione incrementale della legislazione regionale in materia rispetto agli standard fissati a livello statale debba interpretarsi nel senso dell’aggravamento della normativa statale, ovvero, come pare preferibile, nel senso del completamento di detta normativa statale”.

La legislazione regionale può dunque “svolgere un ruolo importante a fini incrementali. Ciò riguarda, in particolare, l’integrazione delle normative tecniche statali là dove non siano totalmente puntuali e specifiche; la promozione della diffusione sul territorio della ‘cultura’ della prevenzione e l’incentivazione della corretta applicazione degli standard di prevenzione; il sostegno all’attività di rappresentanza e tutela collettiva della sicurezza; il miglioramento qualitativo delle attività di vigilanza”.

Dopo un’analisi del significato del termine “sicurezza del lavoro” (e non sicurezza sul lavoro) contenuto nel comma 3 della norma costituzionale (art. 117), il docente si sofferma sulle conseguenze della legislazione “concorrente” della salute e della sicurezza sul lavoro.

Ad esempio ricordando che, al di là di alcune “timidezze” delle Regioni, le Regioni hanno “attivamente partecipato alla predisposizione del d.lgs. n. 81/2008, recando un contributo essenziale grazie al vasto patrimonio di conoscenze e competenze formatosi sul campo fin dalla riforma sanitaria del 1978”.

Se si conviene poi che la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro s’incentri sul principio cardine della prevenzione, come emerge anche dal d.lgs. 81/2008, “si comprende agevolmente perché nel 2001 il nuovo Titolo V della Costituzione, pur in un quadro ripartito di competenze, abbia chiamato in causa le Regioni”.

È infatti alle Regioni, “tramite le ASL, che la legge affida la programmazione e lo svolgimento delle attività di prevenzione, anche nei luoghi di lavoro, così come sempre alle Regioni lo stesso art. 117, comma 3, Cost. attribuisce competenza concorrente sia in materia di salute e sicurezza sul lavoro sia più in generale per la tutela della salute: due competenze, dunque, perfettamente simmetriche, strettamente complementari e, a ben guardare, assolutamente non disgiungibili, pena lo stravolgimento dell’intero quadro ordinamentale della salute”. E in questi termini va letto il coinvolgimento del settore sanitario nell’attività di controllo, coinvolgimento considerabile come principio fondamentale in materia di salute e sicurezza del lavoro: la vigilanza è uno “strumento essenziale dell’attività di prevenzione”.

E, secondo l’autore, “un eventuale completo riaccentramento in capo ad organi statali delle competenze sulla vigilanza”, ad esempio per rimediare alle difficoltà operative di alcune Regioni, “altererebbe irrimediabilmente quel legame tra prevenzione e vigilanza oggi incardinato in capo alle Regioni ed alle loro strutture operative, a meno che non si intenda riaccentrare in capo allo Stato… anche l’intero sistema sanitario e le connesse funzioni di prevenzione”!

L’intervento si sofferma poi sugli strumenti istituzionali messi in campo dal d.lgs. 81/2008 per realizzare un efficace coordinamento delle attività (Comitato nazionale di cui all’art. 5, Comitati regionali di coordinamento di cui all’art. 7, Commissione per gli interpelli di cui all’art.12, …).

Tuttavia “sostenere il perdurante fondamento delle competenze regionali in tema di salute e sicurezza sul lavoro non significa ovviamente ignorare le possibili ricadute della nuova disciplina del 2008/2009 sull’azione delle Regioni”.

Infatti al pari degli altri attori del sistema di prevenzione, anche le Regioni e le loro strutture operative debbono misurarsi con le novità del d.lgs. 81/2008, ad esempio con riferimento alla “forte accentuazione della dimensione organizzativa prodotta dal nuovo decreto, sia per quanto concerne la connessione tra organizzazione del lavoro e prevenzione, sia per quanto riguarda l’organizzazione del sistema di prevenzione nei luoghi di lavoro”.

C’è dunque l’esigenza di “valorizzare la professionalità degli operatori dei servizi ispettivi delle ASL, e non solo di esse, mediante percorsi di alta formazione giuridica ed organizzativa, progettati in collaborazione tra Regioni, INAIL e Università e finalizzati ad arricchire il bagaglio delle loro conoscenze tecniche per cogliere al meglio sia la connessione tra il profilo dell’organizzazione e della gestione del lavoro e quello della salute e della sicurezza di chi lavora, sia le nuove metodologie di organizzazione dei sistemi di prevenzione”.

E, conclude l’autore, le innovazioni del d.lgs. 81/2008 sollecitano una “decisa azione legislativa delle Regioni sul terreno del sostegno e dell’incentivazione della qualificazione delle aziende sul piano prevenzionistico e, in generale, su quello della loro responsabilità sociale”. Infatti una vera “cultura della prevenzione” non può “prescindere dalla costruzione di una seria e moderna ‘cultura di impresa’ così come emerge nel secondo comma dell’art. 41 Cost. e nella dimensione comunitaria”.

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro e al link per visualizzare il breve saggio presentato…

Tiziano Menduto

Indagine competenze Stato/Regioni 3: lasciare le competenze alle regioni?

Sempre con riferimento all’indagine/reportage – lanciata in un mio precedente post – sulle possibili (probabili) modifiche alla nostra Costituzione relative alle competenze in materia di “tutela e sicurezza sul lavoro”, vediamo oggi di dare uno sguardo breve a qualche opinione controcorrente. Almeno controcorrente rispetto all’idea – che sembra prevalente tra i vari interlocutori contattati in questi mesi – che il passaggio delle competenze allo Stato possa essere un passaggio magari difficile ma efficace alla causa della prevenzione.

E’ un opinione datata, risale al 2012 quando ancora si parla solo di richiesta della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle morti bianche di tornare a collocare la materia della tutela della salute e sicurezza sul lavoro tra quelle di esclusiva competenza legislativa dello Stato. Il disegno di legge costituzionale è ancora ai primordi e non c’è stato il voto positivo in Senato.

E’ un’opinione che è espressa tramite un contributo pubblicato sul quotidiano online PuntoSicuro il 5 luglio 2012 e su Ambiente & Sicurezza de Il Sole24ORE. Opinione che non è espressa da una persona qualsiasi, ma da una delle sindacaliste italiane che in questi anni si sono più occupate di sicurezza e più hanno dato battaglia per preservare i principi del Testo Unico (D.Lgs. 81/2008)…

E’ un’opinione che, come leggerete, è differente da quanto scritto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro. Viene difeso il sistema attuale di competenze con particolare riferimento al tema della vigilanza.
Cinzia Frascheri indica che “proporre di modificare un sistema che, tra luci ed ombre, opera non solo da più di trent’anni, ma che garantisce (…) un numero di controlli in azienda, sul livello nazionale, di circa 160.000 unità produttive l’anno (…) è quanto mai di assoluta debolezza, non avendo alcun tipo di riscontro diverso, supportato da dati concreti, sulla maggior efficacia di un sistema alternativo(…)”.

Vi ripropongo di seguito il suo contributo in modo che possiate leggerlo interamente.

Ma non basta.
Vi invito a leggere – per avere un quadro sempre più precisi dei conflitti e delle divergenze di opinione sul tema – anche i commenti che i lettori di PuntoSicuro (spesso non semplici appassionati del tema, ma professionisti della sicurezza a vari livelli…) hanno lasciato a margine del contributo di Frascheri. Commenti che ci permettono di comprendere – qualcuno si ricorda ancora le domande che avevo posto nel post di lancio dell’indagine? – come tra le righe delle dispute più o meno teoretiche sulle competenze Stato/Regioni ci sia in realtà molto di più…
Ma di questo ne parleremo più avanti…

Link per arrivare all’articolo + commenti su PuntoSicuro…

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L’intervento su PuntoSicuro di Cinzia Frascheri, Responsabile nazionale CISL per la salute e sicurezza sul lavoro:

 
E’ di questi tempi la riproposizione, da parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle morti bianche, di tornare a collocare la materia della tutela della salute e sicurezza sul lavoro tra quelle di esclusiva competenza legislativa dello Stato.
La proposta di modifica dell’art.117 della Cost., depositata al Senato nella forma di disegno di legge costituzionale, prevede difatti una semplice modifica – dai riflessi, di contro, tutt’altro che semplici – da operare al secondo comma dell’articolo [1], relativo all’elenco delle materie regolate dalla legislazione esclusiva dello Stato, al quale verrebbe aggiunta la materia della «tutela e sicurezza del lavoro», eliminandola invece dal terzo comma – nel quale oggi è inserita – e quindi dall’elenco delle materie soggette al regime di competenza della legislazione concorrente tra Stato e Regioni [2].

La proposta non è nuova, nel suo contenuto, tenuto conto che già alcuni anni fa prese corpo, ma la sua riformulazione è di estrema attualità, ancor più alla luce dell’iniziativa seminariale [3] che, a corredo della proposta, è stata organizzata in data 25 giugno u.s., proprio presso il Senato, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, a partire dal Presidente della Repubblica, e i ministri competenti [4] ed i principali attori nazionali della prevenzione, tra cui le Parti sociali.
Al centro della questione, di carattere squisitamente politico, ma argomentata con ragioni di natura più tecnica, è la funzione della vigilanza sui luoghi di lavoro, in tema di tutela della prevenzione e controllo sullo stato di salute dei lavoratori, svolta ad oggi, nella sua quasi totalità degli interventi, dalle ASL (Azienda Sanitaria Locale) [5], e quindi da personale ispettivo incardinato nel sistema regionale, funzione precedentemente svolta invece dal solo personale dipendente direttamente dall’Ispettorato del lavoro [6], e quindi dal Ministero del Lavoro, nelle sue articolazioni territoriali.
Non sempre la storia ha qualcosa da insegnare, ma senza dubbio il valore aggiunto che l’esperienza porta con sé, è un bagaglio che non si può trascurare. E’ per questo che un analisi adeguata di quanto è stato fatto (non di certo, di quanto diversamente si avrebbe potuto fare, ma di sicuro di quanto ancora si può fare) non può essere realizzata se non si richiamano alla memoria le tappe fondamentali che hanno determinato un cammino che ad oggi raggiunge i quasi trentacinque anni di attività.
Frutto di un cambiamento epocale avvenuto nel 1978, mediante la Legge di riforma sanitaria n.833, la vigilanza sui luoghi di lavoro (ma non solo, visto che nell’articolato di riferimento di faceva richiamo a tutta l’attività relativa alla prevenzione), venne passata alla competenza delle Regioni, in totale coerenza con la complessiva gestione di tutta la materia della salute attribuita al livello regionale.
Nel 2001, con la Legge costituzionale n.3, all’interno di una ampia riforma che andò ad attribuire alle Regioni competenza legislativa concorrente su molte materie, anche la tutela della salute e sicurezza sul lavoro passò a tale regime, trovando piena coerenza con il già consolidato sistema degli organi di vigilanza incardinati a livello regionale (nelle USL, poi divenute ASL) che, con la riforma del 1978, e il pieno consolidamento nella funzione, da parte del dlgs 626/94 (mediante l’art.23 [7]), svolgevano da tempo una funzione fondamentale sul territorio. Funzione confermata pienamente dalla vigente legislazione di riforma, il dlgs 81/08 s.m. (con l’art.13 [8]), quale attuazione della Legge delega n.123/07, e a totale rispetto dei principi comunitari (introdotti dalla storica direttiva quadro 89/391) e, comunque, già consolidata e rafforzata dall’introduzione del coordinamento, tra i diversi attori della vigilanza sul territorio, previsto dalle disposizioni contenute nel DPCM del 21 dicembre 2007 [9] che, pur giungendo in ritardo (alla luce di quanto già disposto dall’art.27 del dlgs 626/94), rappresenta ancora oggi il cardine sul quale ha preso l’avvio il complessivo sistema a rete, delineato poi dal dlgs 81/08 s.m., e concretizzato attraverso il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art.5 [10]) e le sue articolazioni sul territorio, i Comitati Regionali di Coordinamento (art.7).

Un anno importante il 2007, nel quale venne anche varato – pochi giorni prima del DPCM del 21 dicembre – un medesimo DPCM (datato 17 dicembre 2007 [11]), denominato Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro, con il quale, per la prima volta, il Ministero della Salute non solo confermava il pieno impegno nei riguardi dell’attività di prevenzione e vigilanza sui luoghi di lavoro, in tema di salute e sicurezza, ma riferendosi al «cittadino che lavora, quale portatore di diritti» [12], introduceva tra le prestazioni essenziali da garantire (da parte di tutte le Regioni) dei parametri qualitativi minimi (i Livelli Essenziali di Assistenza – LEA) anche per quanto riguarda la vigilanza sui luoghi di lavoro, richiamando le Regioni a stendere propri Piani di attività, coerenti con il Piano nazionale della prevenzione che, da quel momento, sarebbe stato elaborato a cadenza biennale [13].

E’ sui dati che oggi ci giungono da questo articolato sistema a rete che, se da un lato è facile poter riscontrare mancanze (soprattutto sul livello del perfetto coordinamento) ed obiettivi ancora da raggiungere, dall’altro risulta quanto mai fragile poter argomentare in modo critico non potendo, di contro, da parte di chi attacca il sistema, presentare dati di altrettanta significativa e cospicua attività (a partire da quella di vigilanza) svolta sul territorio in modo puntuale e specifico.
Proporre di modificare un sistema che, tra luci ed ombre, opera non solo da più di trent’anni, ma che garantisce (con la ristrettezza delle risorse economiche ad oggi disponibili per la sanità, complessivamente intesa) un numero di controlli in azienda, sul livello nazionale, di circa 160.000 unità produttive l’anno [14] (pari ad una media superiore alla soglia del 5% [15] sul numero complessivo delle aziende italiane – soglia minima prevista – con punte, in alcune Regioni, anche del 15%), è quanto mai di assoluta debolezza, non avendo alcun tipo di riscontro diverso, supportato da dati concreti, sulla maggior efficacia di un sistema alternativo (in specifico, svolto da ispettori del lavoro che,attualmente rappresentano numericamente circa ¼ degli organi di vigilanza incardinati nelle ASL, sull’intero territorio nazionale, che complessivamente sono circa 4700 operatori, di cui quasi 2800 nel ruolo di Ufficiali di Polizia Giudiziaria).
E’ senz’altro vero che l’aver imposto al sistema della vigilanza da parte delle ASL, un parametro minimo annuale di visite di controllo da realizzare, non è il miglior mezzo per poter garantire una copertura adeguata, basata sull’efficacia [16], delle verifiche in azienda, ed al contempo forma di garanzia di un’uniformità di interventi su tutto il territorio nazionale, ma non diversamente tale parametro può essere considerato totalmente inadeguato al fine di offrire una base certa di interventi mirati nelle aziende, allo scopo di verificare il rispetto dei precetti normativi di tema di prevenzione.
Se il numero degli infortuni mortali nel nostro Paese è ancora assolutamente inaccettabile – in una sola settimana, del mese di giugno, sono morti per cause lavorative, 19 persone – e, con questo, il numero degli infortuni gravi (che raggiunge circa 800.000 casi l’anno [17]) e le malattie professionali, in costante crescita [18], a partire dalle patologie muscolo-scheletriche, non per questo si può giungere ad una troppo facile (e di certo insostenibile) assoluta attribuzione di responsabilità alle carenze del sistema di controllo e vigilanza sul territorio, garantito dal sistema regionale, a favore di un diverso modello, a direzione accentrata nazionale.
E’ importante, difatti, non trascurare che intorno all’attività di controllo e vigilanza sul rispetto degli obblighi normativi collegati strettamente al processo di valutazione del rischio, altre sono le attività che devono essere garantite, sia sul piano del supporto e assistenza alle realtà aziendali, sia per gli ulteriori aspetti soggetti ai controlli che richiedono, non solo le ordinarie competenze di natura amministrativo-tecnica, ma anche quelle di area medica [19] ed organizzativo-gestionale (visto il numero in crescita delle aziende che si dotano di Sistemi di Gestione per la Salute e Sicurezza sul Lavoro – SGSL – e Modelli di Organizzazione e Gestione – MOG [20]).
A tale riguardo, se rilevanti ed urgenti piani di intervento senz’altro devono essere attuati (sull’esempio dei due Patti varati dal sistema delle Regioni, come quello per l’agricoltura e quello per l’edilizia), l’azione che necessita deve essere realizzata agendo su fronti diversi ed operando, non solo su di un piano di inasprimento e frequenza dei controlli (tenuto conto che mai si potrà pensare di giungere a controllare costantemente tutte le aziende del territorio italiano, vista la frammentazione e la ridotta dimensionalità), ma soprattutto sul livello della crescita del senso di responsabilità, della conoscenza specifica e della percezione diffusa del rischio, da parte di tutti gli attori aziendali della prevenzione (a partire dal datore di lavoro fino a scendere ai lavoratori/trici, passando dalle figure intermedie di fondamentale importanza, quali i preposti).
Il contributo fondamentale che oggi la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro può, non solo dare, ma garantire, in modo costante e puntuale, non è quello di proporre percorsi nuovi e sistemi di intervento alternativi che mortificano le esperienze e il bagaglio del passato, per guardare ad un incerto e indefinito futuro, ma quello di promuovere il consolidamento di una chiara politica nazionale di prevenzione, fino ad oggi assente. Una politica che, basandosi sull’incrocio dei dati [21] possa delineare gli obiettivi certi di intervento e le azioni prioritarie (da cadenzare nel tempo), potendo contare sul contributo e la collaborazione fattiva dei diversi soggetti impegnati sul territorio, a partire dal sistema delle Regioni (consolidando la sinergia ed il confronto sia politico che tecnico, tra queste, rafforzando gli organici dei servizi di prevenzione e vigilanza e moltiplicando i momenti formativi e di aggiornamento per gli stessi operatori). Ma potendo anche contare sulla collaborazione tra soggetti istituzionali (potenziando ed intensificando l’attività dei diversi Comitati e Coordinamenti, ai sensi degli artt.5 e 7, del dlgs 81/08 s.m.), e sull’azione ramificata sul territorio garantita dalle Parti sociali, operata mediante gli organismi paritetici e l’attività diretta dei rappresentati dei lavoratori per la sicurezza (aziendali e territoriali). Anche la definizione del sistema di qualificazione delle imprese (basato sulla premialità, ma anche sulla previsione di parametri minimi necessari di garanzia di tutela dei lavoratori) potrà, quando varato, andare a contribuire in modo fattivo, sia ad un innalzamento del livello generale di prevenzione da parte delle imprese, sia soprattutto un criterio uniforme di rispetto delle regole, come già ad oggi sta iniziando a determinarsi per il mondo delle aziende impegnate in lavori in ambienti confinati o a sospetto rischio di inquinamento [22].
Se tutto questo si realizzerà, portando a sistema un assetto perfettamente delineato dal decreto di riforma legislativa del 2008, alcuna modifica sarà necessaria sul livello legislativo, ed ancor più costituzionale, per poter realisticamente auspicare, ma non meno definitivamente raggiungere, non solo una riduzione drastica degli eventi di danno e di disagio, in ambito lavorativo, ma una condizione diffusa di miglioramento continuo in un quadro di crescita e sviluppo sostenibile, ponendo la persona che lavora al centro, di un sistema articolato di tutele.

Cinzia Frascheri
Giuslavorista
Responsabile nazionale CISL per la salute e sicurezza sul lavoro

(Contributo pubblicato su Ambiente & Sicurezza de Il Sole24ORE)
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[1]La modifica prevista consisterebbe nell’aggiungere, nell’ambito dell’elenco presente al secondo comma, dell’art.117 Cost., dopo la lettera o), la lettera «o-bis», con il seguente testo «tutela e sicurezza del lavoro», eliminando, al contempo, al terzo comma, le seguenti parole «tutela e sicurezza del lavoro». Se per il commento sulla modifica al testo costituzionale, si rimanda alla lettura di questo contributo, in questa nota si richiama brevemente l’attenzione alla preposizione «del» anziché la più puntuale “sul”, utilizzata tra le parole «sicurezza» e «lavoro», nel testo della proposta di modifica, tale da ingenerare, da un lato una considerazione di errore sulla tematica, spostando dalla materia relativa alla salute e sicurezza, al tema della certezza (o meno) di un posto di lavoro, dall’altro (interpretazione più ampiamente sostenuta) quella di volere, in forma sintetica, ricomprendere entrambe le aree, sia della tutela prevenzionale che dell’occupazione

[2]A tale riguardo occorre comunque ricordare che tra le materie, ad oggi, di esclusiva competenza dello Stato che hanno una diretta correlazione con il tema della salute e sicurezza sul lavoro troviamo: riflessi che la disciplina della materia in oggetto può determinare sulla concorrenza fra le imprese (art.117 Cost., comma 2, lett.e); l’ordinamento civile e penale (art.117 Cost., comma 2, lett.l) e la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale (art.117 Cost., comma 2, lett.m).

[3]Il Seminario a cui si fa riferimento è quello che è stato organizzato dalla Commissione d’inchiesta, presso il Senato della Repubblica, per il giorno 25 giugno c.a., dal titolo «Giornata nazionale di studio sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro».

[4]A fronte di una presenza silente e di breve tempo del Presidente Napolitano – che si è limitato a scambiare qualche minima battuta sul tema con i giornalisti fuori dell’aula dove si teneva la Giornata di studio – il ministro Elsa Fornero, nel suo intervento, oltre a parlare del tema della qualificazione delle imprese, quale strumento urgente e necessario, ha focalizzando su quattro azioni strategiche l’impegno del Governo sulla sicurezza sul lavoro, evidenziando il grande valore dei provvedimenti varati dalla Commissione consultiva. Partendo dalle buone norme (che ha precisato, devono sempre tradursi in buoni comportamenti) ha aggiunto, i controlli severi, l’informazione e gli investimenti.

[5] A tale riguardo si rimanda al comma 2, dell’art.13, del dlgs 81/08 s.m., nel quale vengono elencate le sole attività sulle quali è prevista l’attività di vigilanza svolta da personale ispettivo del Ministero del Lavoro.

[6]Cfr. art.398, del DPR 547 del 1955.

[7]All’art.23, comma 1, del dlgs. 626/94, si legge: «La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio…».

[8]All’art.13, comma 1, del dlgs. 81/08 s.m., si legge: «La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio…».

[9]All’art.1, comma 1, del DPCM del 21 dicembre 2007 (G.U. n.31 del 6.2.2008), si legge: «I Comitati regionali di coordinamento, d’ora in poi Comitati, istituiti presso ogni regione e provincia autonoma ai sensi dell’art. 27 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626, svolgono i propri compiti di programmazione e di indirizzo delle attività di prevenzione e vigilanza nel rispetto delle indicazioni e dei criteri formulati a livello nazionale dai ministeri della Salute e del Lavoro e della previdenza sociale e dalle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano al fine di individuare i settori e le priorità d’intervento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro».

[10]Le principali funzioni del Comitato (art.5, comma 3, del dlgs. 81/08 s.m.), al fine di garantire l’attuazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni si possono riassumere in tre punti: 1) stabilire le linee comuni delle politiche nazionali in tema di salute e sicurezza sul lavoro; 2) individuare obiettivi e programmi dell’azione pubblica di miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori; 3) definire la programmazione annuale in ordine ai settori prioritari di intervento dell’azione di vigilanza, i piani di attività e i progetti operativi a livello nazionale e programmare il coordinamento della vigilanza a livello nazionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Va detto che ad oggi l’attività del Comitato non è ancora strutturalmente partita, determinando un vuoto significativo nell’azione di coordinamento e gestione dei soggetti componenti.

[11]DPCM del 17 dicembre 2007 (G.U. n.3 del 4.1.2008) dal titolo «Esecuzione dell’accordo del 1°agosto 2007, recante Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro».

[12]Cfr. Punto 2, delle Premesse del DPCM del 17 dicembre 2007 (G.U. n.3 del 4.1.2008) dal titolo «Esecuzione dell’accordo del 1°agosto 2007, recante Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro».

[13]Il primo Piano nazionale della prevenzione ha riguardato il biennio 2005-2007. Attualmente è in vigore il Piano nazionale della prevenzione 2010-2012.

[14]Sulla base dell’ultimo Rapporto a cura della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (11/123/CR7c/C7), datato 2010, il dato preciso complessivo che viene riferito in merito al totale delle aziende oggetto di vigilanza è pari a 162.525 unità produttive.

[15]Nel Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro (DPCM 17.12.2007) venne fissato un limite minimo percentuale (del 5%) di controlli sul numero complessivo delle aziende, da parte degli organi di vigilanza delle ASL, che ogni Regione avrebbe dovuto garantire. Sono poche le Regioni che ancora non sono riuscite a rispettare tale soglia minima, mentre sono in crescita quelle che l’hanno ampiamente superata. La percentuale media nazionale, ad oggi, si attesta su di una soglia pari al 6.6% di controlli sul numero complessivo delle aziende.

[16]Il sistema introdotto dei LEA anche sui temi ella salute e sicurezza sul lavoro si presta a spingere il sistema delle ASL a livello regionale, attraverso i propri ispettori, a velocizzare gli interventi di verifica nelle aziende per poter compiere, nei tempi più brevi, in più alto numero di controlli effettuati negli ambienti di lavoro, al fine di raggiungere la soglia minima annuale di verifiche richieste dal ministero della salute (soglia minima del 5%).

[17]Dal Rapporto del 2010 (vd. nota n.8), il dato che emerge è di 775.374 casi di infortunio grave, a fronte di 980 casi di decesso per causa lavorativa. Significativo a tale riguardo l’apporto fornito dal sistema INFOR.MO. che consiste nella sorveglianza degli infortuni mortali sul lavoro, avviato nel 2002, tra Regioni, INAIL e ISPESL (istituto oggi confluito nell’INAIL), allo scopo di monitorare gli accadimenti rilevati sulla base delle indagini effettuate al momento degli eventi da parte dei tecnici della prevenzione delle ASL.

[18]Dal Rapporto del 2010 (vd. nota n.8), il dato relativo alle denunce presentate di malattia professionale è di 42.347. Significativo in tal senso l’apporto dei dati forniti dal sistema MAL.PROF. che costituisce una banca dati fondamentale alimentata dalle denuncie di malattia professionale, dai referti pervenuti ai Servizi di prevenzione delle ASL, dalle notifiche di patologia professionale acquisiti tramite ricerca condotta nei reparti ospedalieri.

[19]E’ rilevante (seppur da intensificare) l’attività che viene svolta in merito ai controlli in azienda relativi all’obbligo di avere un protocollo sanitario e le correlate cartelle sanitarie (in caso di presenza di lavoratori soggetti a regime di sorveglianza sanitaria), così come l’attività relativa alle procedure per ricorso avverso al giudizio del medico competente, e le visite mediche (di idoneità o per casi specifici di assunzione) effettuate presso i servizi di prevenzione delle ASL.

[20]Ai sensi dell’art.30, del dlgs 81/08 s.m..

[21] Un’importante contributo potrà venire dall’istituzione del SINP (Sistema Informativo per la Prevenzione – art.8, dlgs. 81/08 s.m.) che potrà fornire, una volta a regime, dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l’utilizzo integrato delle informazioni disponibili. Significativi i componenti del SINP, tra i quali troviamo, oltre ai ministeri della Salute e del Lavoro, le Regioni e l’INAIL, il contributo degli organismi paritetici e degli istituti di settore a carattere scientifico, ivi compresi quelli che si occupano della salute delle donne.

[22]Cfr. DPR n. 177 , del 14 settembre 2011, dal titolo “Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81” (GU n. 260 del 8-11-2011).

Indagine competenze Stato/Regioni: il pensiero pragmatico delle associazioni

In un precedente post ho presentato le possibili modifiche alla nostra Costituzione relative alle competenze in materia di “tutela e sicurezza sul lavoro” e indicato alcune domande che è necessario porsi. Ora non rimane che incamminarci nel faticoso ma necessario percorso d’indagine per raccogliere qualche risposta.

Innanzitutto vorrei pubblicare alcuni contributi, pareri e interviste pubblicate in questi mesi sul quotidiano online PuntoSicuro: permettono di dare un fugace sguardo alle opinioni, di comprendere i possibili futuri schieramenti.

Il primo parere che vorrei presentare non è quello di un politico, di un amministratore o di un esponente delle parti sociali, ma più semplicemente di un rappresentante di un’associazione che da anni si occupa di sicurezza. E avendo visto passare spesso sotto i ponti miriadi di leggi, delibere, circolari, chiarimenti e proroghe senza una reale efficacia per il miglioramento reale della prevenzione in Italia, del problema delle competenze non ne fa un problema di principio. Lo guarda come un possibile spunto nuovo per meglio incidere sul numero ancora troppo alto di infortuni e malattie professionali.

Sto parlando dell’intervento di Rocco Vitale, presidente di AiFOS, intitolato “Approvate le modifiche al Titolo V della Costituzione” e pubblicato sul numero dell’11 agosto 2014 di PuntoSicuro.

 

Roma, 8 agosto 2014. Il Senato ha approvato importanti modifiche al Titolo V della seconda parte della Costituzione e in particolare all’art. 117, dove è stata prevista la competenza esclusiva dello Stato per la materia della salute e la sicurezza sul lavoro.

L’iter di revisione costituzionale è solo agli inizi e deve procedere con le successive approvazioni di Camera e Senato e, molto probabilmente, si svolgerà un referendum.

Ciò non toglie l’importanza di quanto è avvenuto, poiché si tratta pur sempre di un atto legislativo che inciderà, fin d’ora, profondamente sulla normativa del settore della prevenzione della salute e sicurezza.

Di fatto è stato completamente modificato il secondo comma dell’art. 117 nella dizione: “lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie e funzioni” ed alla lettera m) sono aggiunte le “norme generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e sicurezza sul lavoro”.

Allo stesso tempo è stato abrogato l’attuale comma 3, cancellando le ” materie di legislazione concorrente”. Tutta la problematica rientra nell’esclusiva competenza dello Stato e viene tolta alle Regioni la cosiddetta legislazione concorrente e, pertanto, non potranno più emettere provvedimenti, di qualsiasi natura, nel campo della salute e sicurezza.

Per gli addetti ai lavori non si tratta di una sorpresa, ma di una conferma che già la relazione finale della ” Commissione Tofani” (Commissione parlamentare di inchiesta sulle morti bianche) aveva considerato evidenziandone la grande confusione venutasi a creare da parte delle Regioni nell’applicazione della legislazione concorrente.

Le Regioni, del resto, hanno fatto di tutto in questi anni per concorrere a creare questo sistema. Dopo gli Accordi Stato-Regioni, che con luci ed ombre hanno fissato regole e principi condivisi, si è assistito ad una proliferazione di leggi, decreti, delibere, regolamenti differenti da Regione a Regione. Una vera e propria raccolta di testi e norme difformi fra loro che poco o nulla hanno a che vedere con l’autonomia regionale.

Non sorprende, quindi, che a fronte dei circa 8.000 emendamenti presentati al disegno di legge del Governo di modifica del Titolo V della Costituzione non ve ne sia stato nemmeno uno che chiedeva la conferma della “legislazione concorrente”.

Potremmo dire che, al di là dell’esito delle singole votazioni, vi sia stata una unanimità totale nel voler ricondurre allo Stato la materia di salute e sicurezza sul lavoro togliendola alle Regioni. Anzi, bisogna sottolineare come alla salute e sicurezza sul lavoro sia stata aggiunta la sicurezza alimentare ambito nel quale abbiamo, tutt’ora, ben venti legislazioni differenti riconducibili ad ogni singola regione.

Che cosa rappresenta e cosa significa il recente voto del Senato? Agli effetti pratici ed immediati non cambia nulla perché, come detto, siamo all’inizio dell’iter di una modifica costituzionale che deve seguire il suo corso (se tutto procederà senza intoppi, gli esperti dicono che si potrà arrivare a fine 2015 o nel primo semestre del 2016).

Non deve però passare sotto silenzio il valore politico e culturale di tale provvedimento.

Primo perché si tratta di un atto che esprime chiaramente la volontà del Legislatore e secondo perché il tempo che ci separa alla sua applicazione totale deve essere usato e ben speso per affrontare la nuova situazione che non vedrà più né norme regionali, né nuovi Accordi Stato-Regioni.

Le Regioni possono utilizzare bene questo tempo per dare un contributo di chiarezza e responsabilità. Non tutto quanto è stato fatto deve essere cancellato o rifatto daccapo. Le Regioni, come ricordava la Commissione Tofani mantengono ed hanno competenze tramite i Comitati Regionali di Coordinamento (art. 7, D. Lgs. 81/2008) e dovrebbero meglio farli funzionale, nonché sulla vigilanza in materia di sicurezza (art. 13, D. Lgs. 81/2008).

Vi sono poi molte esperienze positive ed utili che dovrebbero essere condivise, prima di tutto fra le stesse Regioni, affinché possano divenire suggerimenti e indicazioni utili allo Stato.

Non è cosa da poco, bensì molto impegnativa.

Anzi è proprio quello che è mancato ed ha contribuito ad affievolire l’azione (molto spesso disattesa, non applicata ed ignorata) ed il prestigio delle Regioni.

Dedicarsi con serietà ed impegno per dare un contributo propositivo sarà molto più utile che persistere nell’applicare norme o, peggio ancora, farne delle nuove che prima o poi verranno cancellate e facilmente dimenticate.

Appunti sulla Thyssenkrupp: l’incendio, il processo e la sicurezza mancata

Il 24 aprile 2014 è stata emanata la sentenza della Corte di Cassazione relativa all’incendio della Thyssenkrupp che conferma le responsabilità ma annulla le condanne con rinvio ad un nuovo dibattimento per ridefinire le pene.

Torno dunque ad occuparmi giornalisticamente per l’ennesima volta della vicenda Thyssenkrupp. La ricerca di fonti attendibili. La lettura dei primi commenti. Un articolo di presentazione e di riepilogo. Qualche domanda a cui dare qualche risposta. Una nuova intervista al sostituto procuratore Raffaele Guariniello.

Torno ad occuparmi del processo Thyssenkrupp e lo fanno gli altri cento media che normalmente sono impermeabili alle notizie sulla sicurezza. Perché parlare molto dell’incendio del 6 dicembre 2007 alla Thyssen appare purtroppo il miglior modo che hanno molti media di non soffermarsi sui mille morti che ci sono ogni anno in Italia. Di non soffermarsi sulle 700 mila denunce di infortuni, sugli incidenti non denunciati. Di non sentirsi obbligati a ospitare una rubrica che parli magari non di incidenti, ma anche solo di prevenzione.

Torno ad occuparmene perché non si può e non si deve tacere.

Non solo perché i sette operai morti a Torino hanno diritto ad avere giustizia, ma perché il nome Thyssenkrupp è sì il simbolo di una battaglia per chiedere più sicurezza nei luoghi di lavoro, ma è ancora di più. È il simbolo di qualcosa che nelle aziende, in molte aziende, non funziona in materia di sicurezza.

La sentenza della Corte di Cassazione riguardo all’incidente del 6 dicembre conferma “l’inefficienza e l’inidoneità dei meccanismi di emergenza dello stabilimento a svolgere le loro funzioni”, la situazione di degrado (“la pulizia non era accurata mentre è importante che in strutture di questo tipo sia rimossa la presenza di materiale infiammabile”). Ricorda che dopo l’incidente “gli ispettori della Asl rilevarono ben 116 violazioni” relative alla sicurezza e che quando gli operai tentarono di intervenire sulle fiamme “il primo estintore risultò non funzionante, venne poi srotolata una manichetta antincendi ma l’apparato di spegnimento non funzionò per la mancanza di pressione”, che “anche l’operazione di allarme risultò farraginosa e impossibile” e “i mezzi di soccorso ebbero difficoltà a entrare nello stabilimento”.

E nella intervista Raffaele Guariniello ribadisce, come confermato ormai anche dalla Cassazione, che questo scempio di sicurezza non era un evento episodico: “costituiva il frutto di una politica aziendale della sicurezza addebitabile al vertice supremo dell’impresa”. È questa frase, al di là delle polemiche sulle pene da rideterminare, che deve arrivare alle nostre coscienze.

Da anni si racconta la carenza di sicurezza sul lavoro spiegandola con la mancata consapevolezza dei singoli lavoratori e con le difficoltà delle aziende italiane, specialmente le piccole, nel uniformarsi alle richieste molteplici della normativa in materia di sicurezza. E da anni uno dei principali strumenti per la prevenzione è diventato la semplificazione delle norme.

Ma le vicende della Thyssenkrupp dicono altro. Non si parla di una piccola azienda. Di una micro impresa che deve giostrarsi con poche risorse tra un’economia zoppicante e una burocrazia esigente. Si parla di quella che dovrebbe essere la punta di diamante della prevenzione: la grande azienda, che ha le risorse, il personale, le competenze, l’organizzazione per adempiere alla normativa ed evitare incidenti come quello di Torino.

La nostra coscienza dovrebbe essere turbata. E dovremmo ragionare forse meno in termini di pene, ma capire perché ciò accade. Come impedirlo. Come portare il tema della “responsabilità sociale d’impresa” nelle aziende.

Per chi volesse cercare di comprendere di più, di analizzare una volta ancora tutto quanto è avvenuto intorno all’incidente del 6 dicembre 2007 alla Thyssenkrupp, riporto brevemente quanto il giornale online “PuntoSicuro” ha pubblicato in questi anni.

 

L’incidente:

Torino: incendio all’acciaieria ThyssenKrupp

Si aggrava il bilancio dell’incendio all’acciaieria ThyssenKrupp di Torino

Muore anche il settimo operaio gravemente ferito nell’incendio alla ThyssenKrupp

Un documentario sull’incendio alla ThyssenKrupp

 

Le riflessioni sull’incidente e sulla prevenzione:

Una pagina di approfondimento sull’incidente alla ThyssenKrupp

Sicurezza sul lavoro: la lezione di Torino

Infortunio Thyssenkrupp: indicazioni per la prevenzione

Dopo l’incidente all’acciaieria ThyssenKrupp: riflessioni sulla sicurezza sul lavoro

Intervista a Dario Domenighini, fornitore delle attrezzature antincendio alla ThyssenKrupp

Incendio alla ThyssenKrupp: gli atti della commissione di inchiesta

Incendio alla ThyssenKrupp: un video per capire

Indennizzo per infortunio solo alle vedove Thyssen legalmente coniugate

 

Il primo processo, le indagini, il pool della Procura di Torino:

Thyssen: omicidio volontario e strategia per influenzare il processo

Tempi rapidi per le indagini sull’incendio alla Thyssenkrupp

Accertamenti ASL e indagini della procura: probabile una chiusura degli stabilimenti della ThyssenKrupp di Torino

Incendio alla ThyssenKrupp di Torino: rinviati a giudizio i sei indagati

Un verdetto storico nella sicurezza

La sentenza ThyssenKrupp: il ruolo del RSPP

ThyssenKrupp: sentenza epocale e monito per tutti i vertici aziendali

Il pool del pm Guariniello e i suoi 30 mila processi in 40 anni

 

Le riflessioni sulla prima sentenza:

Conseguenze presenti e future della sentenza Thyssen (intervista di PuntoSicuro al magistrato Bruno Giordano per far luce sugli aspetti che rendono importante la sentenza del Tribunale di Torino);

ThyssenKrupp: il dolo eventuale e la confisca del profitto

Sentenza Thyssen: dolo eventuale e sicurezza sul lavoro

L’Organismo di Vigilanza 231: legge di stabilità e sentenza Thyssen

Idoneità dei modelli 231 e sentenza Thyssen

RSPP Thyssen: la condanna e la qualificazione come dirigente di fatto

La sentenza Thyssenkrupp e le conseguenze sulla prevenzione

 

La sentenza della Corte d’Appello:

Sentenza Thyssen: da omicidio volontario con dolo eventuale a omicidio colposo

Thyssenkrupp: le motivazioni della sentenza d’appello

Raffaele Guariniello: un commento su Thyssenkrupp e Darwin

 

La sentenza della Corte di Cassazione:

Thyssenkrupp: le pene sono da rideterminare

Thyssen: accertata la colpa cosciente e il carcere è certo

Guariniello: la sentenza Thyssenkrupp e il futuro del dolo eventuale (è l’ultima intervista fatta al sostituto procuratore Raffaele Guariniello che affronta anche il delicato tema dei cambiamenti nella giurisprudenza relativamente al riconoscimento del dolo eventuale)

Tiziano Menduto