Spazi confinati 01: le criticità e la definizione mancante

Una breve raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Una prima intervista, realizzata nel 2013, ad Adriano Paolo Bacchetta, coordinatore di spazioconfinato.it.

Non c’è dubbio che gli ambienti confinati e/o gli ambienti sospetti d’inquinamento si siano mostrati in questi tra gli ambienti a maggior rischio di infortuni gravi e mortali.

È dunque necessario promuovere e far conoscere prassi e materiali di prevenzione, ma è bene anche riflettere sulle criticità, sulle difficoltà operative, sulla valutazione dei rischi, sulla pianificazione delle emergenze e sulle carenze normative con particolare riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”.

Per questo motivo ho realizzato e pubblicato negli anni, sul giornale online PuntoSicuro, diverse presentazioni di documenti, diversi approfondimenti e normativi e varie interviste che hanno avuto la funzione di porre domande e fornire risposte utili agli operatori, ai lavoratori e alle aziende, sulla sicurezza negli spazi confinati.

In questa e in altre puntate del blog ho intenzione di riportare un po’ di questo materiale per trasformare tutto questo lavoro in una sorta di reportage e inchiesta sulle criticità da affrontare per migliorare la prevenzione in questi ambienti di cui, ad oggi, è ancora difficile concordare una definizione chiara ed esaustiva.

Iniziamo questo viaggio con una intervista pubblicata il 29 ottobre 2013, nell’articolo “Spazi confinati: chiarimenti e criticità del DPR 177”, che raccoglie le indicazioni di uno dei massimi esperti in Italia della sicurezza negli spazi confinati, Adriano Paolo Bacchetta, ai margini del 3° Convegno Nazionale sulle attività negli Spazi Confinati – organizzato da spazioconfinato.it in collaborazione con il C.R.I.S.  e la Fondazione Organismo di ricerca GTecnology di Modena.

Riprendiamo dall’intervista audio una parziale sbobinatura rimandando i lettori del blog alla visualizzazione dell’articolo integrale e all’ascolto dell’intera intervista audio.

Nelle prossime settimane pubblicherò altri materiali anche con riferimento alle più recenti novità in materia. Lo stesso Bacchetta ha recentemente lavorato con il Consiglio Nazionale Ingegneri alla stesura delle “Linee di indirizzo per la gestione dei rischi derivanti dai lavori in ambienti confinati o a rischio di inquinamento”, che presenterò nei prossimi giorni.


Esiste una definizione univoca relativa agli spazi confinati?

Adriano Paolo Bacchetta: Cominciamo a dire che il termine “ambiente confinato” è un termine che oggi si presta a una non corretta interpretazione perché se noi andiamo a ricercare “ambiente confinato” su internet troviamo le problematiche dell’indoor air quality. Nel senso che in definitiva nell’accezione comune se associato a sospetto d’inquinamento viene fuori il decreto 177/2011, ma passando i primi due o tre punti che possiamo trovare sul motore di ricerca, cominciamo a vedere che l’ambiente confinato è relativo ai problemi del sistema di ventilazione, problema della legionella, la sindrome dell’edificio malato… E ci sono fior di documenti di organismi statali che parlano proprio di qualità dell’aria nell’ambiente confinato. Allora la domanda è: come può essere che lo stesso termine di “ambiente confinato” possa essere utilizzato per un ambiente che ha le peculiarità di un confined spaces o anche di qualcosa che rientra nella 177 e contestualmente, con la stessa terminologia, altri enti, come ARPA o altre organizzazioni comunque statali, chiamano invece una stanza dove c’è un impianto di ventilazione. Confined spaces, spazi chiusi?… Ad esempio nella terminologia del 272[1], quindi fondamentalmente della 626 o dell’81 navale, si parla di spazi chiusi della nave, quindi le stive e ambienti di questo tipo… Se andiamo a vedere la UNI EN 529, che poi è quella che tiene conto dei dispositivi di protezione respiratoria, c’è un’altra modalità ancora di chiamare questi ambienti. Si parla di ambienti circoscritti. Già partendo da lì, si ha l’indicazione che da noi c’è confusione…

Con “da noi” intende che da qualche parte ce n’è di meno…

APB: Il concetto è che se uno parla di confined spaces a livello internazionale quelli sono e sono chiari. Dopo di che, per fare una esemplificazione, a livello nazionale noi parliamo di ambienti sospetti d’inquinamento o confinati di cui al DPR 177. Le stesse OSHA[2] hanno cinque definizioni diverse di confined spaces a seconda che sia edilizia, industriale, agricoltura, navi o porti. (…) E lasciamo perdere l’NFPA[3], perché (…)anche le NFPA hanno altre modalità per identificare questi ambienti. Ci sarà un motivo per cui qualcuno ha perso tempo per definire in cinque modi – simili, ma con peculiarità differenti – l’ambiente confinato a seconda di quale tipologia di ambiente è. Ci deve essere un motivo e il motivo è relativo al fatto che non è possibile applicare gli articoli 66, 121 (D.Lgs. 81/2008, ndr) e l’articolo 3 dell’allegato IV a tutto il mondo. Ci sono peculiarità diverse che dovrebbero essere tenute in considerazione…

Cambierà qualcosa in Italia? Miglioreranno le definizioni e le normative?

APB: (…)Io amo citare (…) Neil McManus[4], che tra l’altro è stato in audio conferenza ieri al mio terzo convegno nazionale. Lui, quando ad un certo punto, è stato chiamato dall’ILO[5] a parlare degli ambienti confinati, dei confined spaces, ha detto una cosa lapidaria ma che è di una chiarezza cristallina: “qualsiasi ambiente dove una persona lavora può diventare uno spazio confinato”. Quindi in realtà questa abitudine italica di caratterizzare – quanto è lungo, quanto è largo, quanto è profondo (…) – deve “uscire”. I concetti da noi sono quelli che, ad esempio, portano a fare la valutazione del rischio dimenticando un fattore di rischio che è fondamentale che nella normativa americana che definisce il cosiddetto IDLH, ovverossia la condizione di pericolo grave o immediato per la salute e sicurezza del lavoratore. E al di là del fatto che ci sia presente una sostanza chimica o meno, al di là del fatto che ci siano delle condizioni di rischio diverso, la terza condizione prevista nei IDLH è l’autosalvamento. Se una persona non è in grado in particolari condizioni di essere capace con le proprie forze di poter uscire o poter risolvere una situazione pericolosa.  Su questa condizione dell’IDLH bisogna ragionare. E questo non fa parte della nostra cultura… (…)

No, il problema non è solo il TLV/TWA[6] è l’IDLH, perché se il TLV/TWA è anche rispettato ma se ad un certo punto, come abbiamo sentito in alcuni interventi, vai a fare l’analisi, scopri che la persona che sta facendo quel ripristino con un solvente (…) è abbondantemente oltre all’IDLH, cioè a quella concentrazione tale per cui si genera una situazione di pericolo o di rischio immediato per la salute e sicurezza, addirittura la vita, del lavoratore…(…)

Tuttavia l’IDLH alcuni lo conoscono, altri non sanno cos’è… (…)

Tutta la norma americana si basa su questo, non va a vedere quanto è lungo, quanto è largo. Dice, con alcune condizioni specifiche per quanto riguarda l’accessibilità e la presenza di rischi, hai una condizione IDLH? Loro (…), ad esempio, dicono “ambiente confinato con il permesso d’ingresso o senza?”, se sei nella condizione di richiedere, di essere un permitted required confined spaces, a questo punto te lo modulo in tre classi: A, B e C. A è IDLH, B è un grado severo ma non così rilevante, C è un grado inferiore… (…)

Quest’idea è di scalare i livelli di rischio, di scalare le attività necessarie in funzione dell’effettivo rischio.

L’applicazione pedissequa del decreto 177 porta la gente fondamentalmente a fare tutto anche quando c’è un livello di rischio molto basso. E tutto questo è spesso utilizzato per dire “Devo fare tutta questa roba qui, per una roba così? Allora non faccio niente”. Chiedere tutte queste cose a fronte di rischi anche limitati o gestibili in maniera diversa e non avere questa scalabilità del rischio con obblighi conseguenti, pone le aziende nella condizione o dà il là per (…) non fare niente.

Dunque cosa dovrebbe cambiare?

APB: [Bisognerebbe] limitare l’applicazione o l’orientamento legislativo a dare i principi derivanti dalla Costituzione: tutela del lavoro, tutela dei lavoratori, … Poi su alcuni argomenti limitarsi a sollecitare in maniera puntuale l’applicazione di norme tecniche che sono molto più dinamiche, che sono condivise, che fanno parte comunque dell’evoluzione e che sono facilmente aggiornabili rispetto all’esperienza.

La 177 così è e ce la terremo per i prossimi 10 anni. Esattamente nello stesso modo. Ti esce la circolare del Ministero che spiega il subappalto? È una circolare: che valenza giuridica ha un domani? Se qualcuno ha un problema e va in giudizio… Il giudice applicherà la legge o andrà a vedere anche le eventuali interpretazioni e i parere dei vari soggetti? (…)

Credo che su alcune tematiche come questa andrebbe veramente fatto questo: uno sforzo per capire cosa c’è a livello internazionale,  a livello di evoluzione. Perché gli americani sono 40 anni che sono dietro alle norme Osha…

Link all’articolo originale di PuntoSicuro ” Spazi confinati: chiarimenti e criticità del DPR 177″…

Per altri approfondimenti rimandiamo anche al post “Problemi normativi 02: come interpretare il DPR 177/2011”.

Intervista di Tiziano Menduto



[1] Decreto Legislativo n.272 del 27 luglio 1999 – Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell’espletamento di operazioni e servizi portuali, nonché di operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485, ndr

[2] Occupational Safety and Health Administration (USA), ndr

[3] National Fire Protection Association

[4] CIH, ROH, CSP, NorthWest Occupational Health & Safety North Vancouver, British Columbia, Canada

[5] International Labour Organization

[6] Threshold Limit Value (TLV)-Time Weighted Average (TWA): Il TLV rappresenta il valore limite di soglia, le concentrazioni sotto le quali la maggior parte dei lavoratori può rimanere esposta senza alcun effetto negativo per la salute. I TLV/TWA sono relativi al valore medio ponderato nel tempo. La durata di esposizione media, riportata negli elenchi dei limiti di esposizione professionale, è pari, di norma, a un orario lavorativo di otto ore al giorno.

Indagine competenze Stato/Regioni 6: per le ispezioni è meglio un’Agenzia Unica?

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter dopo la recente approvazione alla Camera (seduta del 10 marzo 2015). Ora la riforma dovrà tornare a Palazzo Madama per l’iter della seconda lettura e approvazione. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

 

Della legge delega per la riforma del lavoro, ormai chiamata da tutti “Jobs Act”, si parla in Italia da mesi. Di questa legge, già approvata ed entrata in vigore, i media hanno sfornato tutti i possibili dettagli in materia di reintegro, licenziamenti, ammortizzatori, nuovi contratti. Innumerevoli talk show hanno cercato di chiarire se questa legge servirà o meno a diminuire la disoccupazione in Italia, se l’azzardo verso le “tutele crescenti” non sia un modo di nascondere la riduzione delle “tutele presenti”. I grandi giornali cartacei hanno ricoperto le proprie prime pagine di titoli sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sull’opportunità osteggiata, discussa o esaltata di cambiare le regole in materia di licenziamenti.

Peccato che invece pochi media si sianoinvece soffermati su un aspetto del “Jobs Act” meno conosciuto e per questo più insidioso: i cambiamenti in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori con particolare riferimento alle “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”.

Quali cambiamenti?

Innanzitutto cambiamenti dipendenti dalla delega in materia di sicurezza, delega per modifiche che tengano conto dei criteri della semplificazione e razionalizzazione.

Ma una ulteriore delega, ancor più sottaciuta dai media e sempre ispirata dagli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione, riguarda anche il compito di istituire una sorta di “Agenzia unica delle ispezioni del lavoro”.

Questo è uno stralcio del comma 7 dell’articolo 1 del Jobs Act approvato:

7. Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi, in coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le convenzioni internazionali:

(…)

i) razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l’istituzione, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’INPS e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.

 

Per cogliere la connessione tra Jobs Act e riforma del titolo V della Costituzione, tra l’Agenzia Unica delle Ispezioni e il passaggio delle competenze allo Stato in materia di sicurezza, riprendiamo uno stralcio di un contributo, pubblicato con il titolo “Vigilanza e competenze: l’Agenzia unica delle ispezioni del lavoro” su PuntoSicuro del 15 gennaio 2015, di Massimo Peca, Ispettore tecnico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, componente del Coordinamento Spontaneo degli Ispettori del Ministero (CSI-MLPS).

Per comprendere infine il percorso a ostacoli del futuro decreto attuativo relativo all’Agenzia Unica, riportiamo a seguire, infine, lo stralcio di una mia intervista a Sebastiano Calleri, il Responsabile Salute e Sicurezza della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil) nazionale. Intervista pubblicata su PuntoSicuro il 5 marzo 2015 con il titolo “Jobs Act: le modifiche in materia di ispezioni e formazione”.

Buona lettura.

Tiziano Menduto


 

Vigilanza e competenze: l’Agenzia unica delle ispezioni del lavoro

Lo “stato dell’arte” dell’Agenzia unica delle ispezioni del lavoro” in relazione alle probabili competenze sulla salute e sicurezza dei lavoratori. A cura di Massimo Peca.

(…)

Dalla lettura dei testi anzidetti (il comma 7 dell’articolo 1 del Jobs Act, ndr), appare evidente che, mentre nel caso in cui venisse realizzata l’Agenzia, questa potrebbe interessare solo le funzioni ispettive dell’INPS e dell’INAIL, per quanto riguarda le attività ispettive descritte delle ASL e ARPA (circa 250 in tutto), la legge delega (e di conseguenza il decreto legislativo che ne deriverebbe) prevede solo delle “forme di coordinamento” e quindi tali funzioni non potrebbero essere ricomprese tra i compiti dell’agenzia, se verrà realizzata. Ciò a causa del vincolo posto dal Parlamento al Governo.

Lo stesso Governo Renzi ha presentato l’8 aprile 2014 al Senato, il disegno di legge costituzionale S1429 per la riforma del titolo V della Costituzione. Per quanto d’interesse in questa trattazione, la modifica dell’articolo 117 della Costituzione predisposta dal Governo prevedeva la seguente formulazione: “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie e funzioni: … norme generali per la tutela … e sicurezza del lavoro”. Il testo licenziato dal Senato ed ora in discussione alla Camera (C2613) è stato privato della parola “funzioni”, sebbene sia stato emendato nelle varie commissioni affari costituzionali.

Seppure il percorso della riforma costituzionale dell’articolo 117 non si sia ancora concluso, è importante rilevare dalla lettura del testo originario del Governo, che l’intenzione dello stesso parrebbe essere quella di creare i presupposti normativi costituzionali per riportare alla competenza esclusiva dello Stato non solo l’importantissima ed esclusiva potestà legislativa relativa alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, ma anche quella delle “funzioni” ad essa connessa, cioè l’attività di vigilanza a parere di chi scrive. Ben più pregnante, impegnativa e profondamente riformatrice dell’apparato pubblico ad essa destinato: principalmente ASL e ARPA. Le date di trasmissione dei due disegni di legge sono sintomatiche.

Orbene, seppure la riforma dell’articolo 117 della Costituzione tornasse nella sua precedente formulazione, cioè ricomprendendo anche le “funzioni”, queste sarebbero impossibili da esercitare se non previa modifica sia della legge delega appena approvata (183/2014) che del conseguente decreto legislativo, perché esulerebbero dai vincoli “imposti” dal Parlamento. O meglio, sarebbe più opportuno parlare di vincoli “votati” dal Parlamento.

Sarebbe importante che l’obiettivo della riforma legislativa in atto fosse quello di ricondurre alla gestione unitaria dell’Agenzia, tutte le competenze frazionate in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro già assegnate ai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, della salute, dello sviluppo economico, della difesa per la parte di competenza sulle funzioni delle Capitanerie di porto in merito alla navigazione civile, al Servizio sanitario nazionale, alle ARPA, alle Regioni direttamente o alle Province e pertanto dovrebbero essere ricondotte all’Agenzia anche i compiti svolti da organismi regionali o statali relativi a:

– porti e navigazione delle navi mercantili e da pesca;

– ferrovie e aeroporti;

– industrie estrattive a cielo aperto o sotterranee, torbiere;

– acque minerali e termali;

– radiazioni ionizzanti in ambito sanitario.

Si evidenzia come l’Agenzia così definita, esercitando i compiti già assegnati ad altri organi pubblici, statali o locali, riunirebbe in un unico soggetto una molteplicità di funzioni che attualmente sono sovrapponibili con quelle già presenti in alcune direzioni generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per tale ragione, il Ministero di riferimento non avrebbe più la necessità di contenere al suo interno la Direzione generale dell’attività ispettiva, le divisioni II e VI della Direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro, similmente per gli altri Ministeri indicati. In termini generali, i principali compiti specifici dell’Agenzia, relativamente agli aspetti della salute e sicurezza dei lavoratori, sono ben delineati negli articoli 5, 6 e 7 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

Questa sarebbe una vera riforma di una parte della pubblica amministrazione che consentirebbe di affrontare in modo decisivo ed organico i 2’282’000 tra malattie professionali e ad esse assimilate degli ultimi 12 mesi (di cui tra i 700 e 900 causano la morte – dato sottostimato) rispetto ai “soli” 714’000 infortuni dello stesso periodo, di cui 833 mortali (INAIL – ultimo rapporto). Nel nostro Paese, una stima prudenziale del 4% di tutte le morti per neoplasie, porterebbe a quantificare in 6’400 l’anno quelle di origine lavorativa (Ultimo Piano sanitario nazionale).

Massimo Peca

NB: Ai sensi della circolare del MLPS del 18 marzo 2004, le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro

 


 

 

Jobs Act: le modifiche in materia di ispezioni e formazione
Il Jobs Act e i decreti attuativi introducono varie novità: dall’Agenzia Unica per le ispezioni alla possibile fine dell’obbligo di formazione per i lavoratori demansionati. Ne parliamo in un’intervista con Sebastiano Calleri, responsabile sicurezza Cgil.

 

(…)

Altri due punti che è necessario chiarire in merito al Jobs Act sono relativi alla legge-delega sulla normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro di cui, ad oggi, si sa poco o nulla e all’ Agenzia unica delle ispezioni del lavoro a cui si fa cenno nel Jobs Act approvato a dicembre e a cui sarebbe dedicato un decreto attuativo che è ancora in fase di definitiva formulazione.

(…)

Credo che poi nel provvedimento già approvato a dicembre ci fosse già il riferimento ad un Agenzia Unica per le ispezioni…

Sebastiano Calleri: C’è una delega del Jobs Act dedicata espressamente a questo. Doveva andare in Consiglio dei Ministri il 20 febbraio. Non ci è andata.

Noi abbiamo accolto positivamente questa cosa perché la bozza di decreto rispetto all’Agenzia Unica non ci piaceva affatto e non ci piaceva per due motivi.

Uno perché è una delega come al solito senza alcuna risorsa, cioè a invarianza della finanza pubblica. E’ una riorganizzazione basata sul risparmio economico nella quale si prevede l’abolizione, per esempio, delle Direzioni Territoriali del Ministero del lavoro e anche di quelle interregionali nell’ottica della razionalizzazione, ma in realtà di un accorpamento e di un taglio di fondi. Non si dice poi nulla di quello che l’Agenzia farà.

Vi dico solo una chicca che era contenuta nella Relazione Illustrativa del provvedimento: c’è l’ispettore, fa il suo lavoro sul territorio e quindi non ha bisogno di un ufficio per tutta la settimana, e poi torna una volta a settimana a scaricare le pratiche all’interno della struttura. Questo è un modo di vedere le cose che non ci soddisfa. Primo perché in realtà le professionalità presenti all’interno dei servizi ispettivi del Ministero del Lavoro (…) sono professionalità multiformi che hanno bisogno di formazione (…) e soprattutto hanno bisogno di mezzi (…).

Crediamo che anche questa sia un’operazione da fare con molta attenzione e molta cautela. Noi non siamo in toto contrari all’Agenzia e alla sua istituzione. Però si deve fare con un criterio di positività di tutti, sia per i lavoratori che ci lavorano dentro e in seconda battuta per i lavoratori che devono essere salvaguardati da questa Agenzia. Non possiamo abbassare né il livello, né il numero delle ispezioni. (…) In realtà le ispezioni sono poche su tutto il territorio nazionale e non si raggiungono dei livelli ottimali.

E poi c’è il problema del raccordo, del coordinamento con i servizi ispettivi delle Asl sotto il Ministero della Sanità. Questa è una grossa querelle che sappiamo che parte dall’ articolo 117 della Costituzione, dalla volontà di cambiarlo e da tutto quello che c’è sulle Regioni. Ha senso fare un’Agenzia che poi non integra in qualche modo anche le attività di vigilanza delle Regioni? (…).

 

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro