È indubbio che la formazione dei lavoratori e di tutti gli attori della sicurezza nelle aziende sia uno dei principali strumenti di tutela della salute e sicurezza nelle aziende. È indubbio che solo una formazione efficace possa contribuire a modificare realmente i comportamenti pericolosi e a migliorare le buone prassi e la prevenzione nei luoghi di lavoro. È indubbio anche che una buona formazione non dipenda solo dalla conformità alla legge, ma anche dalla qualità dei contenuti erogati, dalla modalità con cui sono comunicati, dalle competenze dei formatori.
Malgrado tutte queste certezze, la situazione della formazione alla sicurezza nel nostro paese non gode di buona salute.
Certo esistono ottime proposte formative (in aula, in e-learning, …), ma queste proposte rischiano di annegare in un mercato della formazione in cui le aziende rincorrono il minor prezzo senza preoccuparsi della qualità di quanto si propone ai lavoratori. Una situazione che nasce dalla miopia degli imprenditori che non vedono come solo una buona formazione possa diminuire gli alti costi della non sicurezza e che rischia di creare grossi problemi economici a chi propone alle aziende formazioni qualitativamente valide (e inevitabilmente più costose).
In questo mercato della formazione, come racconta un documento della CIIP che presenterò nei prossimi giorni, sono presenti “ampie zone di elusione e/o evasione degli obblighi normativi relativi alla formazione, con il frequente ricorso a soluzioni di mera apparenza, il rilascio di attestati formativi di comodo e/o al seguito di procedure meramente burocratiche e prive di contenuti reali, con docenze affidate a formatori non qualificati e la vendita di corsi in ‘formazione a distanza’ privi dei requisiti di legge, spesso anche di contenuti pertinenti, tali da configurare vere fattispecie di truffa ai danni degli utenti”.
Proprio di fronte alle necessità di denunciare queste zone di elusione, di superare il tema delle conformità di legge per arrivare ai veri obiettivi della formazione, ho deciso di dedicare alcuni dei prossimi post del mio blog informativo, ad una sorta di reportage, di breve indagine sulla situazione della formazione alla sicurezza nel nostro paese.
E iniziamo oggi presentando un documento elaborato da Sebastiano Calleri, Responsabile Salute e Sicurezza del principale sindacato italiano, la Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil).
Un contributo che speriamo possa essere utile per chiarire la situazione della formazione in Italia e per ribadire come il diritto alla formazione dei lavoratori debba essere inteso solo come diritto ad una formazione valida ed efficace.
Buona lettura.
Tiziano Menduto
Il diritto alla formazione dei lavoratori (e non solo): un problema ancora aperto
di Sebastiano Calleri, Responsabile nazionale salute e sicurezza nei luoghi di lavoro-CGIL
Si è appena chiusa la annuale fiera “Ambiente e lavoro”, che si tiene ogni anno a Bologna, e il tema della formazione in SSL anche quest’anno è stato al centro di molte (troppe) iniziative e discussioni. E molto bene ha fatto la CIIP, con una lettera documentata e circostanziata, a denunciare gli abusi o le semplici scorrettezze o addirittura le vere e proprie illegalità che si perpetrano in questo campo ad opera di operatori scorretti e fin troppo tollerati.
Il fatto è, come sempre, che nonostante ci sia stato un evidente miglioramento ed avanzamento delle prescrizioni normative (ovviamente non ancora perfetto, ma si sa che la perfezione è rara avis in questo mondo) attraverso l’81/08 e i famosi accordi Stato-Regioni c’è ancora molto cammino da fare. Questo non tanto perché le norme non siano chiare ma perché esiste una diffusa mentalità imprenditoriale e non solo che cerca in qualche modo di eludere i costi e gli obblighi che comporta un godimento pieno del diritto stesso da parte di tutti i lavoratori e lavoratrici (NB: intendo come tali anche i dirigenti, i preposti e le altre figure del SPP aziendale).
Pensiamo anche alle problematiche tuttora irrisolte (nonostante l’attività legislativa) della formazione in caso di somministrazione di lavoro o di contratti precari, nel caso di lavoratori autonomi che prestino la propria opera in contesti produttivi complessi, o alla ultima previsione del Jobs Act riguardante il non esplicito obbligo di formazione e addestramento alla mansione in caso di demansionamento da parte del DL. E perfino al mancato aggiornamento dell’accordo Sato-Regioni riguardante gli RSPP, che registra ancora nella sua bozza attuale molte critiche sia da parte imprenditoriale che da parte sindacale che istituzionale.
Eppure assistiamo ad un fiorire incredibile di iniziative formative e di corsi di tutti i livelli, e a stanziamenti robusti dal punto di vista economico da parte ad esempio dell’Inail. Ma sono molti i problemi che si riscontrano riguardo a questa tematica: nei relativamente pochi anni che ci separano dalla novella del corpus normativo si è potuto constatare che si sono sviluppate ampie zone di elusione ed evasione degli obblighi, con il quasi generalizzato ricorso a soluzioni di pura apparenza.
Un caso frequentissimo è il rilascio di attestati formativi di comodo a valle di iniziative meramente burocratiche e prive di contenuti utili o fianco realistici, con docenze affidate a formatori non accreditati né accreditabili alla funzione e la vendita di corsi in “formazione a distanza” privi dei requisiti di legge, spesso anche di contenuti non pertinenti, tali da configurare vere fattispecie di truffa ai danni degli utenti e delle aziende italiane. Bisogna dire anche per completezza ed obiettività che tali non conformità hanno potuto svilupparsi proprio a causa della mancanza o della inadeguatezza dei controlli che hanno consentito il dilagare di situazioni illegali, e della forza lobbistica potentissima di alcune associazioni o aziende.
Ovviamente, questa situazione ha agito a scapito della qualità dei corsi stessi e ha impedito agli operatori qualificati, non competitivi in termini di tempi, criteri e modalità di erogazione della formazione stessa di poter essere presenti ed apprezzati dal mercato. Inoltre, alcune pratiche difformi dalla normativa come l’acquisizione di crediti formativi attraverso la partecipazione a convegni, anche poco rilevanti e ancor meno partecipati o di buona qualità, sono diventate sempre più frequenti fino al punto che, in alcune bozze di revisione degli Accordi Stato-Regioni che regolano la materia, tale modalità viene ritenuta accettabile.
Bisogna dire che la scorsa consiliatura della Commissione consultiva ex art.6 D.Lgs.81 ha raggiunto un avanzamento importante: si sono infatti sanciti (dopo un percorso durato anni) i requisiti minimi del formatore abilitato a tenere i corsi in oggetto. Proprio durante quel processo assistemmo al tentativo da parte delle piccole imprese di provare ad introdurre il principio che in questi contesti la formazione potesse essere erogata direttamente dal datore o dal Rspp, senza alcuna esigenza di verifica e certificazione (che ovviamente, penserà qualcuno, non sono garanzie assolute di effettivo svolgimento o di qualità). Questo avrebbe però a nostro avviso determinato una ancora più vasta elusione dell’obbligo, anche perché è facile comprendere che i tempi della produzione e le esigenze organizzative avrebbero facilmente sopravanzato una sottovalutata efficacia prevenzionistica delle attività in questione.
Eppure non ci sarebbe bisogno di ribadire a persone avvedute e ai cultori della cosiddetta “cultura della sicurezza” che, come gli studi effettuati al riguardo mostrano chiaramente, una corretta ed efficace formazione (generale e specifica) è una delle prime fonti di diminuzione degli infortuni e delle malattie professionali. Ma evidentemente l’esigibilità del diritto e la correttezza di svolgimento dello stessa formazione non è tenuta in debito conto neanche dalle istituzioni statali e regionali preposte alla vigilanza, se moltissime denuncia a questo riguardo rimangono inascoltate. C’è da dire anche, però, che alcune previsioni della regolamentazione non rendono la sorveglianza e la sanzione conseguente molto facile. Mi riferisco ad esempio alla poco regolata ma diffusissima forma della modalità on-line di svolgimento dei corsi, che nelle sue pieghe lascia troppa possibilità di elusione da parte delle aziende.
In conclusione, ci sembra di poter affermare che sono opportune e accoglibili tutte le iniziative di finanziamento e di supporto ai processi formativi, ma bisognerebbe mettere in campo qualche sforzo in più per reprimere i diffusissimi comportamenti non corretti o peggio, e poi sfruttare in maniera forse migliore la possibilità della arcifamosa e arcifamigerata “collaborazione” con gli Organismi paritetici e gli Enti bilaterali. Prima che qualcuno smetta di leggere questo articolo a seguito di queste ultime righe, individuando una qualche “captatio benevolentiæ” a favore delle organizzazioni sindacali, provo a motivare questa affermazione. Gli organismi paritetici e gli enti bilaterali con competenze in materia di SSL sono enti formati dalle associazioni imprenditoriali e sindacali maggiormente rappresentative, che firmano i CCNL, e che quindi conoscono bene i contesti produttivi ed organizzativi nei quali questa formazione si deve svolgere. La previsione legislativa che assegnava la possibilità alle aziende di poter avvalersi della collaborazione di questi per l’elaborazione dei piani e per il loro svolgimento, non era una norma vessatoria (come impropriamente affermato da qualcuno) visto il fatto che non è neanche originaria di sanzione, ma una possibilità di sviluppare appunto iniziative in favore della famosa e sbandierata e troppo spesso citata “cultura della sicurezza”.
Credo che proprio a questo aspetto dovremmo porre attenzione in favore di un maggiore sviluppo delle attività di formazione di qualità ed aderenti ai bisogni educativi dei settori specifici. E’ una esigenza dei lavoratori e delle aziende, è un concreto campo di lavoro fruttuoso. Ed è anche un contributo “bilaterale” e “bipartisan” che sarebbe ora che fosse compreso, sviluppato ed implementato tenendo nel giusto e corretto conto le esigenze di produttività e di competitività generali.
Sebastiano Calleri