Una raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. La futura norma UNI e gli ambienti assimilabili agli spazi confinati. Intervista a Paolo De Santis della Contarp Inail.
Sono ancora troppi gli infortuni che avvengono nei cosiddetti ambienti sospetti di inquinamento o confinati. A titolo esemplificativo tra il 2002 e il 2014 si registrano in Italia circa 69 incidenti che hanno comportato 90 morti. E sono comunque molti gli infortuni mortali plurimi dal 2014 ad oggi, ad esempio con riferimento all’incidente plurimo (quattro morti) avvenuto in provincia di Pavia nel 2019.
Proprio partendo da questi dati e dalla necessità di migliorare la prevenzione a partire dalla conoscenza e dallo studio degli infortuni che avvengono in questi particolari ambienti, concludo il viaggio attraverso i rischi negli spazi confinati con un post, il quarto, che raccoglie un’intervista da me realizzata durante la manifestazione “Ambiente Lavoro” del 2019 e pubblicata sul giornale online PuntoSicuro (Spazi confinati: gli infortuni, le criticità e la futura norma UNI).
L’intervista è a Paolo De Santis (Inail – Contarp Lazio), relatore al workshop Inail “Ambienti Confinati e infortuni mortali: analisi delle criticità e proposte di soluzioni”, che si è soffermato proprio sulle criticità rilevate negli infortuni in questi ambienti.
L’intervista, realizzata il 17 ottobre 2019 e di cui riporto il video e una parziale sbobinatura, ci permette di avere anche informazioni su una futura norma UNI in materia di ambienti confinati.
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Entriamo nel dettaglio degli infortuni che avvengono ogni anno negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, con particolare riferimento al plurimo infortunio mortale che è avvenuto in provincia di Pavia a metà settembre…
Paolo De Santis: In particolare quest’ultimo incidente ha la caratteristica di raccogliere un po’ tutte quelle criticità che possono essere elencate.
Intanto osserviamo che, a 11 anni dalla pubblicazione del decreto 81/2008, ancora si muore negli spazi confinati. Nel frattempo c’è stato il DPR 177/2011, ci sono state decine di buone prassi, linee guida, … Ma il problema che questo particolare incidente indica è che la normativa, le buone prassi, ecc. molto spesso non arrivano alla piccola e piccolissima azienda.
Cosa è successo?
Dalle ricostruzioni dei giornali si capisce che un lavoratore si è sentito male al bordo di una vasca di liquami. È caduto nella vasca, è annegato e gli altri tre, di cui due datori di lavoro, hanno cercato di estrarlo ma, ovviamente nelle stesse condizioni, sono morti anche loro annegati.
Io analizzando questo incidente sono rimasto abbastanza sconcertato dal fatto che questa particolare tipologia di ambiente, quella delle vasche dei liquami, è analizzata addirittura dal 1978. Molti esperti (…) sulla base proprio dell’indagine approfondita su decine e decine di incidenti, hanno pubblicato articoli, fatto incontri, convegni, dato anche proprio delle misure preventive, tecniche, molto pratiche… Sappiamo, per esempio, che un’adeguata correzione del pH può diminuire questo rischio. Il problema è come arrivare alla piccola e piccolissima azienda: ecco, credo, che questo sia il nostro obiettivo per il futuro.
Che altra tipologia di infortuni avvengono negli ambienti a cui fa riferimento il DPR 177? Ci sono altri incidenti che ci possono fornire insegnamenti e indicazioni per migliorare la prevenzione?
P.D.S.:Sì, e bisognerebbe anche fare una prima distinzione, quella distinzione che stiamo cercando di portare a livello di gruppo UNI tra ambienti che rientrano nella normativa – quindi ambienti confinati o sospetti di inquinamento, secondo le definizioni del decreto 81 e del decreto 177/2011 (…) – e i cosiddetti ambienti assimilabili.
Oggi nel workshop li abbiamo citati. Per esempio, le pale di un impianto eolico, oppure i pozzetti di piscina degli ambienti, che non sono normati, ma che ugualmente possono rappresentare, in determinate condizioni, un rischio mortale.
A livello del gruppo UNI, in cui si spera vedrà la luce la formulazione di una nuova norma specifica sull’argomento, stiamo dando dei criteri di identificazione, comunque di categorie di spazi in cui ci possono essere problemi mortali. Questi spazi si divideranno in due grosse categorie, cioè quelli che finiscono sotto l’attuale vigenza normativa e quelli che, comunque, hanno le medesime caratteristiche di pericolosità e per i quali il datore di lavoro deve, con la propria valutazione del rischio, individuare le misure preventive migliori.
Quali sono i tempi per arrivare alla nuova norma UNI?
P.D.S.:I tempi saranno ancora lunghi, perché è partito da poco il progetto di norma. Ancora non sappiamo se sarà una norma o un Technical report; probabilmente il gruppo è indirizzato più verso la norma.
C’è stata un’ampia discussione proprio per venire a definire le due definizioni di spazio confinato o sospetto di inquinamento e di spazio assimilabile.
Oggi c’è un accordo, che sarà sottoposto ovviamente all’analisi pubblica.
È un primo passo avanti. Spero che, dopo questo primo grosso scoglio, i lavori andranno molto più velocemente. Speriamo che nel corso del prossimo anno vedrà la luce.
Forniamo qualche dato quantitativo relativo agli infortuni e alle tipologie di infortuni…
P.D.S.:Dati di infortuni consolidati possono essere estratti dalla nostra Banca Dati Infor.mo. Quelli consolidati sono riferibili all’intervallo di tempo che va dal 2002 al 2014. In quel periodo abbiamo registrato circa 69 incidenti che hanno comportato 90 morti.
E quindi già si vede, da questo dato, che effettivamente i decessi sono plurimi rispetto agli eventi. Probabilmente è un dato sottostimato perché nell’analisi non sono state compresi gli scavi, che invece, in determinate condizioni, possono essere intesi come ambienti confinati o sospetti di inquinamento.
Veniamo alle principali criticità che avete rilevato…
P.D.S.:La criticità principale, a nostro avviso, è riferibile al fattore umano.
Intanto si osserva che circa il 73% degli infortunati che sono deceduti aveva una grande esperienza di lavoro ben oltre i 3 anni e che la maggior parte – anche qui intorno al 70% – era personale dipendente a tempo indeterminato.
Quindi mai o quasi mai si è trattato di inesperienza. In alcuni casi ci sono state delle persone non assunte, in nero, ma la stragrande maggioranza degli infortuni ha riguardato gente con esperienza. Quindi molto spesso, quando si parla di esperienza, è “dir tutto e dir poco”. A volte l’esperienza, invece, è foriera di cattive abitudini che, purtroppo, si ripetono nel tempo.
E molto spesso, un’altra criticità che abbiamo riscontrato, è che le stesse persone avevano compiuto le stesse operazioni in maniera similare nel tempo, ma, purtroppo, sono cambiati piccoli parametri del processo che non sono stati rilevati, proprio per una carenza di conoscenza e anche di capacità di analisi dei processi stessi. E queste piccole variazioni hanno comportato invece l’instaurarsi di condizioni mortali.
(…)
Secondo lei cosa si può fare per migliorare la prevenzione? Come agire sul fattore umano?
P.D.S.:Bisogna aumentare la percezione del rischio delle persone.
Cosa significa? Intanto il fattore umano non dobbiamo intenderlo come errore della singola persona, ma come eventuale carenza nell’ambito delle organizzazioni che, a volte, sono piccolissime organizzazioni. Infatti molti incidenti hanno coinvolto gli stessi datori di lavoro, che non hanno avuto le capacità di analisi e di valutazione del rischio.
Ecco noi dovremmo cercare di far arrivare, di diffondere questa capacità di analisi del rischio.
Una raccolta di materiali,
interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli
ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Una intervista, realizzata nel
2019, presenta le linee di indirizzo del Consiglio Nazionale Ingegneri.
Come ricordato nel “Manuale
illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ai sensi
dell’art. 3 comma 3 del d.p.r. 177/2011” e nelle schede informative pubblicate
dal sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi INFOR.MO., gli
ambienti confinati possono presentare diversi rischi per la salute e la
sicurezza.
Ad esempio:
asfissia
per carenza di ossigeno;
intossicazione
per esposizione ad agenti chimici pericolosi;
esposizione
ad agenti biologici;
caduta
dall’alto dell’infortunato;
contatto
con organi lavoratori in movimento;
scivolamento
dovuti alla difficoltà di accesso/uscita, alla carenza/assenza di illuminazione
naturale, alla presenza di tubazioni/cavi/materiali o di fondo vischioso/scivoloso;
seppellimento
per caduta di polverulenti dall’alto;
ustione/congelamento
per esposizione a sostanze corrosive, a temperature elevate o molto basse;
annegamento
in presenza di melma/fanghi o variazioni improvvise di livello di altri fluidi;
folgorazione
per presenza di connessioni elettriche.
E analizzando gli infortuni
mortali in ambienti confinati si rileva che i fattori di rischio più frequenti
sono gli errori nelle modalità operative, la mancata fornitura o il non utilizzo
dei DPI necessari e le carenze strutturali e organizzative degli ambienti
lavorativi.
Proprio a partire dagli elevati
rischi per i lavoratori di questi ambienti ho pensato di dedicare il terzo post
sugli spazi confinati ad alcuni interessanti strumenti che possono favorire la
prevenzione.
Sto parlando delle linee di
indirizzo del Consiglio Nazionale Ingegneri (CNI) dal titolo “Linee di
indirizzo per la gestione dei rischi derivanti dai lavori in ambienti confinati
o a rischio di inquinamento”, di cui presento una breve intervista sulla prima
versione ufficiale (sono già stati pubblicati alcuni aggiornamenti). Intervista
all’Ing. Stefano Bergagnin (Ordine Ingegneri di Ferrara – componente del
gruppo di lavoro Sicurezza del CNI e coordinatore del gruppo tematico
temporaneo sui lavori in ambienti confinati) e all’Ing. Adriano Paolo
Bacchetta (esperto in materia di spazi confinati e fondatore e coordinatore
del sito www.spazioconfinato.it).
L’intervista è stata realizzata,
per il giornale online PuntoSicuro, durante la manifestazione “Ambiente
Lavoro” che si è tenuta a Bolognadal 15 al 17 ottobre 2019 dove i due ingegneri erano relatori al convegno
“Ambienti confinati: stato dell’arte e proposte del CNI per la gestione del
rischio specifico”, organizzato dall’Ordine Ingegneri di Bologna con il
patrocinio del CNI.
Nelle prossime settimane continuerà
la pubblicazione di altri post e contributi sul tema.
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Gli spazi confinati e le carenze
normative
Nella presentazione del documento si sottolinea che in materia di
ambienti confinati e a rischio di inquinamento a tutt’oggi gli strumenti di
gestione ancora non sono sufficienti, immagino che queste linee di indirizzo
vogliano affrontare questa carenza…
Stefano Bergagnin: Si, questo è proprio
L’obiettivo della pubblicazione e il titolo “linee di indirizzo” è
finalizzato a questo scopo, cioè vuole fornire a tutti i tecnici – ma non solo
tecnici, ovviamente anche ai datori di lavoro, ai committenti, ai coordinatori
per la sicurezza e anche alle imprese, le imprese che svolgono questo tipo di
interventi – degli strumenti per gestire, auspichiamo correttamente, quello che
è un rischio che purtroppo rimane ancora molto di attualità perché gli
infortuni non calano e questo è forse dovuto anche (…) a una carenza
normativa. Perché effettivamente tutti gli aspetti tecnici che sono
assolutamente necessari per un rischio di una gravità così importante
dovrebbero essere disponibili.
Noi abbiamo cercato di fornire più
strumenti possibili e tra l’altro questa è anche una linea di indirizzo molto
corposa, il contributo dei tecnici del gruppo di lavoro è stato veramente molto
interessante, a cominciare proprio da quello di Adriano che è uno dei maggiori
esperti e ha fornito sicuramente strumenti utili.
Noi ci siamo spinti con il documento
soprattutto su alcuni aspetti che, a nostro avviso, erano carenti, perché
poco approfonditi nella normativa.
Addirittura, se parliamo della formazione,
era previsto un accordo Stato-Regioni che non è mai uscito. Quindi abbiamo
cercato di fornire strumenti anche in questo senso.
Tra le altre cose (…) c’è anche una
app importante che abbiamo messo in allegato e che è la prima app – ne usciranno
probabilmente anche delle altre – ed è interessante soprattutto per
l’identificazione degli spazi confinati ed è stata presentata a cura di Alma
Mater Studiorum – Università di Bologna, con tanti altri contributi. (…)
So che l’ing. Bacchetta si è occupato
spesso della normativa in materia di ambienti confinati e/o sospetti
d’inquinamento. Cosa possiamo dire della normativa che c’è e di quella che
ancora manca? Quali sono le criticità?
Adriano Paolo Bacchetta: “Diciamo che la
normativa che c’è è come se non ci fosse – io lo dico dal 2011 –
fondamentalmente quello che abbiamo è frutto di una necessità immediata per
dare risposta agli incidenti a cavallo del 2009-2010 (depuratore di Mineo, Truck Center e altri)
che però non ha risposto alle esigenze. Anzi ha creato una serie di
complicazioni e una serie di adempimenti meramente burocratici che,
personalmente, io valuto poco idonei ad una risposta funzionale.
Questo capita quando si lasciano campi
assolutamente non definiti, interpretativi.
Basti pensare (…) a quelli che prima
erano degli ambienti che dovevano essere controllati per rischio di
inquinamento e sono diventati a sospetto di inquinamento DPR 177/2011, ad
esempio le gallerie. Ma ci immaginiamo una galleria, il traforo o la variante
di valico? Come lo classifichiamo? Teoricamente andrebbe messo lì, ma è
sbagliato. Poi ci sono gli ambienti dove può esserci il rischio di gas
deleteri: qualsiasi stabilimento industriale dove fisicamente c’è una fumana
che esce da una macchina potrebbe a ragione essere valutato come un ambiente
dove può essere applicato il decreto
177/2011. Una follia.
E questo oltre agli errori nei
riferimenti (…), basti pensare che il titolo stesso del decreto è “ambienti
confinanti”. Quindi in realtà, almeno gli errori formali potevano metterli a
posto.
E poi c’è quella veramente vergognosa mancanza
della definizione dei requisiti degli aspetti formativi (…). Ad oggi c’è in
giro di tutto, tutti fanno tutto, (…) e dopodiché anche il Ministro l’altro
giorno ha detto che è “importante la formazione”. Siamo d’accordo ma ad oggi
non esiste una specifica di chi può farla, quanto deve durare, quali sono gli
argomenti.
Quindi inutile parlare di formazione
quando nel caso specifico degli ambienti confinati non c’è neanche la
definizione. (…)
Stefano Bergagnin: Mi ha interessato
moltissimo quanto ha detto Adriano, proprio nell’ultima parte del suo
intervento.
L’aspetto formazione noi lo
abbiamo approfondito, proprio anche nelle linee di indirizzo, indicando con la
maggior precisione possibile anche i contenuti.
Ovviamente non potevamo sbilanciarsi
sulle ore necessarie, … Però almeno abbiamo dato una definizione molto precisa
dei contenuti minimi che devono essere affrontati proprio in questo
ambito.
Il riconoscimento
degli ambienti confinati e il ruolo degli operatori
Come avete affrontato il tema del riconoscimento degli spazi confinati
nei luoghi di lavoro…
Stefano Bergagnin: Forse uno dei
paragrafi più importanti è proprio quello sulla definizione. È un
paragrafo corposo perché dare una definizione di spazio confinato non è
semplice. Non è semplice perché anche le norme internazionali danno definizioni
che sono un po’ diverse. C’è sì una certa omogeneità che abbiamo cercato di
individuare, ma non è assolutamente semplice.
Noi più che altro abbiamo voluto
allargare quello che è lo spazio di indirizzo, cioè capire quali potrebbero
essere gli ambiti che senza dubbio potrebbero diventare o sono uno spazio
confinato o a rischio d’inquinamento.
C’è anche un elenco, dentro le
linee di indirizzo, di esempi di situazioni che potrebbero essere
sicuramente definibili come spazi confinati. Abbiamo anche chiarito alcuni
aspetti, tra questi anche il discorso “gallerie” che ha una sua
normativa e che non riteniamo debba entrare in quest’ambito. O il discorso
delle stive, le stive nei porti, … Anche lì c’è una normativa particolare.
Abbiamo comunque dato indicazione che a volte quella che è la valutazione del
rischio potrebbe trarre strumenti utili da una linea di indirizzo come la
nostra, ma siamo in un ambito diverso e questo l’abbiamo specificato.
Poi ci sono strumenti che potrebbero
servire, come l’app che citavo prima, anche soltanto per capire se
l’intervento che viene organizzato con un’impresa appaltatrice, in una sede
aziendale o anche in un cantiere, sia classificabile o meno.
L’app è utilissima ma visto che le app
comunque compariranno sul mercato anche nel settore della sicurezza e della
salute, bisogna fare molta attenzione. Perché questa è una app (…) che è stata
fatta appunto da Alma Mater con il contributo, tra l’altro, dell’INAIL
regionale, con il consenso dell’ASL della nostra regione. E questo è importante
perché offre la garanzia che queste siano delle app con un livello di qualità
elevato. (…)
Mi pare che nelle linee di indirizzo
abbiate anche parlato del datore di lavoro committente e del rappresentante del
datore di lavoro committente… Cosa si è detto nel vostro documento riguardo ai
ruoli dei vari attori della sicurezza?
Stefano Bergagnin: Noi innanzitutto
abbiamo evidenziato (…) che tra i soggetti destinatari delle linee di indirizzo
ci sono gli RSPP/ASPP, ci sono i datori di lavoro committenti, ci sono i datori
di lavoro delle imprese appaltatrici, delle imprese esecutrici di certi lavori.
E abbiamo anche chiarito un dubbio che (…) era quello relativo appunto all’applicabilità
della norma anche quando non c’è un contratto d’appalto; cioè quando i
lavori in spazi confinati li fanno direttamente i dipendenti. La norma è
applicabile anche lì. Ci sono anche dei passaggi – mi pare che fosse una
circolare importante che abbiamo citato anche nel testo – in cui è stato
chiarito che anche all’interno di un’azienda, se c’è questa tipologia di
lavori, bisogna garantire le stesse misure di sicurezza che vengono previste
negli altri casi (…). È quindi fondamentale che anche questo chiarimento ci sia
e lo abbiamo inserito nelle linee di indirizzo.
Il ruolo del medico competente e il
DPR 177/2011
Veniamo a soffermarci su un tema che affronterà nel convegno Adriano
Paolo Bacchetta, quello dei medici competenti. Quale ritiene sia il ruolo del
Medico Competente nell’applicazione del DPR 177/2011?
Adriano Paolo Bacchetta: Partiamo dal
presupposto che non siamo certamente noi (…) a dettare il passo ad un’altra
categoria professionale importante come i medici. Quindi non siamo noi a dire
cosa devono fare, però noi possiamo dire cosa auspichiamo di avere come supporto.
E certamente quello del medico competente, nel caso
specifico delle attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, è un
ruolo importante. (…)
Ad esempio c’è il problema della definizione di quali sono le
attività del FOP, del First on Place ovvero sia del primo soccorritore,
che deve intervenire su un soggetto che ha avuto un malore, un infortunio,
qualcosa all’interno dell’ambiente confinato. Si parla di un operatore laico,
quindi sostanzialmente né un sanitario, né un parasanitario; fondamentalmente
un soggetto che ha una formazione che non va oltre, al momento, a quella
prevista dal decreto 388 …
(…). In realtà, a oggi, il medico competente o il laureato in medicina che
viene contattato per fare il corso ai lavoratori fa il corso e poi queste
persone devono intervenire su un collega, piuttosto che un dipendente
dell’impresa appaltatrice nell’ambiente confinato. Però lì, obiettivamente, se
non c’è il medico che dà delle indicazioni puntuali non può essere certamente
il tecnico a definire la modalità operativa, i sistemi di immobilizzazione o
quant’altro necessario. (…)
No, l’intervento di soccorso va studiato e chiaramente. C’è
il tecnico che si occuperà delle progressioni su fune, di
definire le strutture, gli apprestamenti, tutto quello che è necessario; ma poi
serve comunque la controparte medica che dica “quando sei lì ti devi comportare
in un certo modo”. È questo è il primo problema. Poi ce ne sono altri…
Nel documento sono proposti anche
degli strumenti per i medici competenti?
Adriano Paolo Bacchetta: Qua la cosa si fa un
pelo più complessa, perché in realtà io sono stato autore, Insieme ad altri
esperti, tra l’altro della Fondazione Maugeri di Pavia, (…) di un articolo dove
abbiamo proposto un profilo sanitario per gli addetti negli spazi confinati.
Al momento stiamo cercando di trovare
ancora l’applicazione e non mi risulta che esista un profilo, ad esempio, per
la definizione dell’idoneità sanitaria. Quando l’articolo 66 del decreto 81/2008 in
fondo mi dice che lo spazio deve avere un’apertura sufficientemente larga da
poter estrarre un lavoratore privo di sensi – quindi sostituendo la originale
indicazione del DPR 547 che dava il 30 x 40 ellittico o il diametro 40 come
dimensione – di fatto mi dice tutto e non mi dice niente. L’unica cosa certa è
che un soggetto di 140 kg, che ha una circonferenza di 1,60 metri, non può
essere idoneo a lavorare in ambiente confinato se il punto d’accesso è un punto
30 x 40.
Quindi quando il medico dice che
l’addetto è idoneo a lavorare in ambienti confinati, lui deve sapere
esattamente quali sono questi ambienti e qual è la modalità d’accesso e uscita.
Perché se a lui non viene detto che, ad esempio, gli addetti devono entrare
nelle attrezzature a pressione attraverso un passaggio ellittico da 30 x 40,
magari si vede davanti un tipo Schwarzenegger e obiettivamente dice che è
idoneo agli spazi confinati. Ma da un punto di vista antropometrico, no, perché
non ci può entrare e se poi devo tirarlo fuori senza problemi… Poi sarà compito
del datore di lavoro andare a spiegare all’organo di vigilanza come ha fatto a
rendere idoneo un addetto e dichiarare implicitamente, nel momento in cui
accetta che lui entri, che lo poteva tirare fuori quando era inerme.
La situazione è molto complessa e
quindi il medico, da quel punto di vista, deve adottare un protocollo che al
momento non c’è. L’unica
pubblicazione che c’è è quella che abbiamo fatto noi nel 2015. Ora aspettiamo…
La gestione delle
emergenze negli spazi confinati
A proposito di emergenze mi pare che
quest’anno si sia parlato di soccorso ad Ambiente Lavoro anche in un convegno
nazionale sul soccorso industriale…
Adriano Paolo Bacchetta: Questa del convegno
è una logica evoluzione – sia di spazioconfinato.it sia di tutto quello che è
stato fatto negli anni – che di fatto tiene conto di una necessità. A oggi per
alcuni interventi (…) le aziende che non ritengono di avere del personale
adeguatamente preparato formato o equipaggiato per poter fare interventi di
soccorso utilizzano tipicamente dei professionisti, a tutti gli effetti, che
svolgono il ruolo di soccorritori industriali. (…) Il problema è che, anche in
questo caso, manca una specifica regolamentazione dei requisiti e
qualificazioni (…) e noi gettiamo le basi ufficialmente (…) per cominciare a
definire anche in Italia quella che può essere una ipotesi di profilo
professionale del soccorritore industriale. Ma questo non basta, (…)
l’associazione si sta muovendo per definire dei protocolli di formazione
aggiuntiva a quella obbligatoria di legge per queste persone che normalmente
fanno gli addetti di linea e quando suona la sirena automaticamente scattano e
diventano vigili del fuoco e soccorritori sanitari.(…)
Cosa si dice nel documento del CNI
riguardo alla gestione delle emergenze?
Stefano Bergagnin: Ci tenevo a rendere
evidente che anche nel documento forse il paragrafo “Gestione delle
emergenze” è quello più fitto, perché secondo noi è importantissimo.
Soprattutto su questo tema la normativa è veramente carente perché non
specifica addirittura le diverse tipologie di emergenza che, invece, sono note
da decenni anche dalle norme internazionali. Noi le abbiamo riprese, (…) noi le
abbiamo confermate, le abbiamo specificate meglio e a mio avviso, questo è un
parere personale, questo è uno dei paragrafi che sarà più utile proprio come
linea di indirizzo.
Adriano Paolo Bacchetta: Rispetto a tutto
quello che abbiamo detto, c’è una cosa importante che dico a tutti. Chiunque si
approccia a questo tema deve dimenticarsi di pensare di avere il software, l’app o
cose del genere per cui uno che non ne sa niente, che non è cultore della
materia, non ha esperienza della materia, comprando il software risolve i
problemi. (…)
Gli ambienti confinati sono ambienti
dove la professionalizzazione delle persone che progettano gli interventi e in
particolar modo gli interventi di soccorso deve essere adeguata. Quindi da un
punto di vista pratico invito ad acculturarsi, a leggere, studiare, venire ai
convegni, fare comunque tutto quello che è necessario per evitare di fare
documenti replica. E io ne vedo un quintale di roba fotocopiata, tagliuzzata,
presa da internet
e cose del genere. Quindi con sostanziale evidenza della mancanza totale di
cultura e di conoscenza. (…)
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