Indagine competenze Stato/Regioni 5: perché le competenze allo Stato

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter dopo la recente approvazione alla Camera (seduta del 10 marzo 2015). Ora la riforma dovrà tornare a Palazzo Madama per l’iter della seconda lettura e approvazione. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

Dopo aver descritto nelle scorse settimane la situazione attuale delle competenze in materia di salute e sicurezza e aver approfondito il tema del ruolo delle regioni, veniamo ora ad analizzare storia e conseguenze del probabile futuro passaggio (in realtà, un ritorno) di competenze allo Stato.

E per farlo utilizzo il racconto e il parere di una persona che sull’utilità di riportare le competenze allo Stato credo non abbia mai avuto dubbi e che ha dovuto spesso affrontare, nel suo lavoro, le difficoltà di quel gioco “concorrenziale” di competenze tra Stato e Regioni che ha causato non pochi ritardi nella legislazione.

Sto parlando dell’avvocato Lorenzo Fantini, ex dirigente del Ministero del Lavoro, che in questi anni è stato, non solo dall’interno del “Palazzo”, uno dei principali referenti dell’applicazione e attuazione del D.Lgs. 81/2008, ma anche il felice connettore di una miriade di progetti e accordi in materia della sicurezza.

Quello che presento è un suo contributo in due puntate presentato su PuntoSicuro il 05 dicembre 2014 (“Le competenze legislative in materia di salute e sicurezza”) e il 10 dicembre 2014 (“Competenze Stato-Regioni e Jobs Act: le prospettive di un mutamento”), per cui ben prima della recente approvazione (con modifiche che affronteremo più avanti), dopo il Senato, della Camera dei Deputati.

Del suo contributo presento in particolare la parte che riguarda proprio il tema delle competenze Stato/Regioni in materia di sicurezza, rimandando poi ai link per una lettura integrale dei contributi su PuntoSicuro.


 

Le competenze legislative in materia di salute e sicurezza

Le competenze legislative in materia di salute e sicurezza

La competenza legislativa in materia di salute e sicurezza tra assetto attuale e possibili prossime novità. Brevi considerazioni sulla competenza “ripartita” tra Stato e Regioni in materia di salute e sicurezza. Di Lorenzo Fantini.

(…)

1. Il “testo unico” di salute e sicurezza come corpo normativo “cedevole”

Il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in piena coerenza con il criterio di delega a suo tempo introdotto dalla legge n. 123 del 2007 (il cui articolo 1 recava i principi da attuare per l’esercizio delle relativa delega), individua esplicitamente – in apertura del provvedimento – l’obiettivo principale dell’intervento legislativo, identificato nel “riordino e coordinamento” delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza “delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo”.

Le ragioni della rivisitazione sono molto chiaramente identificate nella “Relazione di accompagnamento” al d.lgs. n. 81/2008, ove è dato leggere quanto segue: “l’attuale regolamentazione è il risultato di una stratificazione di norme, molte delle quali di derivazione comunitaria, emanate nell’arco di quasi sessanta anni. Il sistema che ne è disceso è caratterizzato da una notevole complessità nonché strutturato sul modello della grande impresa, tanto da imporre alle aziende ed agli organi di vigilanza un approccio alla sicurezza unicamente per regole, tassative ed assistite da sanzione penale, e non per obiettivi. Ne sono derivati problemi di adattabilità alla realtà produttiva italiana, fondata sulle imprese di piccole o piccolissime dimensioni, in particolare nei settori (si pensi, per tutti, ai cantieri edili o alla agricoltura) nei quali l’utilizzo del lavoro nero ed irregolare determina una minore attuazione di cautele antinfortunistiche.Per tali ragioni il Governo ha perseguito con convinzione l’obiettivo della creazione di un “Testo Unico” di salute e sicurezza sul lavoro avente natura non solo compilativa ma anche innovativa del sistema vigente, al fine di perfezionarlo, nel rispetto della filosofia delle direttive comunitarie in materia e del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, il quale – come noto – trova i suoi capisaldi nella programmazione della sicurezza in azienda, da realizzare tramite la partecipazione di tutti i soggetti delle comunità di lavoro”.

Tale obiettivo andava, naturalmente, necessariamente perseguito in un contesto costituzionale radicalmente modificatosi nel 2001.

In particolare, va ricordato che l’articolo 117 della Costituzione, comma 3, quale risultante all’esito della legge costituzionale n. 3 del 2001, colloca tra le materie riservate alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni anche la “tutela e sicurezza del lavoro”, mentre il successivo comma 4 dispone — ribaltando la prospettiva precedente alla riforma del 2001 — che: “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”[1].

In ogni caso, rispetto alle materie di legislazione concorrente “la determinazione dei principi fondamentalientro i quali deve esplicarsi la potestà legislativa concorrente delle Regioni viene “riservata alla legislazione dello Stato” (comma 3, ultimo inciso, articolo 117 Cost.).

Per queste ragioni, la già citata “Relazione illustrativa” al d.lgs. n. 81/2008, rimarcava come la legge di delega (attuata dal d.lgs. n. 81/2008) prevedesse “non solo una operazione di riorganizzazione della normativa di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro bensì anche la rivisitazione della medesima materia attraverso l’armonizzazione di tutte le leggi vigenti in una logica unitaria ed innovativa e nel pieno rispetto delle previsioni dell’art. 117 della Costituzione, il cui terzo comma attribuisce alla competenza ripartita di Stato e Regioni la materia della “tutela e sicurezza del lavoro”.

Di conseguenza, sempre secondo la “Relazione illustrativa”, il “testo unico” identifica “come imposto dall’articolo 1, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 123, i principi e i livelli essenziali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che devono essere gli stessi sull’intero territorio nazionale, ferma restando la facoltà delle Regioni di esercitare la propria potestà legislativa concorrente, sempre in maniera tale da non intaccare complessivamente alcune garanzie di base che assumono un ruolo fondamentale in una materia come quella della salute e sicurezza del lavoro che riguarda beni di natura primaria costituzionalmente tutelati”.

In tale contesto risulta, quindi, fondamentale la formulazione del secondo capoverso dell’articolo 1 del d.lgs. n. 81/2008, il quale specifica che il decreto legislativo n. 81/2008 persegue le proprie finalità da un lato “nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia” e dall’altro in coerenza con l’assetto delle competenze tra Stato e Regioni, “garantendo l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Attraverso il richiamo ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” il “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro dimostra di voler garantire l’assenza di diversificazioni di disciplina e assicurare, quindi, l’uniformità della disciplina legale in materia di sicurezza sul lavoro sull’intero territorio nazionale attraverso l’attribuzione allo Stato della legislazione sui “minimi di tutela” lasciando alle Regioni il compito di operare attraverso un sistema di opting out upwards, cioè unicamente tramite deroghe migliorative.

Tale interpretazione risulta rafforzata dalla lettura del comma 3 dell’articolo 1 della legge n. 123 del 2007, il quale imponeva al legislatore delegato di non prevedere alcun abbassamento dei livelli di tutela raggiunti, limite valido anche per i legislatori regionali. Resta inteso che, come puntualmente evidenziato dalla “clausola di cedevolezza” inserita al comma 2 dell’articolo 1 della legge n. 123/2007, le Regioni sono libere di disciplinare la materia liberamente sostituendosi — sempre nel rispetto dei livelli di tutela appena citati — alla normativa statale, espressione del “potere sostitutivo” dell’Amministrazione centrale, le cui regolazioni in materia sono destinate a perdere efficacia una volta che Regioni e Province autonome decidano di esercitare il loro potere legislativo.

2. Gli indirizzi sistematici del passato: una breve ricostruzione.

La dottrina giuslavoristica pronunciatasi sull’assetto costituzionale sopra richiamato ha in passato costantemente rimarcato come il testo dell’articolo 117 della Costituzione sia quanto meno di difficile interpretazione, se non addirittura “criptico in merito ai contenuti ed ai confini della competenza legislativa attribuita alle Regioni” (in questi termini M. Magnani, Il lavoro nel Titolo V della Costituzione, in ADL, n. 3, 2002, 646, la quale sottolinea altresì come tale ripartizione di materia in ambito lavoristico non risulti “essere stata oggetto di attenta discussione nei lavori parlamentari”).

In particolare, è stato sottolineato come tali problemi divengano ancora più complessi ove si consideri che il diritto del lavoro è una materia ove opera un sistema complesso di fonti, non solo legislative, che possono dirsi – in via di prima approssimazione – dirette a dare concretezza alla tutela di diritti fondamentali dell’individuo.

A fronte di tale realtà, il punto essenziale è quello di capire se ed in quale misura il diritto del lavoro in senso stretto, quello sindacale, quello della previdenza sociale e la salute e sicurezza sul lavoro continuino ad essere – a costituzione variata – materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato o se ed in quale misura, viceversa, debbano intendersi affidate alla legislazione concorrente Stato-Regioni oppure a quella esclusiva delle sole Regioni.

A tale riguardo, appare fondamentale individuare il concetto di “ordinamento civile” dello Stato (secondo comma, lettera l), dell’articolo 117 della Costituzione nel testo introdotto dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3 del 2001) a fine di capire se in tale previsione debba farsi rientrare, in tutto o in parte, la materia del lavoro complessivamente e/o nelle sue singole partizioni considerata.

Con specifico riferimento all’espressione ordinamento civile”, ritengo necessario segnalare come la dottrina vi riconduca pressoché in maniera unanime l’intera disciplina del contratto e del lavoro subordinato[2] che risulterebbe in tal modo assistita da una riserva di legge statale, anche se gli interpreti si dividono sulle ragioni in base alle quali detta disciplina debba essere considerata come appartenente all’ “ordinamento civile” dello Stato. Così taluni hanno affermato semplicemente che farebbero parte dell’ “ordinamento civile” dello Stato tutte le materie regolate dal Codice civile e, comunque, tradizionalmente ricomprese nel diritto privato[3], altri hanno concluso nel senso appena esposto prescindendo da una interpretazione del dettato dell’articolo 117 della Costituzione (nel testo attualmente vigente) condotta secondi i canoni propri della legge ordinaria ed orientata dalla considerazione dei “principi fondamentali” enunciati dalla Costituzione (M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, op. cit., 26).

In particolare, secondo i fautori di tale seconda corrente di pensiero, la legislazione in materia di regolamentazione del rapporto di lavoro dovrebbe essere riservata al solo Stato in applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale nella vigenza del precedente testo dell’articolo 117 – ritenuti applicabili anche in relazione al nuovo dettato introdotto nel 2001 – e secondo i quali: “l’ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale di uguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati”[4]. Ne deriva, sempre seguendo l’orientamento appena considerato, che il diritto del lavoro strictu sensu non tollererebbe una differenziazione per territorio proprio in quanto la disciplina del rapporto di lavoro potrebbe davvero dirsi rispettosa del principio costituzionale di eguaglianza solo ove essa non sia differenziata per aree geografiche. In tale ottica, la materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro dovrebbe essere ricompresa tra quelle riconducibili al concetto di “ordinamento civile” in quanto trova la sua norma-cardine nell’articolo 2087 del Codice civile che è norma diretta a disciplinare i rapporti tra privati imponendo al datore di lavoro l’obbligo di apprestare ogni misura di tutela nei confronti dei propri prestatori di lavoro (M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, op. cit., 24).

Altra parte della dottrina è giunta ad una interpretazione parzialmente diversa del dettato costituzionale in commento, per quanto pur sempre diretta a dare coerente soluzione al problema della uniformità della disciplina legale in materia di sicurezza sul lavoro sul territorio nazionale. In particolare, vi è stato chi ha ritenuto che facendo leva sull’articolo 117, 2° comma, lettera m), della Costituzione, che, si ripete, attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti di diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, si potrebbe superare la apparente dicotomia tra “ordinamento civile” e “tutela e sicurezza sul lavoro” e ritenere attribuita allo Stato una legislazione sui minimi – che in determinati casi potrebbe spingersi fino alla normativa di dettaglio – lasciando alle Regioni il compito di modulare oltre il minimo la legislazione in materia di lavoro e sicurezza (M. Biagi, Il lavoro nella riforma costituzionale, in DRI, n. 2 , 2002, 157).

Al fine di avere un quadro di riferimento maggiormente completo e, al contempo, di comprendere bene la notevole complessità della questione dell’assetto delle competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro, può essere utile ricordare quanto accaduto ancora prima del 2008, in relazione al tentativo – poi fallito – di attuare la delega (anch’essa per la rivisitazione e la razionalizzazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro) di cui all’articolo 3 della legge n. 229 del 2003 (legge “di semplificazione” 2001), il cui termine ultimo era stato, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 306, prorogato al 30 giugno 2005.

Al fine di attuare tale delega era, infatti, stato approvato dal Consiglio dei Ministri, in data 18 novembre 2004, un articolato al tempo anch’esso comunemente definito come “Testo Unico” di salute e sicurezza sul lavoro. Tuttavia, il relativo schema di decreto, dopo essere stato trasmesso alle Commissioni XI e XII per i pareri di competenza, venne ritirato dal Governo nel mese di maggio del 2004. Tale decisione, oltre che frutto di valutazioni politiche indotte dalle posizioni critiche espresse dalla Conferenza Stato-Regioni alla seduta del 3 marzo 2005, venne adottata anche in ragione del parere espresso sulla bozza di articolato dal Consiglio di Stato in data 7 aprile 2005 (in Bollettino ADAPT del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi”,n. 16, del 2 maggio 2005), il quale ha segnalato al Ministero proponente (quello del Lavoro e delle Politiche Sociali) l’opportunità di procedere ad una modifica dell’impostazione del testo di una così ampia rilevanza da far preferire al Governo il ritiro della bozza, la quale avrebbe tramite tali modifiche perso alcune delle sue più pregnanti caratteristiche.

In particolare, in tale parere il Consiglio di Stato, sul presupposto che nel caso di specie il principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni non avrebbe potuto operare in ragione del parere negativo (parziale, in quanto la Regione Lazio ed i Comuni avevano manifestato il proprio consenso) espresso sulla bozza di decreto legislativo in parola dalla Conferenza Stato-Regioni alla citata riunione del 3 marzo 2004, ha innanzitutto evidenziato come: “le prescrizioni finalizzate alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro non costituiscono (…) il frutto dell’autonomia contrattuale delle parti ma vengono eteroimposte”, non rientrando pertanto nell’”ordinamento civile dello Stato”, come invece sostenuto dal Ministero del Lavoro nei documenti illustrativi del “Testo Unico”, evidentemente in applicazione dell’orientamento sopra riportato. Ciò, specifica il Consiglio di Stato, a differenza di quanto attinente alla materia regolata dalla allora molto di attualità “Riforma Biagi” (la quale, come evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2005, è quasi del tutto riconducibile “alla disciplina intersoggettiva del rapporto di lavoro”).

Sulla base di tale presupposto logico, il parere citato ha “inquadrato” la totalità della materia della salute e sicurezza sul lavoro nell’area della concorrenza procedendo, quindi, ad una ampia dissertazione (tramite la rassegna della giurisprudenza della Corte costituzionale in materie connesse) su temi quali i “principi fondamentali”, le “clausole di cedevolezza”, la normativa “di dettaglio” e la attuazione delle direttive comunitarie.

All’esito di tale operazione, il Consiglio di Stato ha esposto testualmente quanto segue:

“- il legislatore statale può adottare solo norme costituenti principi fondamentali e non anche disposizioni di dettaglio, benché cedevoli;

– le disposizioni di dettaglio preesistenti restano in vigore con carattere della cedevolezza, fino a quando esse non vengono sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema;

– in relazione a tali disposizioni di dettaglio preesistenti, lo Stato non dispone della legittimazione ad innovarle, ma può solo svolgere un’attività meramente ricognitiva, fermo restando il carattere di cedevolezza delle disposizioni stesse.

A tali principi sempre il Consiglio di Stato ha aggiunto che:

nelle materie a legislazione concorrente, avendo lo Stato perduto la potestà regolamentare, le leggi previgenti, attributive della potestà regolamentare allo Stato, debbono ritenersi venute meno a seguito della emanazione del nuovo Titolo V della Costituzione che esclude che lo Stato possa disciplinare le materie predette nella loro intera estensione e, per giunta, a livello regolamentare (Cons. Stato, Ad. gen., 11 aprile 2002, n. 1/2002; 17 ottobre 2002, n. 5/2002);

– in sede di attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, il potere sostitutivo attribuito allo Stato in caso di inadempimento da parte delle Regioni presuppone la possibilità che lo Stato possa intervenire in via preventiva adottando una normativa di carattere cedevole e ad efficacia differita alla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole Regioni inadempienti (Cons. Stato, Ad. Gen., 25 febbraio 2002, n. 2/2002)”.

Il parere del Consiglio di Stato, per quanto ormai risalente nel tempo, appare di particolare rilevanza perché reso su un testo – per quanto mai approvato – che esattamente come il d.lgs. n. 81/2008 costituisce un “codice” concernente la disciplina di una materia attribuita alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni.

Ad esso, quindi, ritengo che si debba necessariamente guardare per comprendere le possibilità, le criticità e le ricadute di una possibile riforma della salute e sicurezza sul lavoro, che possa comprendere anche il mutamento, totale o parziale, delle competenza legislativa e/o istituzionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Tale tema è di assoluta attualità, solo che si consideri che il disegno di legge di riforma della Costituzione che è stato presentato dal Governo Renzi prevede che la salute e sicurezza sul lavoro torni di competenza esclusiva dello Stato e che un documento di particolare importanza in materia, come la “Relazione finale” – approvata in data 15 Gennaio 2013 dal Senato della Repubblica[5] – predisposta da parte della Commissione parlamentare di inchiesta per gli infortuni sul lavoro, identifica tra le principali criticità del sistema di prevenzione italiano attuale la mancanza di uniformità degli indirizzi della Pubblica Amministrazione in materia di salute e sicurezza proponendo, come cercherò di esporre nel dettaglio nella seconda parte di questo contributo, una sostanziale devoluzione della vigilanza (se non proprio di tutta la competenza in materia) sulla salute e sicurezza allo Stato (in questo caso “rappresentato” da una Agenzia).

Avv. Lorenzo Fantini

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro: dall’articolo è possibile visualizzare il testo originale all’intervento presentato…


 

Competenze Stato-Regioni e Jobs Act: le prospettive di un mutamento

Competenze Stato-Regioni e Jobs Act: le prospettive di un mutamento

La competenza legislativa in materia di salute e sicurezza tra assetto attuale e possibili novità. Considerazioni sulla legislazione concorrente, sul Jobs Act e sulla possibile rivisitazione delle competenze istituzionali. Di Lorenzo Fantini.

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3. La prospettiva di un mutamento delle competenze di Stato e Regioni in materia di salute e sicurezza

Nella prima parte di questo contributo ho cercato di fornire una – per quanto sintetica – ricostruzione storica e sistematica delle ragioni e dei contenuti della definizione, operata dal “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro, dell’assetto delle competenze tra Stato e Regioni in materia antinfortunistica.

Al riguardo, ritengo utile sottolineare come il tema del cambiamento delle competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro sia stato, negli anni successivi alla pubblicazione del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro e del decreto “correttivo” (d.lgs. n. 106/2009) del d.lgs. n. 81/2008, di costante attualità, per ragioni non tanto di tipo dottrinale quanto, invece, più legate alla difficoltà di applicazione di una normativa non semplice nelle diverse parti del territorio italiano, troppo spesso interpretata dagli organi di vigilanza competenti in materia – i quali, va ricordato, sono ex lege le ASL ma anche, in taluni settori (edilizia su tutti) le Direzioni Territoriali del Lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, in altri, organi diversi (si veda quanto previsto all’articolo 13 del d.lgs. n. 81/2008) – in modo niente affatto uniforme nelle diverse Regioni o Province autonome.

In tale contesto, solo in parte mitigato dalla operatività (oggi apprezzabile, dopo un primo periodo di stasi nelle relative attività) della Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza (chiamata a fornire indirizzi operativi comuni agli organi di vigilanza di Stato e Regioni su temi di natura generale discussi in materia di salute e sicurezza sul lavoro) prevista dall’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008, si è sempre più diffusa tra gli operatori la convinzione che sia opportuno se non addirittura necessario un mutamento almeno dell’assetto istituzionale – se non proprio delle competenze legislative – della salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento alle attribuzione della titolarità della vigilanza in materia.

Al riguardo, valore paradigmatico va attribuito alle ampie considerazioni svolte al punto 2.5. della “Relazione finale”, approvata in data 15 Gennaio 2013 dal Senato della Repubblica[6], da parte della Commissione parlamentare di inchiesta per gli infortuni sul lavoro, che si riportano – parzialmente – di seguito.

2.5. La proposta della Commissione. L’istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro

In vista della scadenza del suo mandato, la Commissione d’inchiesta ha sentito come suo dovere non solo la necessità di segnalare l’esistenza di una serie di difficoltà e di ritardi nel coordinamento e nella cooperazione tra gli organismi statali e periferici del sistema della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, ma anche l’esigenza di individuare e suggerire, al Governo e al Parlamento, possibili soluzioni. La prima ipotesi presa in considerazione è stata quella di una proposta di modifica dell’articolo 117 della Costituzione per riportare alla competenza esclusiva dello Stato la potestà legislativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Si trattava certamente di una proposta «forte», in quanto incideva direttamente sull’assetto del nostro sistema istituzionale e, come tale, è stata oggetto di un’ampia riflessione all’interno della Commissione.

Con questa proposta di revisione costituzionale non si intendeva tuttavia sottrarre competenze o poteri alle Regioni e alle Province autonome, in nome di una malintesa forma di statalismo o centralismo, bensì piuttosto ripristinare le condizioni per l’esercizio di un effettivo potere di indirizzo e di programmazione nelle politiche a favore della salute e sicurezza sul lavoro, capace di dispiegarsi in maniera univoca su tutto il territorio nazionale, per assicurare uguali livelli di tutela di diritti che – è bene ribadirlo – sono costituzionalmente garantiti. Un potere di questo tipo potrebbe essere esercitato soltanto dallo Stato, ma non andrebbe ad interferire con le altre attribuzioni spettanti alle Regioni in questo settore, considerato tra l’altro che l’azione amministrativa – ossia le concrete competenze operative, volte a tradurre in pratica gli indirizzi politici – dovrebbe necessariamente esplicarsi a livello locale, come prevede del resto anche l’articolo 118, primo comma, della Costituzione, in applicazione del principio di sussidiarietà.

Questa posizione trova conforto nel confronto con l’assetto normativo di altri Paesi. All’inizio della XVI legislatura, la Commissione d’inchiesta ha svolto un’apposita indagine in tre Paesi dell’Unione europea (Germania, Francia e Regno Unito), dalla quale è risultato che in tutti e tre gli Stati la potestà legislativa in materia di “tutela e sicurezza del lavoro” è di esclusiva competenza statale, anche in una nazione di marcata impronta federalista come la Germania.

In realtà, sul tema della competenza legislativa si confrontano, legittimamente, due distinte posizioni, fra chi ritiene che essa dovrebbe essere appunto ricondotta in via esclusiva allo Stato, per assicurare una effettiva uniformità di indirizzo, e chi invece sostiene l’opportunità che essa rimanga concorrente fra lo Stato e le Regioni e Province autonome, per garantire una più efficace attuazione in ambito territoriale. Si tratta ovviamente di un tema complesso, che si iscrive nel più generale dibattito sulla ridefinizione dei rapporti e delle competenze tra lo Stato centrale e gli enti locali, intorno al quale esistono opinioni e sensibilità diverse”.

La Commissione prosegue ricordando come le criticità da lei stessa riscontrate nel corso degli anni siano state decisamente negate dalle Regioni a tale scopo audite e, tenendo conto delle medesime, formalizza la proposta che testualmente di seguito si trascrive:

“Come risulta da questa ampia illustrazione, il sistema delle Regioni e delle Province autonome è dunque fermamente contrario ad una revisione dell’articolo 117 della Costituzione, ritenendo che essa non risolverebbe i problemi indicati dalla Commissione d’inchiesta, che andrebbero invece affrontati con interventi volti a rafforzare il coordinamento e la leale collaborazione tra le amministrazioni centrali e periferiche nelle sedi istituzionali già esistenti. Ciononostante, le Regioni hanno comunque riconosciuto l’esistenza di un problema generale, che è appunto quello di assicurare una più efficace uniformità di indirizzo politico e quindi di azione sia a livello nazionale che territoriale, anche se le valutazioni divergono riguardo alle possibili soluzioni.

Nel prendere atto della posizione del sistema regionale, la Commissione ha avviato lo studio di una soluzione alternativa che, senza incidere sul riparto delle competenze costituzionali in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, possa tuttavia fornire correttivi all’attuale situazione, nella convinzione che occorra comunque prevenire quei rischi di eccessiva dispersione e disomogeneità dell’azione amministrativa che – è bene ripeterlo – sono emersi in modo chiaro durante l’inchiesta, in particolare attraverso la ricognizione diretta svolta in tutte le Regioni d’Italia negli ultimi due anni.

Si è già spiegato che nell’attuale assetto istituzionale il coordinamento a livello centrale delle attività di prevenzione e di vigilanza per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro spetta al Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale dell’attività di vigilanza, previsto dall’articolo 5 del Testo unico. Tuttavia, per le difficoltà già indicate, il Comitato non ha potuto finora svolgere appieno questa funzione, il che costituisce un oggettivo elemento di debolezza del sistema e impone un ripensamento della natura e degli strumenti a disposizione di questo organismo. Come si è già accennato nel paragrafo 2.3, partendo da tale assunto, dopo un’attenta riflessione la Commissione d’inchiesta ha elaborato una proposta, mirante a sopprimere il Comitato e a sostituirlo contestualmente con una nuova «Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro», che ne assumerà le funzioni. L’Agenzia eserciterà tali attribuzioni, e in particolare quella della programmazione e del coordinamento delle attività di prevenzione e di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con un rafforzamento dei relativi poteri rispetto all’assetto vigente. I diversi aspetti dell’iniziativa sono stati esaminati in particolare nelle sedute del 14 e del 21 novembre 2012 e hanno condotto alla predisposizione di un testo normativo che, su iniziativa del presidente Tofani e dei componenti della Commissione, è infine confluito nel disegno di legge n. 3587, presentato in Senato il 27 novembre 2012 e intitolato «Istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro».

La scelta di proporre questa soluzione si rende necessaria proprio alla luce delle considerazioni precedenti: il sistema della prevenzione disegnato dal Testo unico è infatti necessariamente complesso e articolato, coinvolgendo le competenze di una pluralità di soggetti istituzionali e sociali. Serve quindi una modalità di raccordo più forte, che possa fare da sintesi tra le diverse istanze e, contemporaneamente, dare impulso alle varie attività di prevenzione e di contrasto agli infortuni e alle malattie professionali. Al riguardo, la Commissione ha ritenuto che tale compito possa essere meglio assolto da un organismo dedicato, che sia al tempo stesso operativamente snello e dotato di adeguate competenze e risorse.

La formula dell’Agenzia, già prevista e presente nel nostro ordinamento con compiti di supervisione e controllo in vari settori di pubblico interesse (si pensi, solo per fare un esempio, all’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie), è apparsa quindi la scelta più idonea a soddisfare queste esigenze”.

La Commissione, dopo aver esplicato nel dettaglio la proposta (effettivamente confluita in un vero e proprio disegno di legge), conclude sul punto formulando: “L’auspicio (…) che questa iniziativa possa trovare il sostegno convinto di tutte le istituzioni e le forze politiche e sociali del Paese, per giungere ad una sua rapida attuazione nella prossima legislatura, e contribuire così in questo modo ad una più efficace azione di prevenzione e contrasto agli infortuni e alle malattie professionali”.

(…)

Avv. Lorenzo Fantini

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro e al link per visualizzare il breve saggio presentato…


 

[1] Per un approfondimento dei temi legati a tale — indubbiamente problematica — ripartizione di competenze si rinvia, per tutti, a Persiani, Devolution e diritto del lavoro, in ADL, 2003, 19

[2] Per tutti, si rinvia a M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, in ADL, n. 1, 2002, 19

[3] Così, per tutti, M.G. GAROFALO, Pluralismo, federalismo e diritto del lavoro, in RGL, 2002, II, 410, secondo il quale: “sono esclusi dall’espressione solo i rapporti tra soggetti pubblici in quanto tali e l’esercizio delle potestà pubbliche nei confronti dei cittadini”),

[4] Corte cost., 6 novembre 2001, n. 352; Corte cost., ord. 23 giugno 2000, n. 243; Corte cost., 24 luglio 1998, n. 326; Corte cost., 1° aprile 1998, n. 82; Corte cost., 24 luglio 1996, n. 307; Corte cost., 27 luglio 1995, n. 408; Corte cost., 23 dicembre 1994, n. 441

[5] Disponibile, quindi, nel relativo sito, ma anche in www.olympus.uniurb.it

[6] Disponibile, quindi, nel relativo sito, ma anche in www.olympus.uniurb.it

Indagine competenze Stato/Regioni 4: quali sono le competenze delle Regioni?

Mentre la modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione continua il suo iter, vorrei rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

Sono sempre convinto che prima di emettere giudizi su qualunque tema sia prima necessario cercare di conoscere contenuti e confini della materia affrontata. E in riferimento all’indagine/reportage – lanciata in un precedente post – sulle possibili modifiche alla nostra Costituzionerelative alle competenze sulla “tutela e sicurezza sul lavoro”, penso che sia venuto il momento di raccogliere informazioni sulla situazione attuale, sui vantaggi e svantaggi delle competenze alle Regioni.

Tra l’altro questo approfondimento sul ruolo delle Regioni segue la presentazione, avvenuta nel precedente post, del parere – che potremmo definire semplicisticamente “pro-regioni” – di Cinzia Frascheri, una delle sindacaliste italiane che in questi anni più si sono più occupate di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori…

Il primo documento è un mio articolo – pubblicato su PuntoSicuro del 9 maggio 2012, con il titolo “D. Lgs. 81/2008: ruolo e funzioni delle regioni e delle ASL” – di presentazione di un intervento ad una giornata di studio e di aggiornamento, promossa dalla Cgil Emilia Romagna, che si è tenuta a Bologna il 22 novembre 2011.

L’intervento – del Dott. Giuseppe Monsterastelli (Assessorato Sanità Regione Emilia Romagna) – presenta le competenze delle Regioni e dei Dipartimenti di Sanità Pubblica delle Aziende USL alla luce del D. Lgs. 81/2008.

Il secondo documento è tratto invece da un mio articolo– pubblicato su PuntoSicuro del 2 agosto 2012, con il titolo “Le competenze delle Regioni in materia di sicurezza sul lavoro” – di presentazione di un “working paper”, un breve saggioprodotto dall’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro (Olympus), dal titolo “Brevi note sulle competenze delle Regioni in tema di disciplina della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.



 

D. Lgs. 81/2008: ruolo e funzioni delle regioni e delle ASL

Ci soffermiamo su alcuni aspetti del Decreto legislativo 81/2008 con riferimento al ruolo e alle competenze delle Regioni.

Affronta questo tema la prima parte dell’intervento “Stato dell’arte dell’applicazione della legislazione: d.lgs 81/2008 e smi. Criticità della norma e armonizzazione con i sistemi di gestione certificata. Ruolo della vigilanza istituzionale rispetto ai sistemi certificati”, a cura del Dott. Giuseppe Monsterastelli (Assessorato Sanità Regione Emilia Romagna).

Per introdurre il tema delle competenze regionali e dei competenti servizi delle ASL il relatore riporta il primo articolo del Decreto legislativo 81/2008, con riferimento all’art. 117 della Costituzione e alla legislazione di Stato e Regioni:

 

Articolo 1 – Finalità

1. Le disposizioni contenute nel presente decreto legislativo costituiscono attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, per il riassetto e la riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo. Il presente decreto legislativo persegue le finalità di cui al presente comma nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia, nonché in conformità all’articolo 117 della Costituzione e agli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e alle relative norme di attuazione, garantendo l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati.

2. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione e dall’articolo 16, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, le disposizioni del presente decreto legislativo, riguardanti ambiti di competenza legislativa delle regioni e province autonome, si applicano, nell’esercizio del potere sostitutivo dello Stato e con carattere di cedevolezza, nelle regioni e nelle province autonome nelle quali ancora non sia stata adottata la normativa regionale e provinciale e perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore di quest’ultima, fermi restando i principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, terzo comma , della Costituzione.

3. Gli atti, i provvedimenti e gli adempimenti attuativi del presente decreto sono effettuati nel rispetto dei principi del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Veniamo alle funzioni della Regione.

Il relatore indica che la Regione, nel sistema che risulta dai decreti legislativi 81/2008 e 106/2009, “ha la responsabilità di garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori attraverso la realizzazione degli interventi programmati a livello nazionale e la effettuazione di specifiche azioni locali, anche di natura normativa, attuate utilizzando gli ambiti di autonomia normativa previsti dalla Legge Costituzionale numero 3 del 2001, che colloca la tutela e sicurezza del lavoro tra le materie di legislazione concorrente tra le Regioni e lo Stato” (nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato).

Il modello di prevenzione così riformato “richiede alla Regione un ruolo evoluto e complesso, che prevede relazioni stabili e strutturate con gli Organismi di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro ed un sistematico coordinamento tra gli Enti pubblici competenti in materia: la Direzione regionale del lavoro, l’Inail, l’Inps, i Vigili del fuoco, nonché con Associazioni di rappresentanza degli Enti Locali: ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e UPI (Unione Province Italiane)”.

E in questo nuovo contesto, “la Regione deve indirizzare, programmare e coordinare le attività di prevenzione assicurando la realizzazione di iniziative di comunicazione, informazione, formazione ed assistenza dirette ai lavoratori e alle imprese e deve garantire la programmazione ed il coordinamento dell’attività di vigilanzarealizzata dai Dipartimenti di Sanità Pubblica delle Aziende USL”. E le strutture alle quali la Regione assegna questi compiti “sono rispettivamente il Comitato regionale di coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e l’ ‘Ufficio operativo regionale’”.

La relazione continua con la descrizione del ruolo delle UOPSAL.

Le Unità Operative di Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro delle Aziende USL, “hanno compiti di promozione della salute e di vigilanza, in questo contesto, su loro iniziativa o su delega dell’Autorità Giudiziaria, possono verificare:

– le caratteristiche strutturali ed organizzative degli ambienti nei quali si svolge l’attività lavorativa;

– le attrezzature di lavoro: macchine, apparecchi, utensili o impianti usati durante il lavoro;

– gli impianti e le attrezzature elettriche;

– i cantieri edili, compresi gli scavi e le fondazioni, le demolizioni i ponteggi;

– i fattori di rischio legati agli agenti fisici (rumore, ultrasuoni, infrasuoni, vibrazioni meccaniche, campi elettromagnetici, radiazioni ottiche, laser, microclima);

– i fattori di rischio legati all’uso di sostanze pericolose (agenti chimici, cancerogeni e mutageni, amianto);

– i fattori di rischio legati agli agenti biologici che possono provocare infezioni, allergie o intossicazioni;

– i fattori di rischio legati alle atmosfere esplosive;

– il rispetto delle norme da parte dei progettisti, fabbricanti, fornitori, installatori, medici competenti;

– gli obblighi connessi ai contratti di appalto, di opera, di somministrazione;

– l’adeguatezza della formazione, informazione, addestramento dei lavoratori”.

Possono avere inoltre il compito:

– “di informazione, formazione ed assistenza diretti ai lavoratori e alle aziende relativamente ai rischi presenti nei luoghi di lavoro e alle modalità con le quali è possibile ridurli o eliminarli;

– di realizzare interventi di promozione della salute in particolare relativi all’abuso di alcol e tabagismo;

– di formulare, anche in coordinamento con altri soggetti, pareri per i Comuni in caso di realizzazione o ristrutturazione di locali destinati al lavoro, al fine di promuovere già in fase di progettazione la sicurezza e l’igienicità dei locali;

– di coordinamento e controllo degli accertamenti sanitari sui lavoratori esposti a rischi professionali;

– di svolgere valutazioni medico legali per l’inserimento lavorativo dei disabili;

– di svolgere accertamenti al fine di tutelare le lavoratrici madri”.

Queste sono poi altre funzioni delle UOPSAL:

– “pareri: Parere di agibilità per nuovi insediamenti produttivi;

certificazioni:Rimozione o risanamento da amianto, riutilizzo del sito; Vidimazione registro infortuni;

provvedimenti e autorizzazioni: Notifica inizio attività produttive; Parere per autorizzazioni, in deroga a norme; Piani di demolizione o rimozione amianto;

comunicazioni obbligatorie all’Unità Operativa: Comunicazione di inizio lavori inerenti ristrutturazioni edili ai fini delle detrazioni fiscali (Legge 27.12.1997 n.449 e successive integrazioni); Comunicazioni D. Lgs. 81/08 Titolo VIII capo 2 – rumore – Deroga all’utilizzo DPI e rispetto valore limite; Comunicazioni D. Lgs. 81/08 relative all’uso di agenti biologici; Comunicazioni D. Lgs. 81/08 relative alla protezione da agenti cancerogeni e mutageni; Comunicazioni D. Lgs. 81/08 relative alla protezione da agenti chimici pericolosi; Notifica di manutenzioni smaltimenti o bonifiche di aree con presenza di amianto – D. Lgs. 81/08 art. 250; Notifica Preliminare per Cantieri Temporanei o Mobili – D. Lgs.81/08 art.99;

attività sanitarie, provvedimenti e autorizzazione: Parere per lo svolgimento di attività vietate agli adolescenti; Ricorso avverso il giudizio di “idoneità” del medico competente aziendale; Rilascio attestazione relative a mansioni lavorative che comportano rischio per la gravidanza;

prestazioni sanitarie e certificazioni: Controlli sanitari ai cittadini rientrati da missioni umanitarie in Bosnia e Kosovo; Richiesta di allontanamento da lavoro vietato per le lavoratrici madri durante la gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto”.

Infine ricordiamo anche i compiti di verifica e di controllo delle Unità Operative Impiantistiche Antinfortunistiche (UOIA).

Su loro iniziativa o su delega dell’Autorità Giudiziaria, “possono verificare:

– gli impianti a pressione contenenti gas o vapori;

– gli impianti di riscaldamento ad acqua calda;

– gli ascensori e montacarichi;

– gli impianti di sollevamento: gru e apparecchi di sollevamento, ponti sviluppabili su carro e autocarro, argani e scale aeree a inclinazione variabile;

– gli idroestrattori a forza centrifuga;

– gli impianti elettrici”.

Inoltre alle UOIA è attribuita la competenza:

– “di verificare, su richiesta, lo stato di conformità degli impianti alle specifiche normative di sicurezza ed il loro stato di manutenzione;

– di svolgere interventi di comunicazione e di informazione diretti ai lavoratori e ai cittadini per trasmettere conoscenze relative ai rischi e i pericoli legati all’uso degli impianti e alle modalità di controllarli”.  

 

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro: dall’articolo è possibile visualizzare il testo originale all’intervento presentato…



 

Le competenze delle Regioni in materia di sicurezza sul lavoro

Sul tema si sofferma anche un Working Paper, un breve saggioprodotto dall’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro (Olympus), dal titolo “Brevi note sulle competenze delle Regioni in tema di disciplina della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.

Il documento, a cura del prof. Paolo Pascucci (professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino “Carlo Bo”), riproduce l’intervento presentato dal docente alla Giornata nazionale di studio e ricostruisce in modo sintetico il quadro delle competenze legislative in materia di salute e sicurezza sul lavoro, così “come risulta delineato nella Costituzione italiana dopo la riforma del 2001”. Soffermandosi in particolare “sulle competenze delle Regioni e sul loro fondamento” e proponendo “alcuni interventi per rendere più stringente la loro azione” dopo l’emanazione del Decreto legislativo 81/2008.

L’autore ricorda che malgrado, da un punto di vista formale, il D.Lgs. 81/2008 non possa essere definito un vero e proprio testo unico, la sua disciplina presenta in realtà un’“unicità sostanziale” essendovi “rinvenibili i principi generali del sistema di tutela sia per quanto concerne l’assetto istituzionale sia per quanto attiene alla gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro”.

Questa “complessa operazione di unificazione, riassetto e riforma delle regole è stata resa possibile grazie ad una straordinaria sintonia realizzatasi tra gli attori istituzionali del sistema – i Ministeri del lavoro e della salute e le Regioni – e le parti sociali”. E tutto ciò tenendo conto che, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, “sulla disciplina della salute e della sicurezza dei lavoratori si intrecciano competenze legislative esclusive dello Stato (art. 117, comma 2, Cost.) e competenze concorrenti delle Regioni (art. 117, comma 3, Cost.), con una decisa prevalenza delle prime”.

Infatti vi sono vari aspetti della materia correlata alla sicurezza che “sono ascrivibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Ciò vale per: i riflessi della disciplina prevenzionistica sul rapporto individuale di lavoro; per gli aspetti della rappresentanza e della tutela collettiva della sicurezza dei lavoratori; per la disciplina dell’apparato sanzionatorio penale ed amministrativo e dei connessi profili processuali; per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale; per i riflessi che la disciplina della materia in esame può produrre sulla concorrenza fra imprese”.

In un simile quadro, continua il docente, “il perimetro della competenza legislativa delle Regioni appare alquanto circoscritto e di non agevole definizione, discutendosi se l’eventuale funzione incrementale della legislazione regionale in materia rispetto agli standard fissati a livello statale debba interpretarsi nel senso dell’aggravamento della normativa statale, ovvero, come pare preferibile, nel senso del completamento di detta normativa statale”.

La legislazione regionale può dunque “svolgere un ruolo importante a fini incrementali. Ciò riguarda, in particolare, l’integrazione delle normative tecniche statali là dove non siano totalmente puntuali e specifiche; la promozione della diffusione sul territorio della ‘cultura’ della prevenzione e l’incentivazione della corretta applicazione degli standard di prevenzione; il sostegno all’attività di rappresentanza e tutela collettiva della sicurezza; il miglioramento qualitativo delle attività di vigilanza”.

Dopo un’analisi del significato del termine “sicurezza del lavoro” (e non sicurezza sul lavoro) contenuto nel comma 3 della norma costituzionale (art. 117), il docente si sofferma sulle conseguenze della legislazione “concorrente” della salute e della sicurezza sul lavoro.

Ad esempio ricordando che, al di là di alcune “timidezze” delle Regioni, le Regioni hanno “attivamente partecipato alla predisposizione del d.lgs. n. 81/2008, recando un contributo essenziale grazie al vasto patrimonio di conoscenze e competenze formatosi sul campo fin dalla riforma sanitaria del 1978”.

Se si conviene poi che la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro s’incentri sul principio cardine della prevenzione, come emerge anche dal d.lgs. 81/2008, “si comprende agevolmente perché nel 2001 il nuovo Titolo V della Costituzione, pur in un quadro ripartito di competenze, abbia chiamato in causa le Regioni”.

È infatti alle Regioni, “tramite le ASL, che la legge affida la programmazione e lo svolgimento delle attività di prevenzione, anche nei luoghi di lavoro, così come sempre alle Regioni lo stesso art. 117, comma 3, Cost. attribuisce competenza concorrente sia in materia di salute e sicurezza sul lavoro sia più in generale per la tutela della salute: due competenze, dunque, perfettamente simmetriche, strettamente complementari e, a ben guardare, assolutamente non disgiungibili, pena lo stravolgimento dell’intero quadro ordinamentale della salute”. E in questi termini va letto il coinvolgimento del settore sanitario nell’attività di controllo, coinvolgimento considerabile come principio fondamentale in materia di salute e sicurezza del lavoro: la vigilanza è uno “strumento essenziale dell’attività di prevenzione”.

E, secondo l’autore, “un eventuale completo riaccentramento in capo ad organi statali delle competenze sulla vigilanza”, ad esempio per rimediare alle difficoltà operative di alcune Regioni, “altererebbe irrimediabilmente quel legame tra prevenzione e vigilanza oggi incardinato in capo alle Regioni ed alle loro strutture operative, a meno che non si intenda riaccentrare in capo allo Stato… anche l’intero sistema sanitario e le connesse funzioni di prevenzione”!

L’intervento si sofferma poi sugli strumenti istituzionali messi in campo dal d.lgs. 81/2008 per realizzare un efficace coordinamento delle attività (Comitato nazionale di cui all’art. 5, Comitati regionali di coordinamento di cui all’art. 7, Commissione per gli interpelli di cui all’art.12, …).

Tuttavia “sostenere il perdurante fondamento delle competenze regionali in tema di salute e sicurezza sul lavoro non significa ovviamente ignorare le possibili ricadute della nuova disciplina del 2008/2009 sull’azione delle Regioni”.

Infatti al pari degli altri attori del sistema di prevenzione, anche le Regioni e le loro strutture operative debbono misurarsi con le novità del d.lgs. 81/2008, ad esempio con riferimento alla “forte accentuazione della dimensione organizzativa prodotta dal nuovo decreto, sia per quanto concerne la connessione tra organizzazione del lavoro e prevenzione, sia per quanto riguarda l’organizzazione del sistema di prevenzione nei luoghi di lavoro”.

C’è dunque l’esigenza di “valorizzare la professionalità degli operatori dei servizi ispettivi delle ASL, e non solo di esse, mediante percorsi di alta formazione giuridica ed organizzativa, progettati in collaborazione tra Regioni, INAIL e Università e finalizzati ad arricchire il bagaglio delle loro conoscenze tecniche per cogliere al meglio sia la connessione tra il profilo dell’organizzazione e della gestione del lavoro e quello della salute e della sicurezza di chi lavora, sia le nuove metodologie di organizzazione dei sistemi di prevenzione”.

E, conclude l’autore, le innovazioni del d.lgs. 81/2008 sollecitano una “decisa azione legislativa delle Regioni sul terreno del sostegno e dell’incentivazione della qualificazione delle aziende sul piano prevenzionistico e, in generale, su quello della loro responsabilità sociale”. Infatti una vera “cultura della prevenzione” non può “prescindere dalla costruzione di una seria e moderna ‘cultura di impresa’ così come emerge nel secondo comma dell’art. 41 Cost. e nella dimensione comunitaria”.

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro e al link per visualizzare il breve saggio presentato…

Tiziano Menduto