Indagine competenze Stato/Regioni 4: quali sono le competenze delle Regioni?

Mentre la modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione continua il suo iter, vorrei rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

Sono sempre convinto che prima di emettere giudizi su qualunque tema sia prima necessario cercare di conoscere contenuti e confini della materia affrontata. E in riferimento all’indagine/reportage – lanciata in un precedente post – sulle possibili modifiche alla nostra Costituzionerelative alle competenze sulla “tutela e sicurezza sul lavoro”, penso che sia venuto il momento di raccogliere informazioni sulla situazione attuale, sui vantaggi e svantaggi delle competenze alle Regioni.

Tra l’altro questo approfondimento sul ruolo delle Regioni segue la presentazione, avvenuta nel precedente post, del parere – che potremmo definire semplicisticamente “pro-regioni” – di Cinzia Frascheri, una delle sindacaliste italiane che in questi anni più si sono più occupate di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori…

Il primo documento è un mio articolo – pubblicato su PuntoSicuro del 9 maggio 2012, con il titolo “D. Lgs. 81/2008: ruolo e funzioni delle regioni e delle ASL” – di presentazione di un intervento ad una giornata di studio e di aggiornamento, promossa dalla Cgil Emilia Romagna, che si è tenuta a Bologna il 22 novembre 2011.

L’intervento – del Dott. Giuseppe Monsterastelli (Assessorato Sanità Regione Emilia Romagna) – presenta le competenze delle Regioni e dei Dipartimenti di Sanità Pubblica delle Aziende USL alla luce del D. Lgs. 81/2008.

Il secondo documento è tratto invece da un mio articolo– pubblicato su PuntoSicuro del 2 agosto 2012, con il titolo “Le competenze delle Regioni in materia di sicurezza sul lavoro” – di presentazione di un “working paper”, un breve saggioprodotto dall’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro (Olympus), dal titolo “Brevi note sulle competenze delle Regioni in tema di disciplina della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.



 

D. Lgs. 81/2008: ruolo e funzioni delle regioni e delle ASL

Ci soffermiamo su alcuni aspetti del Decreto legislativo 81/2008 con riferimento al ruolo e alle competenze delle Regioni.

Affronta questo tema la prima parte dell’intervento “Stato dell’arte dell’applicazione della legislazione: d.lgs 81/2008 e smi. Criticità della norma e armonizzazione con i sistemi di gestione certificata. Ruolo della vigilanza istituzionale rispetto ai sistemi certificati”, a cura del Dott. Giuseppe Monsterastelli (Assessorato Sanità Regione Emilia Romagna).

Per introdurre il tema delle competenze regionali e dei competenti servizi delle ASL il relatore riporta il primo articolo del Decreto legislativo 81/2008, con riferimento all’art. 117 della Costituzione e alla legislazione di Stato e Regioni:

 

Articolo 1 – Finalità

1. Le disposizioni contenute nel presente decreto legislativo costituiscono attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, per il riassetto e la riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo. Il presente decreto legislativo persegue le finalità di cui al presente comma nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia, nonché in conformità all’articolo 117 della Costituzione e agli statuti delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano, e alle relative norme di attuazione, garantendo l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati.

2. In relazione a quanto disposto dall’articolo 117, quinto comma, della Costituzione e dall’articolo 16, comma 3, della legge 4 febbraio 2005, n. 11, le disposizioni del presente decreto legislativo, riguardanti ambiti di competenza legislativa delle regioni e province autonome, si applicano, nell’esercizio del potere sostitutivo dello Stato e con carattere di cedevolezza, nelle regioni e nelle province autonome nelle quali ancora non sia stata adottata la normativa regionale e provinciale e perdono comunque efficacia dalla data di entrata in vigore di quest’ultima, fermi restando i principi fondamentali ai sensi dell’articolo 117, terzo comma , della Costituzione.

3. Gli atti, i provvedimenti e gli adempimenti attuativi del presente decreto sono effettuati nel rispetto dei principi del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.

Veniamo alle funzioni della Regione.

Il relatore indica che la Regione, nel sistema che risulta dai decreti legislativi 81/2008 e 106/2009, “ha la responsabilità di garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori attraverso la realizzazione degli interventi programmati a livello nazionale e la effettuazione di specifiche azioni locali, anche di natura normativa, attuate utilizzando gli ambiti di autonomia normativa previsti dalla Legge Costituzionale numero 3 del 2001, che colloca la tutela e sicurezza del lavoro tra le materie di legislazione concorrente tra le Regioni e lo Stato” (nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato).

Il modello di prevenzione così riformato “richiede alla Regione un ruolo evoluto e complesso, che prevede relazioni stabili e strutturate con gli Organismi di rappresentanza dei lavoratori e dei datori di lavoro ed un sistematico coordinamento tra gli Enti pubblici competenti in materia: la Direzione regionale del lavoro, l’Inail, l’Inps, i Vigili del fuoco, nonché con Associazioni di rappresentanza degli Enti Locali: ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e UPI (Unione Province Italiane)”.

E in questo nuovo contesto, “la Regione deve indirizzare, programmare e coordinare le attività di prevenzione assicurando la realizzazione di iniziative di comunicazione, informazione, formazione ed assistenza dirette ai lavoratori e alle imprese e deve garantire la programmazione ed il coordinamento dell’attività di vigilanzarealizzata dai Dipartimenti di Sanità Pubblica delle Aziende USL”. E le strutture alle quali la Regione assegna questi compiti “sono rispettivamente il Comitato regionale di coordinamento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro e l’ ‘Ufficio operativo regionale’”.

La relazione continua con la descrizione del ruolo delle UOPSAL.

Le Unità Operative di Prevenzione e Sicurezza negli ambienti di lavoro delle Aziende USL, “hanno compiti di promozione della salute e di vigilanza, in questo contesto, su loro iniziativa o su delega dell’Autorità Giudiziaria, possono verificare:

– le caratteristiche strutturali ed organizzative degli ambienti nei quali si svolge l’attività lavorativa;

– le attrezzature di lavoro: macchine, apparecchi, utensili o impianti usati durante il lavoro;

– gli impianti e le attrezzature elettriche;

– i cantieri edili, compresi gli scavi e le fondazioni, le demolizioni i ponteggi;

– i fattori di rischio legati agli agenti fisici (rumore, ultrasuoni, infrasuoni, vibrazioni meccaniche, campi elettromagnetici, radiazioni ottiche, laser, microclima);

– i fattori di rischio legati all’uso di sostanze pericolose (agenti chimici, cancerogeni e mutageni, amianto);

– i fattori di rischio legati agli agenti biologici che possono provocare infezioni, allergie o intossicazioni;

– i fattori di rischio legati alle atmosfere esplosive;

– il rispetto delle norme da parte dei progettisti, fabbricanti, fornitori, installatori, medici competenti;

– gli obblighi connessi ai contratti di appalto, di opera, di somministrazione;

– l’adeguatezza della formazione, informazione, addestramento dei lavoratori”.

Possono avere inoltre il compito:

– “di informazione, formazione ed assistenza diretti ai lavoratori e alle aziende relativamente ai rischi presenti nei luoghi di lavoro e alle modalità con le quali è possibile ridurli o eliminarli;

– di realizzare interventi di promozione della salute in particolare relativi all’abuso di alcol e tabagismo;

– di formulare, anche in coordinamento con altri soggetti, pareri per i Comuni in caso di realizzazione o ristrutturazione di locali destinati al lavoro, al fine di promuovere già in fase di progettazione la sicurezza e l’igienicità dei locali;

– di coordinamento e controllo degli accertamenti sanitari sui lavoratori esposti a rischi professionali;

– di svolgere valutazioni medico legali per l’inserimento lavorativo dei disabili;

– di svolgere accertamenti al fine di tutelare le lavoratrici madri”.

Queste sono poi altre funzioni delle UOPSAL:

– “pareri: Parere di agibilità per nuovi insediamenti produttivi;

certificazioni:Rimozione o risanamento da amianto, riutilizzo del sito; Vidimazione registro infortuni;

provvedimenti e autorizzazioni: Notifica inizio attività produttive; Parere per autorizzazioni, in deroga a norme; Piani di demolizione o rimozione amianto;

comunicazioni obbligatorie all’Unità Operativa: Comunicazione di inizio lavori inerenti ristrutturazioni edili ai fini delle detrazioni fiscali (Legge 27.12.1997 n.449 e successive integrazioni); Comunicazioni D. Lgs. 81/08 Titolo VIII capo 2 – rumore – Deroga all’utilizzo DPI e rispetto valore limite; Comunicazioni D. Lgs. 81/08 relative all’uso di agenti biologici; Comunicazioni D. Lgs. 81/08 relative alla protezione da agenti cancerogeni e mutageni; Comunicazioni D. Lgs. 81/08 relative alla protezione da agenti chimici pericolosi; Notifica di manutenzioni smaltimenti o bonifiche di aree con presenza di amianto – D. Lgs. 81/08 art. 250; Notifica Preliminare per Cantieri Temporanei o Mobili – D. Lgs.81/08 art.99;

attività sanitarie, provvedimenti e autorizzazione: Parere per lo svolgimento di attività vietate agli adolescenti; Ricorso avverso il giudizio di “idoneità” del medico competente aziendale; Rilascio attestazione relative a mansioni lavorative che comportano rischio per la gravidanza;

prestazioni sanitarie e certificazioni: Controlli sanitari ai cittadini rientrati da missioni umanitarie in Bosnia e Kosovo; Richiesta di allontanamento da lavoro vietato per le lavoratrici madri durante la gravidanza e fino a sette mesi dopo il parto”.

Infine ricordiamo anche i compiti di verifica e di controllo delle Unità Operative Impiantistiche Antinfortunistiche (UOIA).

Su loro iniziativa o su delega dell’Autorità Giudiziaria, “possono verificare:

– gli impianti a pressione contenenti gas o vapori;

– gli impianti di riscaldamento ad acqua calda;

– gli ascensori e montacarichi;

– gli impianti di sollevamento: gru e apparecchi di sollevamento, ponti sviluppabili su carro e autocarro, argani e scale aeree a inclinazione variabile;

– gli idroestrattori a forza centrifuga;

– gli impianti elettrici”.

Inoltre alle UOIA è attribuita la competenza:

– “di verificare, su richiesta, lo stato di conformità degli impianti alle specifiche normative di sicurezza ed il loro stato di manutenzione;

– di svolgere interventi di comunicazione e di informazione diretti ai lavoratori e ai cittadini per trasmettere conoscenze relative ai rischi e i pericoli legati all’uso degli impianti e alle modalità di controllarli”.  

 

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro: dall’articolo è possibile visualizzare il testo originale all’intervento presentato…



 

Le competenze delle Regioni in materia di sicurezza sul lavoro

Sul tema si sofferma anche un Working Paper, un breve saggioprodotto dall’Osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro (Olympus), dal titolo “Brevi note sulle competenze delle Regioni in tema di disciplina della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori”.

Il documento, a cura del prof. Paolo Pascucci (professore ordinario di Diritto del lavoro nell’Università di Urbino “Carlo Bo”), riproduce l’intervento presentato dal docente alla Giornata nazionale di studio e ricostruisce in modo sintetico il quadro delle competenze legislative in materia di salute e sicurezza sul lavoro, così “come risulta delineato nella Costituzione italiana dopo la riforma del 2001”. Soffermandosi in particolare “sulle competenze delle Regioni e sul loro fondamento” e proponendo “alcuni interventi per rendere più stringente la loro azione” dopo l’emanazione del Decreto legislativo 81/2008.

L’autore ricorda che malgrado, da un punto di vista formale, il D.Lgs. 81/2008 non possa essere definito un vero e proprio testo unico, la sua disciplina presenta in realtà un’“unicità sostanziale” essendovi “rinvenibili i principi generali del sistema di tutela sia per quanto concerne l’assetto istituzionale sia per quanto attiene alla gestione della prevenzione nei luoghi di lavoro”.

Questa “complessa operazione di unificazione, riassetto e riforma delle regole è stata resa possibile grazie ad una straordinaria sintonia realizzatasi tra gli attori istituzionali del sistema – i Ministeri del lavoro e della salute e le Regioni – e le parti sociali”. E tutto ciò tenendo conto che, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, “sulla disciplina della salute e della sicurezza dei lavoratori si intrecciano competenze legislative esclusive dello Stato (art. 117, comma 2, Cost.) e competenze concorrenti delle Regioni (art. 117, comma 3, Cost.), con una decisa prevalenza delle prime”.

Infatti vi sono vari aspetti della materia correlata alla sicurezza che “sono ascrivibili alla competenza legislativa esclusiva dello Stato. Ciò vale per: i riflessi della disciplina prevenzionistica sul rapporto individuale di lavoro; per gli aspetti della rappresentanza e della tutela collettiva della sicurezza dei lavoratori; per la disciplina dell’apparato sanzionatorio penale ed amministrativo e dei connessi profili processuali; per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire su tutto il territorio nazionale; per i riflessi che la disciplina della materia in esame può produrre sulla concorrenza fra imprese”.

In un simile quadro, continua il docente, “il perimetro della competenza legislativa delle Regioni appare alquanto circoscritto e di non agevole definizione, discutendosi se l’eventuale funzione incrementale della legislazione regionale in materia rispetto agli standard fissati a livello statale debba interpretarsi nel senso dell’aggravamento della normativa statale, ovvero, come pare preferibile, nel senso del completamento di detta normativa statale”.

La legislazione regionale può dunque “svolgere un ruolo importante a fini incrementali. Ciò riguarda, in particolare, l’integrazione delle normative tecniche statali là dove non siano totalmente puntuali e specifiche; la promozione della diffusione sul territorio della ‘cultura’ della prevenzione e l’incentivazione della corretta applicazione degli standard di prevenzione; il sostegno all’attività di rappresentanza e tutela collettiva della sicurezza; il miglioramento qualitativo delle attività di vigilanza”.

Dopo un’analisi del significato del termine “sicurezza del lavoro” (e non sicurezza sul lavoro) contenuto nel comma 3 della norma costituzionale (art. 117), il docente si sofferma sulle conseguenze della legislazione “concorrente” della salute e della sicurezza sul lavoro.

Ad esempio ricordando che, al di là di alcune “timidezze” delle Regioni, le Regioni hanno “attivamente partecipato alla predisposizione del d.lgs. n. 81/2008, recando un contributo essenziale grazie al vasto patrimonio di conoscenze e competenze formatosi sul campo fin dalla riforma sanitaria del 1978”.

Se si conviene poi che la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro s’incentri sul principio cardine della prevenzione, come emerge anche dal d.lgs. 81/2008, “si comprende agevolmente perché nel 2001 il nuovo Titolo V della Costituzione, pur in un quadro ripartito di competenze, abbia chiamato in causa le Regioni”.

È infatti alle Regioni, “tramite le ASL, che la legge affida la programmazione e lo svolgimento delle attività di prevenzione, anche nei luoghi di lavoro, così come sempre alle Regioni lo stesso art. 117, comma 3, Cost. attribuisce competenza concorrente sia in materia di salute e sicurezza sul lavoro sia più in generale per la tutela della salute: due competenze, dunque, perfettamente simmetriche, strettamente complementari e, a ben guardare, assolutamente non disgiungibili, pena lo stravolgimento dell’intero quadro ordinamentale della salute”. E in questi termini va letto il coinvolgimento del settore sanitario nell’attività di controllo, coinvolgimento considerabile come principio fondamentale in materia di salute e sicurezza del lavoro: la vigilanza è uno “strumento essenziale dell’attività di prevenzione”.

E, secondo l’autore, “un eventuale completo riaccentramento in capo ad organi statali delle competenze sulla vigilanza”, ad esempio per rimediare alle difficoltà operative di alcune Regioni, “altererebbe irrimediabilmente quel legame tra prevenzione e vigilanza oggi incardinato in capo alle Regioni ed alle loro strutture operative, a meno che non si intenda riaccentrare in capo allo Stato… anche l’intero sistema sanitario e le connesse funzioni di prevenzione”!

L’intervento si sofferma poi sugli strumenti istituzionali messi in campo dal d.lgs. 81/2008 per realizzare un efficace coordinamento delle attività (Comitato nazionale di cui all’art. 5, Comitati regionali di coordinamento di cui all’art. 7, Commissione per gli interpelli di cui all’art.12, …).

Tuttavia “sostenere il perdurante fondamento delle competenze regionali in tema di salute e sicurezza sul lavoro non significa ovviamente ignorare le possibili ricadute della nuova disciplina del 2008/2009 sull’azione delle Regioni”.

Infatti al pari degli altri attori del sistema di prevenzione, anche le Regioni e le loro strutture operative debbono misurarsi con le novità del d.lgs. 81/2008, ad esempio con riferimento alla “forte accentuazione della dimensione organizzativa prodotta dal nuovo decreto, sia per quanto concerne la connessione tra organizzazione del lavoro e prevenzione, sia per quanto riguarda l’organizzazione del sistema di prevenzione nei luoghi di lavoro”.

C’è dunque l’esigenza di “valorizzare la professionalità degli operatori dei servizi ispettivi delle ASL, e non solo di esse, mediante percorsi di alta formazione giuridica ed organizzativa, progettati in collaborazione tra Regioni, INAIL e Università e finalizzati ad arricchire il bagaglio delle loro conoscenze tecniche per cogliere al meglio sia la connessione tra il profilo dell’organizzazione e della gestione del lavoro e quello della salute e della sicurezza di chi lavora, sia le nuove metodologie di organizzazione dei sistemi di prevenzione”.

E, conclude l’autore, le innovazioni del d.lgs. 81/2008 sollecitano una “decisa azione legislativa delle Regioni sul terreno del sostegno e dell’incentivazione della qualificazione delle aziende sul piano prevenzionistico e, in generale, su quello della loro responsabilità sociale”. Infatti una vera “cultura della prevenzione” non può “prescindere dalla costruzione di una seria e moderna ‘cultura di impresa’ così come emerge nel secondo comma dell’art. 41 Cost. e nella dimensione comunitaria”.

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro e al link per visualizzare il breve saggio presentato…

Tiziano Menduto

Indagine competenze Stato/Regioni 3: lasciare le competenze alle regioni?

Sempre con riferimento all’indagine/reportage – lanciata in un mio precedente post – sulle possibili (probabili) modifiche alla nostra Costituzione relative alle competenze in materia di “tutela e sicurezza sul lavoro”, vediamo oggi di dare uno sguardo breve a qualche opinione controcorrente. Almeno controcorrente rispetto all’idea – che sembra prevalente tra i vari interlocutori contattati in questi mesi – che il passaggio delle competenze allo Stato possa essere un passaggio magari difficile ma efficace alla causa della prevenzione.

E’ un opinione datata, risale al 2012 quando ancora si parla solo di richiesta della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle morti bianche di tornare a collocare la materia della tutela della salute e sicurezza sul lavoro tra quelle di esclusiva competenza legislativa dello Stato. Il disegno di legge costituzionale è ancora ai primordi e non c’è stato il voto positivo in Senato.

E’ un’opinione che è espressa tramite un contributo pubblicato sul quotidiano online PuntoSicuro il 5 luglio 2012 e su Ambiente & Sicurezza de Il Sole24ORE. Opinione che non è espressa da una persona qualsiasi, ma da una delle sindacaliste italiane che in questi anni si sono più occupate di sicurezza e più hanno dato battaglia per preservare i principi del Testo Unico (D.Lgs. 81/2008)…

E’ un’opinione che, come leggerete, è differente da quanto scritto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro. Viene difeso il sistema attuale di competenze con particolare riferimento al tema della vigilanza.
Cinzia Frascheri indica che “proporre di modificare un sistema che, tra luci ed ombre, opera non solo da più di trent’anni, ma che garantisce (…) un numero di controlli in azienda, sul livello nazionale, di circa 160.000 unità produttive l’anno (…) è quanto mai di assoluta debolezza, non avendo alcun tipo di riscontro diverso, supportato da dati concreti, sulla maggior efficacia di un sistema alternativo(…)”.

Vi ripropongo di seguito il suo contributo in modo che possiate leggerlo interamente.

Ma non basta.
Vi invito a leggere – per avere un quadro sempre più precisi dei conflitti e delle divergenze di opinione sul tema – anche i commenti che i lettori di PuntoSicuro (spesso non semplici appassionati del tema, ma professionisti della sicurezza a vari livelli…) hanno lasciato a margine del contributo di Frascheri. Commenti che ci permettono di comprendere – qualcuno si ricorda ancora le domande che avevo posto nel post di lancio dell’indagine? – come tra le righe delle dispute più o meno teoretiche sulle competenze Stato/Regioni ci sia in realtà molto di più…
Ma di questo ne parleremo più avanti…

Link per arrivare all’articolo + commenti su PuntoSicuro…

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L’intervento su PuntoSicuro di Cinzia Frascheri, Responsabile nazionale CISL per la salute e sicurezza sul lavoro:

 
E’ di questi tempi la riproposizione, da parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle morti bianche, di tornare a collocare la materia della tutela della salute e sicurezza sul lavoro tra quelle di esclusiva competenza legislativa dello Stato.
La proposta di modifica dell’art.117 della Cost., depositata al Senato nella forma di disegno di legge costituzionale, prevede difatti una semplice modifica – dai riflessi, di contro, tutt’altro che semplici – da operare al secondo comma dell’articolo [1], relativo all’elenco delle materie regolate dalla legislazione esclusiva dello Stato, al quale verrebbe aggiunta la materia della «tutela e sicurezza del lavoro», eliminandola invece dal terzo comma – nel quale oggi è inserita – e quindi dall’elenco delle materie soggette al regime di competenza della legislazione concorrente tra Stato e Regioni [2].

La proposta non è nuova, nel suo contenuto, tenuto conto che già alcuni anni fa prese corpo, ma la sua riformulazione è di estrema attualità, ancor più alla luce dell’iniziativa seminariale [3] che, a corredo della proposta, è stata organizzata in data 25 giugno u.s., proprio presso il Senato, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, a partire dal Presidente della Repubblica, e i ministri competenti [4] ed i principali attori nazionali della prevenzione, tra cui le Parti sociali.
Al centro della questione, di carattere squisitamente politico, ma argomentata con ragioni di natura più tecnica, è la funzione della vigilanza sui luoghi di lavoro, in tema di tutela della prevenzione e controllo sullo stato di salute dei lavoratori, svolta ad oggi, nella sua quasi totalità degli interventi, dalle ASL (Azienda Sanitaria Locale) [5], e quindi da personale ispettivo incardinato nel sistema regionale, funzione precedentemente svolta invece dal solo personale dipendente direttamente dall’Ispettorato del lavoro [6], e quindi dal Ministero del Lavoro, nelle sue articolazioni territoriali.
Non sempre la storia ha qualcosa da insegnare, ma senza dubbio il valore aggiunto che l’esperienza porta con sé, è un bagaglio che non si può trascurare. E’ per questo che un analisi adeguata di quanto è stato fatto (non di certo, di quanto diversamente si avrebbe potuto fare, ma di sicuro di quanto ancora si può fare) non può essere realizzata se non si richiamano alla memoria le tappe fondamentali che hanno determinato un cammino che ad oggi raggiunge i quasi trentacinque anni di attività.
Frutto di un cambiamento epocale avvenuto nel 1978, mediante la Legge di riforma sanitaria n.833, la vigilanza sui luoghi di lavoro (ma non solo, visto che nell’articolato di riferimento di faceva richiamo a tutta l’attività relativa alla prevenzione), venne passata alla competenza delle Regioni, in totale coerenza con la complessiva gestione di tutta la materia della salute attribuita al livello regionale.
Nel 2001, con la Legge costituzionale n.3, all’interno di una ampia riforma che andò ad attribuire alle Regioni competenza legislativa concorrente su molte materie, anche la tutela della salute e sicurezza sul lavoro passò a tale regime, trovando piena coerenza con il già consolidato sistema degli organi di vigilanza incardinati a livello regionale (nelle USL, poi divenute ASL) che, con la riforma del 1978, e il pieno consolidamento nella funzione, da parte del dlgs 626/94 (mediante l’art.23 [7]), svolgevano da tempo una funzione fondamentale sul territorio. Funzione confermata pienamente dalla vigente legislazione di riforma, il dlgs 81/08 s.m. (con l’art.13 [8]), quale attuazione della Legge delega n.123/07, e a totale rispetto dei principi comunitari (introdotti dalla storica direttiva quadro 89/391) e, comunque, già consolidata e rafforzata dall’introduzione del coordinamento, tra i diversi attori della vigilanza sul territorio, previsto dalle disposizioni contenute nel DPCM del 21 dicembre 2007 [9] che, pur giungendo in ritardo (alla luce di quanto già disposto dall’art.27 del dlgs 626/94), rappresenta ancora oggi il cardine sul quale ha preso l’avvio il complessivo sistema a rete, delineato poi dal dlgs 81/08 s.m., e concretizzato attraverso il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art.5 [10]) e le sue articolazioni sul territorio, i Comitati Regionali di Coordinamento (art.7).

Un anno importante il 2007, nel quale venne anche varato – pochi giorni prima del DPCM del 21 dicembre – un medesimo DPCM (datato 17 dicembre 2007 [11]), denominato Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro, con il quale, per la prima volta, il Ministero della Salute non solo confermava il pieno impegno nei riguardi dell’attività di prevenzione e vigilanza sui luoghi di lavoro, in tema di salute e sicurezza, ma riferendosi al «cittadino che lavora, quale portatore di diritti» [12], introduceva tra le prestazioni essenziali da garantire (da parte di tutte le Regioni) dei parametri qualitativi minimi (i Livelli Essenziali di Assistenza – LEA) anche per quanto riguarda la vigilanza sui luoghi di lavoro, richiamando le Regioni a stendere propri Piani di attività, coerenti con il Piano nazionale della prevenzione che, da quel momento, sarebbe stato elaborato a cadenza biennale [13].

E’ sui dati che oggi ci giungono da questo articolato sistema a rete che, se da un lato è facile poter riscontrare mancanze (soprattutto sul livello del perfetto coordinamento) ed obiettivi ancora da raggiungere, dall’altro risulta quanto mai fragile poter argomentare in modo critico non potendo, di contro, da parte di chi attacca il sistema, presentare dati di altrettanta significativa e cospicua attività (a partire da quella di vigilanza) svolta sul territorio in modo puntuale e specifico.
Proporre di modificare un sistema che, tra luci ed ombre, opera non solo da più di trent’anni, ma che garantisce (con la ristrettezza delle risorse economiche ad oggi disponibili per la sanità, complessivamente intesa) un numero di controlli in azienda, sul livello nazionale, di circa 160.000 unità produttive l’anno [14] (pari ad una media superiore alla soglia del 5% [15] sul numero complessivo delle aziende italiane – soglia minima prevista – con punte, in alcune Regioni, anche del 15%), è quanto mai di assoluta debolezza, non avendo alcun tipo di riscontro diverso, supportato da dati concreti, sulla maggior efficacia di un sistema alternativo (in specifico, svolto da ispettori del lavoro che,attualmente rappresentano numericamente circa ¼ degli organi di vigilanza incardinati nelle ASL, sull’intero territorio nazionale, che complessivamente sono circa 4700 operatori, di cui quasi 2800 nel ruolo di Ufficiali di Polizia Giudiziaria).
E’ senz’altro vero che l’aver imposto al sistema della vigilanza da parte delle ASL, un parametro minimo annuale di visite di controllo da realizzare, non è il miglior mezzo per poter garantire una copertura adeguata, basata sull’efficacia [16], delle verifiche in azienda, ed al contempo forma di garanzia di un’uniformità di interventi su tutto il territorio nazionale, ma non diversamente tale parametro può essere considerato totalmente inadeguato al fine di offrire una base certa di interventi mirati nelle aziende, allo scopo di verificare il rispetto dei precetti normativi di tema di prevenzione.
Se il numero degli infortuni mortali nel nostro Paese è ancora assolutamente inaccettabile – in una sola settimana, del mese di giugno, sono morti per cause lavorative, 19 persone – e, con questo, il numero degli infortuni gravi (che raggiunge circa 800.000 casi l’anno [17]) e le malattie professionali, in costante crescita [18], a partire dalle patologie muscolo-scheletriche, non per questo si può giungere ad una troppo facile (e di certo insostenibile) assoluta attribuzione di responsabilità alle carenze del sistema di controllo e vigilanza sul territorio, garantito dal sistema regionale, a favore di un diverso modello, a direzione accentrata nazionale.
E’ importante, difatti, non trascurare che intorno all’attività di controllo e vigilanza sul rispetto degli obblighi normativi collegati strettamente al processo di valutazione del rischio, altre sono le attività che devono essere garantite, sia sul piano del supporto e assistenza alle realtà aziendali, sia per gli ulteriori aspetti soggetti ai controlli che richiedono, non solo le ordinarie competenze di natura amministrativo-tecnica, ma anche quelle di area medica [19] ed organizzativo-gestionale (visto il numero in crescita delle aziende che si dotano di Sistemi di Gestione per la Salute e Sicurezza sul Lavoro – SGSL – e Modelli di Organizzazione e Gestione – MOG [20]).
A tale riguardo, se rilevanti ed urgenti piani di intervento senz’altro devono essere attuati (sull’esempio dei due Patti varati dal sistema delle Regioni, come quello per l’agricoltura e quello per l’edilizia), l’azione che necessita deve essere realizzata agendo su fronti diversi ed operando, non solo su di un piano di inasprimento e frequenza dei controlli (tenuto conto che mai si potrà pensare di giungere a controllare costantemente tutte le aziende del territorio italiano, vista la frammentazione e la ridotta dimensionalità), ma soprattutto sul livello della crescita del senso di responsabilità, della conoscenza specifica e della percezione diffusa del rischio, da parte di tutti gli attori aziendali della prevenzione (a partire dal datore di lavoro fino a scendere ai lavoratori/trici, passando dalle figure intermedie di fondamentale importanza, quali i preposti).
Il contributo fondamentale che oggi la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro può, non solo dare, ma garantire, in modo costante e puntuale, non è quello di proporre percorsi nuovi e sistemi di intervento alternativi che mortificano le esperienze e il bagaglio del passato, per guardare ad un incerto e indefinito futuro, ma quello di promuovere il consolidamento di una chiara politica nazionale di prevenzione, fino ad oggi assente. Una politica che, basandosi sull’incrocio dei dati [21] possa delineare gli obiettivi certi di intervento e le azioni prioritarie (da cadenzare nel tempo), potendo contare sul contributo e la collaborazione fattiva dei diversi soggetti impegnati sul territorio, a partire dal sistema delle Regioni (consolidando la sinergia ed il confronto sia politico che tecnico, tra queste, rafforzando gli organici dei servizi di prevenzione e vigilanza e moltiplicando i momenti formativi e di aggiornamento per gli stessi operatori). Ma potendo anche contare sulla collaborazione tra soggetti istituzionali (potenziando ed intensificando l’attività dei diversi Comitati e Coordinamenti, ai sensi degli artt.5 e 7, del dlgs 81/08 s.m.), e sull’azione ramificata sul territorio garantita dalle Parti sociali, operata mediante gli organismi paritetici e l’attività diretta dei rappresentati dei lavoratori per la sicurezza (aziendali e territoriali). Anche la definizione del sistema di qualificazione delle imprese (basato sulla premialità, ma anche sulla previsione di parametri minimi necessari di garanzia di tutela dei lavoratori) potrà, quando varato, andare a contribuire in modo fattivo, sia ad un innalzamento del livello generale di prevenzione da parte delle imprese, sia soprattutto un criterio uniforme di rispetto delle regole, come già ad oggi sta iniziando a determinarsi per il mondo delle aziende impegnate in lavori in ambienti confinati o a sospetto rischio di inquinamento [22].
Se tutto questo si realizzerà, portando a sistema un assetto perfettamente delineato dal decreto di riforma legislativa del 2008, alcuna modifica sarà necessaria sul livello legislativo, ed ancor più costituzionale, per poter realisticamente auspicare, ma non meno definitivamente raggiungere, non solo una riduzione drastica degli eventi di danno e di disagio, in ambito lavorativo, ma una condizione diffusa di miglioramento continuo in un quadro di crescita e sviluppo sostenibile, ponendo la persona che lavora al centro, di un sistema articolato di tutele.

Cinzia Frascheri
Giuslavorista
Responsabile nazionale CISL per la salute e sicurezza sul lavoro

(Contributo pubblicato su Ambiente & Sicurezza de Il Sole24ORE)
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[1]La modifica prevista consisterebbe nell’aggiungere, nell’ambito dell’elenco presente al secondo comma, dell’art.117 Cost., dopo la lettera o), la lettera «o-bis», con il seguente testo «tutela e sicurezza del lavoro», eliminando, al contempo, al terzo comma, le seguenti parole «tutela e sicurezza del lavoro». Se per il commento sulla modifica al testo costituzionale, si rimanda alla lettura di questo contributo, in questa nota si richiama brevemente l’attenzione alla preposizione «del» anziché la più puntuale “sul”, utilizzata tra le parole «sicurezza» e «lavoro», nel testo della proposta di modifica, tale da ingenerare, da un lato una considerazione di errore sulla tematica, spostando dalla materia relativa alla salute e sicurezza, al tema della certezza (o meno) di un posto di lavoro, dall’altro (interpretazione più ampiamente sostenuta) quella di volere, in forma sintetica, ricomprendere entrambe le aree, sia della tutela prevenzionale che dell’occupazione

[2]A tale riguardo occorre comunque ricordare che tra le materie, ad oggi, di esclusiva competenza dello Stato che hanno una diretta correlazione con il tema della salute e sicurezza sul lavoro troviamo: riflessi che la disciplina della materia in oggetto può determinare sulla concorrenza fra le imprese (art.117 Cost., comma 2, lett.e); l’ordinamento civile e penale (art.117 Cost., comma 2, lett.l) e la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale (art.117 Cost., comma 2, lett.m).

[3]Il Seminario a cui si fa riferimento è quello che è stato organizzato dalla Commissione d’inchiesta, presso il Senato della Repubblica, per il giorno 25 giugno c.a., dal titolo «Giornata nazionale di studio sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro».

[4]A fronte di una presenza silente e di breve tempo del Presidente Napolitano – che si è limitato a scambiare qualche minima battuta sul tema con i giornalisti fuori dell’aula dove si teneva la Giornata di studio – il ministro Elsa Fornero, nel suo intervento, oltre a parlare del tema della qualificazione delle imprese, quale strumento urgente e necessario, ha focalizzando su quattro azioni strategiche l’impegno del Governo sulla sicurezza sul lavoro, evidenziando il grande valore dei provvedimenti varati dalla Commissione consultiva. Partendo dalle buone norme (che ha precisato, devono sempre tradursi in buoni comportamenti) ha aggiunto, i controlli severi, l’informazione e gli investimenti.

[5] A tale riguardo si rimanda al comma 2, dell’art.13, del dlgs 81/08 s.m., nel quale vengono elencate le sole attività sulle quali è prevista l’attività di vigilanza svolta da personale ispettivo del Ministero del Lavoro.

[6]Cfr. art.398, del DPR 547 del 1955.

[7]All’art.23, comma 1, del dlgs. 626/94, si legge: «La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio…».

[8]All’art.13, comma 1, del dlgs. 81/08 s.m., si legge: «La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio…».

[9]All’art.1, comma 1, del DPCM del 21 dicembre 2007 (G.U. n.31 del 6.2.2008), si legge: «I Comitati regionali di coordinamento, d’ora in poi Comitati, istituiti presso ogni regione e provincia autonoma ai sensi dell’art. 27 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626, svolgono i propri compiti di programmazione e di indirizzo delle attività di prevenzione e vigilanza nel rispetto delle indicazioni e dei criteri formulati a livello nazionale dai ministeri della Salute e del Lavoro e della previdenza sociale e dalle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano al fine di individuare i settori e le priorità d’intervento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro».

[10]Le principali funzioni del Comitato (art.5, comma 3, del dlgs. 81/08 s.m.), al fine di garantire l’attuazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni si possono riassumere in tre punti: 1) stabilire le linee comuni delle politiche nazionali in tema di salute e sicurezza sul lavoro; 2) individuare obiettivi e programmi dell’azione pubblica di miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori; 3) definire la programmazione annuale in ordine ai settori prioritari di intervento dell’azione di vigilanza, i piani di attività e i progetti operativi a livello nazionale e programmare il coordinamento della vigilanza a livello nazionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Va detto che ad oggi l’attività del Comitato non è ancora strutturalmente partita, determinando un vuoto significativo nell’azione di coordinamento e gestione dei soggetti componenti.

[11]DPCM del 17 dicembre 2007 (G.U. n.3 del 4.1.2008) dal titolo «Esecuzione dell’accordo del 1°agosto 2007, recante Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro».

[12]Cfr. Punto 2, delle Premesse del DPCM del 17 dicembre 2007 (G.U. n.3 del 4.1.2008) dal titolo «Esecuzione dell’accordo del 1°agosto 2007, recante Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro».

[13]Il primo Piano nazionale della prevenzione ha riguardato il biennio 2005-2007. Attualmente è in vigore il Piano nazionale della prevenzione 2010-2012.

[14]Sulla base dell’ultimo Rapporto a cura della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (11/123/CR7c/C7), datato 2010, il dato preciso complessivo che viene riferito in merito al totale delle aziende oggetto di vigilanza è pari a 162.525 unità produttive.

[15]Nel Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro (DPCM 17.12.2007) venne fissato un limite minimo percentuale (del 5%) di controlli sul numero complessivo delle aziende, da parte degli organi di vigilanza delle ASL, che ogni Regione avrebbe dovuto garantire. Sono poche le Regioni che ancora non sono riuscite a rispettare tale soglia minima, mentre sono in crescita quelle che l’hanno ampiamente superata. La percentuale media nazionale, ad oggi, si attesta su di una soglia pari al 6.6% di controlli sul numero complessivo delle aziende.

[16]Il sistema introdotto dei LEA anche sui temi ella salute e sicurezza sul lavoro si presta a spingere il sistema delle ASL a livello regionale, attraverso i propri ispettori, a velocizzare gli interventi di verifica nelle aziende per poter compiere, nei tempi più brevi, in più alto numero di controlli effettuati negli ambienti di lavoro, al fine di raggiungere la soglia minima annuale di verifiche richieste dal ministero della salute (soglia minima del 5%).

[17]Dal Rapporto del 2010 (vd. nota n.8), il dato che emerge è di 775.374 casi di infortunio grave, a fronte di 980 casi di decesso per causa lavorativa. Significativo a tale riguardo l’apporto fornito dal sistema INFOR.MO. che consiste nella sorveglianza degli infortuni mortali sul lavoro, avviato nel 2002, tra Regioni, INAIL e ISPESL (istituto oggi confluito nell’INAIL), allo scopo di monitorare gli accadimenti rilevati sulla base delle indagini effettuate al momento degli eventi da parte dei tecnici della prevenzione delle ASL.

[18]Dal Rapporto del 2010 (vd. nota n.8), il dato relativo alle denunce presentate di malattia professionale è di 42.347. Significativo in tal senso l’apporto dei dati forniti dal sistema MAL.PROF. che costituisce una banca dati fondamentale alimentata dalle denuncie di malattia professionale, dai referti pervenuti ai Servizi di prevenzione delle ASL, dalle notifiche di patologia professionale acquisiti tramite ricerca condotta nei reparti ospedalieri.

[19]E’ rilevante (seppur da intensificare) l’attività che viene svolta in merito ai controlli in azienda relativi all’obbligo di avere un protocollo sanitario e le correlate cartelle sanitarie (in caso di presenza di lavoratori soggetti a regime di sorveglianza sanitaria), così come l’attività relativa alle procedure per ricorso avverso al giudizio del medico competente, e le visite mediche (di idoneità o per casi specifici di assunzione) effettuate presso i servizi di prevenzione delle ASL.

[20]Ai sensi dell’art.30, del dlgs 81/08 s.m..

[21] Un’importante contributo potrà venire dall’istituzione del SINP (Sistema Informativo per la Prevenzione – art.8, dlgs. 81/08 s.m.) che potrà fornire, una volta a regime, dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l’utilizzo integrato delle informazioni disponibili. Significativi i componenti del SINP, tra i quali troviamo, oltre ai ministeri della Salute e del Lavoro, le Regioni e l’INAIL, il contributo degli organismi paritetici e degli istituti di settore a carattere scientifico, ivi compresi quelli che si occupano della salute delle donne.

[22]Cfr. DPR n. 177 , del 14 settembre 2011, dal titolo “Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81” (GU n. 260 del 8-11-2011).

Indagine competenze Stato/Regioni: il pensiero pragmatico delle associazioni

In un precedente post ho presentato le possibili modifiche alla nostra Costituzione relative alle competenze in materia di “tutela e sicurezza sul lavoro” e indicato alcune domande che è necessario porsi. Ora non rimane che incamminarci nel faticoso ma necessario percorso d’indagine per raccogliere qualche risposta.

Innanzitutto vorrei pubblicare alcuni contributi, pareri e interviste pubblicate in questi mesi sul quotidiano online PuntoSicuro: permettono di dare un fugace sguardo alle opinioni, di comprendere i possibili futuri schieramenti.

Il primo parere che vorrei presentare non è quello di un politico, di un amministratore o di un esponente delle parti sociali, ma più semplicemente di un rappresentante di un’associazione che da anni si occupa di sicurezza. E avendo visto passare spesso sotto i ponti miriadi di leggi, delibere, circolari, chiarimenti e proroghe senza una reale efficacia per il miglioramento reale della prevenzione in Italia, del problema delle competenze non ne fa un problema di principio. Lo guarda come un possibile spunto nuovo per meglio incidere sul numero ancora troppo alto di infortuni e malattie professionali.

Sto parlando dell’intervento di Rocco Vitale, presidente di AiFOS, intitolato “Approvate le modifiche al Titolo V della Costituzione” e pubblicato sul numero dell’11 agosto 2014 di PuntoSicuro.

 

Roma, 8 agosto 2014. Il Senato ha approvato importanti modifiche al Titolo V della seconda parte della Costituzione e in particolare all’art. 117, dove è stata prevista la competenza esclusiva dello Stato per la materia della salute e la sicurezza sul lavoro.

L’iter di revisione costituzionale è solo agli inizi e deve procedere con le successive approvazioni di Camera e Senato e, molto probabilmente, si svolgerà un referendum.

Ciò non toglie l’importanza di quanto è avvenuto, poiché si tratta pur sempre di un atto legislativo che inciderà, fin d’ora, profondamente sulla normativa del settore della prevenzione della salute e sicurezza.

Di fatto è stato completamente modificato il secondo comma dell’art. 117 nella dizione: “lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie e funzioni” ed alla lettera m) sono aggiunte le “norme generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e sicurezza sul lavoro”.

Allo stesso tempo è stato abrogato l’attuale comma 3, cancellando le ” materie di legislazione concorrente”. Tutta la problematica rientra nell’esclusiva competenza dello Stato e viene tolta alle Regioni la cosiddetta legislazione concorrente e, pertanto, non potranno più emettere provvedimenti, di qualsiasi natura, nel campo della salute e sicurezza.

Per gli addetti ai lavori non si tratta di una sorpresa, ma di una conferma che già la relazione finale della ” Commissione Tofani” (Commissione parlamentare di inchiesta sulle morti bianche) aveva considerato evidenziandone la grande confusione venutasi a creare da parte delle Regioni nell’applicazione della legislazione concorrente.

Le Regioni, del resto, hanno fatto di tutto in questi anni per concorrere a creare questo sistema. Dopo gli Accordi Stato-Regioni, che con luci ed ombre hanno fissato regole e principi condivisi, si è assistito ad una proliferazione di leggi, decreti, delibere, regolamenti differenti da Regione a Regione. Una vera e propria raccolta di testi e norme difformi fra loro che poco o nulla hanno a che vedere con l’autonomia regionale.

Non sorprende, quindi, che a fronte dei circa 8.000 emendamenti presentati al disegno di legge del Governo di modifica del Titolo V della Costituzione non ve ne sia stato nemmeno uno che chiedeva la conferma della “legislazione concorrente”.

Potremmo dire che, al di là dell’esito delle singole votazioni, vi sia stata una unanimità totale nel voler ricondurre allo Stato la materia di salute e sicurezza sul lavoro togliendola alle Regioni. Anzi, bisogna sottolineare come alla salute e sicurezza sul lavoro sia stata aggiunta la sicurezza alimentare ambito nel quale abbiamo, tutt’ora, ben venti legislazioni differenti riconducibili ad ogni singola regione.

Che cosa rappresenta e cosa significa il recente voto del Senato? Agli effetti pratici ed immediati non cambia nulla perché, come detto, siamo all’inizio dell’iter di una modifica costituzionale che deve seguire il suo corso (se tutto procederà senza intoppi, gli esperti dicono che si potrà arrivare a fine 2015 o nel primo semestre del 2016).

Non deve però passare sotto silenzio il valore politico e culturale di tale provvedimento.

Primo perché si tratta di un atto che esprime chiaramente la volontà del Legislatore e secondo perché il tempo che ci separa alla sua applicazione totale deve essere usato e ben speso per affrontare la nuova situazione che non vedrà più né norme regionali, né nuovi Accordi Stato-Regioni.

Le Regioni possono utilizzare bene questo tempo per dare un contributo di chiarezza e responsabilità. Non tutto quanto è stato fatto deve essere cancellato o rifatto daccapo. Le Regioni, come ricordava la Commissione Tofani mantengono ed hanno competenze tramite i Comitati Regionali di Coordinamento (art. 7, D. Lgs. 81/2008) e dovrebbero meglio farli funzionale, nonché sulla vigilanza in materia di sicurezza (art. 13, D. Lgs. 81/2008).

Vi sono poi molte esperienze positive ed utili che dovrebbero essere condivise, prima di tutto fra le stesse Regioni, affinché possano divenire suggerimenti e indicazioni utili allo Stato.

Non è cosa da poco, bensì molto impegnativa.

Anzi è proprio quello che è mancato ed ha contribuito ad affievolire l’azione (molto spesso disattesa, non applicata ed ignorata) ed il prestigio delle Regioni.

Dedicarsi con serietà ed impegno per dare un contributo propositivo sarà molto più utile che persistere nell’applicare norme o, peggio ancora, farne delle nuove che prima o poi verranno cancellate e facilmente dimenticate.

Le competenze sulla sicurezza sul lavoro: Stato o Regioni?

Cerchiamo di essere chiari fin dall’inizio. L’approvazione della modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione è un cambiamento rilevante – cercheremo di capire se necessario e utile – per il futuro di ogni politica di prevenzione e riduzione degli incidenti e delle malattie professionali in Italia.

Un cambiamento che tuttavia non è ancora avvenuto: il disegno di legge costituzionale è stato al momento solo approvato da un ramo del nostro attuale sistema bicamerale e il suo iter – in quanto legge costituzionale – è lungo e non scontato.

Tuttavia l’approvazione delle modifiche, nei primi giorni di agosto del 2014, in Senato esprime una volontà che appare sufficientemente condivisa a livello politico per pensare ad una lenta ma inesorabile corsa verso il traguardo.

Cerchiamo innanzitutto di comprendere come la Costituzione verrebbe modificata dal disegno di legge costituzionale, come approvato ad agosto.

Questo è ad esempio uno stralcio costituzionale degli articoli – senza le modifiche del disegno di legge – relativi alle Regioni, Province e Comuni:

Art. 114

La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.(…)

Art. 116

Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallee d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.

(…)

Art. 117

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull’istruzione;

o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;

s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

(…)

 

Innanzitutto nel nuovo disegno di legge costituzionale sono cancellate le “materie di legislazione concorrente” che in questi anni avevano provocato non pochi contenziosi e dubbi normativi anche in relazione al mondo della sicurezza sul lavoro.

Inoltre con le eventuali modifiche dell’art. 117 lo Stato viene ad avere “legislazione esclusiva” anche in materia di “norme generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e sicurezza sul lavoro“.

Una soluzione che parte da lontano e che è stata stimolata dalle relazioni della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle morti bianche, una Commissione monocamerale – istituita dal Senato già nel corso della XIV Legislatura con deliberazione del 23 marzo 2005 – che più volte in questi anni ha puntato il dito sulla mancanza di uniformità da parte delle diverse Regioni nell’applicazione della legislazione concorrente.

Fatta questa breve premessa è necessario comprendere la portata di questo eventuale cambiamento.

Capire come cambia l’efficacia della prevenzione in Italia con un accentramento o decentramento delle funzioni legislative.

Sono tante le domande a cui è necessario dare una risposta:

– quali sono le possibilità reali che queste modifiche della Costituzione diventino effettive? E con quali tempi?

– Quali sono le posizioni dei vari partiti politici sul tema? Quali sono le posizioni delle parti sociali, datoriali e sindacali?

– Quali sono oggi e quali saranno domani – alla lice di queste modifiche – le funzioni e i limiti dei Comitati Regionali di Coordinamento?

– Quali potrebbero essere le conseguenze sulla vigilanza e sulla formazione alla sicurezza?

– Il conflitto di competenze tra Stato e Regioni è anche un conflitto tra competenze tecniche (DPL) e competenze sanitarie (ASL)?

– Quali sono stati ad oggi i pregi e difetti degli interventi regionali nei vari ambiti (prevenzione, vigilanza, formazione, …)? E quali le differenze più evidenti tra regione e regione?

– Come potrebbe essere strutturata un’Agenzia Unica per la Salute e Sicurezza sul Lavoro? Come è stata la prevenzione in Italia prima delle competenze concorrenti?

– La legislazione regionale può svolgere un ruolo importante a fini incrementali sulla prevenzione ?

– Quale è stato il risultato di questi tredici anni di legislazione concorrente?

– Non c’è il rischio che un accentramento in capo ad organi statali delle competenze sulla vigilanza possa alterare il legame tra prevenzione e vigilanza oggi in capo alle Regioni ed alle loro strutture operative?

– Quali sono oggi e quali sarebbero domani le funzioni dei DPL?

 

Non è facile dare risposte a tutti questi quesiti.

Quello che posso fare, che può fare questo blog informativo, è iniziare una sorta di indagine, di reportage sul tema delle competenze sulla sicurezza.

Innanzitutto Indagine Sicurezza ospiterà nei prossimi mesi alcuni materiali e interviste da me realizzate e già pubblicate sul quotidiano online PuntoSicuro.

Successivamente cercherò di raccogliere altre opinioni – istituzionali, politiche, sindacali, datoriali, tecniche, … – partendo proprio dalle varie domande che oggi affollano queste poche righe.

Questa breve inchiesta non parte prevenuta.

Speriamo solo che navigando tra le nebbie delle opinioni e posizioni diverse emerga qualche certezza alla luce dell’unico obiettivo comune: rendere la prevenzione più efficace e migliorare la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

Tiziano Menduto