Spazi confinati 04: conoscere gli infortuni per migliorare la prevenzione

Una raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. La futura norma UNI e gli ambienti assimilabili agli spazi confinati. Intervista a Paolo De Santis della Contarp Inail.

Sono ancora troppi gli infortuni che avvengono nei cosiddetti ambienti sospetti di inquinamento o confinati. A titolo esemplificativo tra il 2002 e il 2014 si registrano in Italia circa 69 incidenti che hanno comportato 90 morti. E sono comunque molti gli infortuni mortali plurimi dal 2014 ad oggi, ad esempio con riferimento all’incidente plurimo (quattro morti) avvenuto in provincia di Pavia nel 2019.

Proprio partendo da questi dati e dalla necessità di migliorare la prevenzione a partire dalla conoscenza e dallo studio degli infortuni che avvengono in questi particolari ambienti, concludo il viaggio attraverso i rischi negli spazi confinati con un post, il quarto, che raccoglie un’intervista da me realizzata durante la manifestazione “Ambiente Lavoro” del 2019 e pubblicata sul giornale online PuntoSicuro (Spazi confinati: gli infortuni, le criticità e la futura norma UNI).

L’intervista è a Paolo De Santis (Inail – Contarp Lazio), relatore al workshop Inail “Ambienti Confinati e infortuni mortali: analisi delle criticità e proposte di soluzioni”, che si è soffermato proprio sulle criticità rilevate negli infortuni in questi ambienti.

L’intervista, realizzata il 17 ottobre 2019 e di cui riporto il video e una parziale sbobinatura, ci permette di avere anche informazioni su una futura norma UNI in materia di ambienti confinati.

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Entriamo nel dettaglio degli infortuni che avvengono ogni anno negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, con particolare riferimento al plurimo infortunio mortale che è avvenuto in provincia di Pavia a metà settembre…

Paolo De Santis: In particolare quest’ultimo incidente ha la caratteristica di raccogliere un po’ tutte quelle criticità che possono essere elencate.

Intanto osserviamo che, a 11 anni dalla pubblicazione del decreto 81/2008, ancora si muore negli spazi confinati. Nel frattempo c’è stato il DPR 177/2011, ci sono state decine di buone prassi, linee guida, … Ma il problema che questo particolare incidente indica è che la normativa, le buone prassi, ecc. molto spesso non arrivano alla piccola e piccolissima azienda.

Cosa è successo?

Dalle ricostruzioni dei giornali si capisce che un lavoratore si è sentito male al bordo di una vasca di liquami. È caduto nella vasca, è annegato e gli altri tre, di cui due datori di lavoro, hanno cercato di estrarlo ma, ovviamente nelle stesse condizioni, sono morti anche loro annegati.

Io analizzando questo incidente sono rimasto abbastanza sconcertato dal fatto che questa particolare tipologia di ambiente, quella delle vasche dei liquami, è analizzata addirittura dal 1978. Molti esperti (…) sulla base proprio dell’indagine approfondita su decine e decine di incidenti, hanno pubblicato articoli, fatto incontri, convegni, dato anche proprio delle misure preventive, tecniche, molto pratiche… Sappiamo, per esempio, che un’adeguata correzione del pH può diminuire questo rischio. Il problema è come arrivare alla piccola e piccolissima azienda: ecco, credo, che questo sia il nostro obiettivo per il futuro.

Che altra tipologia di infortuni avvengono negli ambienti a cui fa riferimento il DPR 177? Ci sono altri incidenti che ci possono fornire insegnamenti e indicazioni per migliorare la prevenzione?

P.D.S.:Sì, e bisognerebbe anche fare una prima distinzione, quella distinzione che stiamo cercando di portare a livello di gruppo UNI tra ambienti che rientrano nella normativa – quindi ambienti confinati o sospetti di inquinamento, secondo le definizioni del decreto 81 e del decreto 177/2011 (…) – e i cosiddetti ambienti assimilabili.

Oggi nel workshop li abbiamo citati. Per esempio, le pale di un impianto eolico, oppure i pozzetti di piscina degli ambienti, che non sono normati, ma che ugualmente possono rappresentare, in determinate condizioni, un rischio mortale.

A livello del gruppo UNI, in cui si spera vedrà la luce la formulazione di una nuova norma specifica sull’argomento, stiamo dando dei criteri di identificazione, comunque di categorie di spazi in cui ci possono essere problemi mortali. Questi spazi si divideranno in due grosse categorie, cioè quelli che finiscono sotto l’attuale vigenza normativa e quelli che, comunque, hanno le medesime caratteristiche di pericolosità e per i quali il datore di lavoro deve, con la propria valutazione del rischio, individuare le misure preventive migliori.

Quali sono i tempi per arrivare alla nuova norma UNI?

P.D.S.:I tempi saranno ancora lunghi, perché è partito da poco il progetto di norma. Ancora non sappiamo se sarà una norma o un Technical report; probabilmente il gruppo è indirizzato più verso la norma.

C’è stata un’ampia discussione proprio per venire a definire le due definizioni di spazio confinato o sospetto di inquinamento e di spazio assimilabile.

Oggi c’è un accordo, che sarà sottoposto ovviamente all’analisi pubblica.

È un primo passo avanti. Spero che, dopo questo primo grosso scoglio, i lavori andranno molto più velocemente. Speriamo che nel corso del prossimo anno vedrà la luce.

Forniamo qualche dato quantitativo relativo agli infortuni e alle tipologie di infortuni…

P.D.S.:Dati di infortuni consolidati possono essere estratti dalla nostra Banca Dati Infor.mo. Quelli consolidati sono riferibili all’intervallo di tempo che va dal 2002 al 2014. In quel periodo abbiamo registrato circa 69 incidenti che hanno comportato 90 morti.

E quindi già si vede, da questo dato, che effettivamente i decessi sono plurimi rispetto agli eventi. Probabilmente è un dato sottostimato perché nell’analisi non sono state compresi gli scavi, che invece, in determinate condizioni, possono essere intesi come ambienti confinati o sospetti di inquinamento.

Veniamo alle principali criticità che avete rilevato…

P.D.S.:La criticità principale, a nostro avviso, è riferibile al fattore umano.

Intanto si osserva che circa il 73% degli infortunati che sono deceduti aveva una grande esperienza di lavoro ben oltre i 3 anni e che la maggior parte – anche qui intorno al 70% – era personale dipendente a tempo indeterminato.

Quindi mai o quasi mai si è trattato di inesperienza. In alcuni casi ci sono state delle persone non assunte, in nero, ma la stragrande maggioranza degli infortuni ha riguardato gente con esperienza. Quindi molto spesso, quando si parla di esperienza, è “dir tutto e dir poco”. A volte l’esperienza, invece, è foriera di cattive abitudini che, purtroppo, si ripetono nel tempo.

E molto spesso, un’altra criticità che abbiamo riscontrato, è che le stesse persone avevano compiuto le stesse operazioni in maniera similare nel tempo, ma, purtroppo, sono cambiati piccoli parametri del processo che non sono stati rilevati, proprio per una carenza di conoscenza e anche di capacità di analisi dei processi stessi. E queste piccole variazioni hanno comportato invece l’instaurarsi di condizioni mortali.

(…)

Secondo lei cosa si può fare per migliorare la prevenzione? Come agire sul fattore umano?

P.D.S.:Bisogna aumentare la percezione del rischio delle persone.

Cosa significa? Intanto il fattore umano non dobbiamo intenderlo come errore della singola persona, ma come eventuale carenza nell’ambito delle organizzazioni che, a volte, sono piccolissime organizzazioni. Infatti molti incidenti hanno coinvolto gli stessi datori di lavoro, che non hanno avuto le capacità di analisi e di valutazione del rischio.

Ecco noi dovremmo cercare di far arrivare, di diffondere questa capacità di analisi del rischio.

 (…)

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “Spazi confinati: gli infortuni, le criticità e la futura norma UNI”.

Per altri approfondimenti rimandiamo anche ai post:

Post e intervista a cura di Tiziano Menduto

Spazi confinati 03: un nuovo strumento per la prevenzione

Una raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Una intervista, realizzata nel 2019, presenta le linee di indirizzo del Consiglio Nazionale Ingegneri.

Come ricordato nel “Manuale illustrato per lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati ai sensi dell’art. 3 comma 3 del d.p.r. 177/2011” e nelle schede informative pubblicate dal sistema di sorveglianza degli infortuni mortali e gravi INFOR.MO., gli ambienti confinati possono presentare diversi rischi per la salute e la sicurezza.

Ad esempio:

  • asfissia per carenza di ossigeno;
  • intossicazione per esposizione ad agenti chimici pericolosi;
  • esposizione ad agenti biologici;
  • caduta dall’alto dell’infortunato;
  • contatto con organi lavoratori in movimento;
  • scivolamento dovuti alla difficoltà di accesso/uscita, alla carenza/assenza di illuminazione naturale, alla presenza di tubazioni/cavi/materiali o di fondo vischioso/scivoloso;
  • seppellimento per caduta di polverulenti dall’alto;
  • ustione/congelamento per esposizione a sostanze corrosive, a temperature elevate o molto basse;
  • annegamento in presenza di melma/fanghi o variazioni improvvise di livello di altri fluidi;
  • folgorazione per presenza di connessioni elettriche.

E analizzando gli infortuni mortali in ambienti confinati si rileva che i fattori di rischio più frequenti sono gli errori nelle modalità operative, la mancata fornitura o il non utilizzo dei DPI necessari e le carenze strutturali e organizzative degli ambienti lavorativi.

Proprio a partire dagli elevati rischi per i lavoratori di questi ambienti ho pensato di dedicare il terzo post sugli spazi confinati ad alcuni interessanti strumenti che possono favorire la prevenzione.

Sto parlando delle linee di indirizzo del Consiglio Nazionale Ingegneri (CNI) dal titolo “Linee di indirizzo per la gestione dei rischi derivanti dai lavori in ambienti confinati o a rischio di inquinamento”, di cui presento una breve intervista sulla prima versione ufficiale (sono già stati pubblicati alcuni aggiornamenti). Intervista all’Ing. Stefano Bergagnin (Ordine Ingegneri di Ferrara – componente del gruppo di lavoro Sicurezza del CNI e coordinatore del gruppo tematico temporaneo sui lavori in ambienti confinati) e all’Ing. Adriano Paolo Bacchetta (esperto in materia di spazi confinati e fondatore e coordinatore del sito www.spazioconfinato.it).

L’intervista è stata realizzata, per il  giornale online PuntoSicuro, durante la manifestazione “Ambiente Lavoro” che si è tenuta a Bolognadal 15 al 17 ottobre 2019 dove i due ingegneri erano relatori al convegno “Ambienti confinati: stato dell’arte e proposte del CNI per la gestione del rischio specifico”, organizzato dall’Ordine Ingegneri di Bologna con il patrocinio del CNI.

In particolare l’intervista, di cui riporto il video e una parziale sbobinatura, è stata pubblicata nell’articolo “Nuove linee di indirizzo per gestire gli ambienti confinati”.

Nelle prossime settimane continuerà la pubblicazione di altri post e contributi sul tema.

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Gli spazi confinati e le carenze normative

Nella presentazione del documento si sottolinea che in materia di ambienti confinati e a rischio di inquinamento a tutt’oggi gli strumenti di gestione ancora non sono sufficienti, immagino che queste linee di indirizzo vogliano affrontare questa carenza…

Stefano Bergagnin: Si, questo è proprio L’obiettivo della pubblicazione e il titolo “linee di indirizzo” è finalizzato a questo scopo, cioè vuole fornire a tutti i tecnici – ma non solo tecnici, ovviamente anche ai datori di lavoro, ai committenti, ai coordinatori per la sicurezza e anche alle imprese, le imprese che svolgono questo tipo di interventi – degli strumenti per gestire, auspichiamo correttamente, quello che è un rischio che purtroppo rimane ancora molto di attualità perché gli infortuni non calano e questo è forse dovuto anche (…) a una carenza normativa. Perché effettivamente tutti gli aspetti tecnici che sono assolutamente necessari per un rischio di una gravità così importante dovrebbero essere disponibili.

Noi abbiamo cercato di fornire più strumenti possibili e tra l’altro questa è anche una linea di indirizzo molto corposa, il contributo dei tecnici del gruppo di lavoro è stato veramente molto interessante, a cominciare proprio da quello di Adriano che è uno dei maggiori esperti e ha fornito sicuramente strumenti utili.

Noi ci siamo spinti con il documento soprattutto su alcuni aspetti che, a nostro avviso, erano carenti, perché poco approfonditi nella normativa.

Addirittura, se parliamo della formazione, era previsto un accordo Stato-Regioni che non è mai uscito. Quindi abbiamo cercato di fornire strumenti anche in questo senso.

Tra le altre cose (…) c’è anche una app importante che abbiamo messo in allegato e che è la prima app – ne usciranno probabilmente anche delle altre – ed è interessante soprattutto per l’identificazione degli spazi confinati ed è stata presentata a cura di Alma Mater Studiorum – Università di Bologna, con tanti altri contributi. (…)

So che l’ing. Bacchetta si è occupato spesso della normativa in materia di ambienti confinati e/o sospetti d’inquinamento. Cosa possiamo dire della normativa che c’è e di quella che ancora manca? Quali sono le criticità?

Adriano Paolo Bacchetta: “Diciamo che la normativa che c’è è come se non ci fosse – io lo dico dal 2011 – fondamentalmente quello che abbiamo è frutto di una necessità immediata per dare risposta agli incidenti a cavallo del 2009-2010 (depuratore di Mineo, Truck Center e altri) che però non ha risposto alle esigenze. Anzi ha creato una serie di complicazioni e una serie di adempimenti meramente burocratici che, personalmente, io valuto poco idonei ad una risposta funzionale.

Questo capita quando si lasciano campi assolutamente non definiti, interpretativi.

Basti pensare (…) a quelli che prima erano degli ambienti che dovevano essere controllati per rischio di inquinamento e sono diventati a sospetto di inquinamento DPR 177/2011, ad esempio le gallerie. Ma ci immaginiamo una galleria, il traforo o la variante di valico? Come lo classifichiamo? Teoricamente andrebbe messo lì, ma è sbagliato. Poi ci sono gli ambienti dove può esserci il rischio di gas deleteri: qualsiasi stabilimento industriale dove fisicamente c’è una fumana che esce da una macchina potrebbe a ragione essere valutato come un ambiente dove può essere applicato il  decreto 177/2011. Una follia.

E questo oltre agli errori nei riferimenti (…), basti pensare che il titolo stesso del decreto è “ambienti confinanti”. Quindi in realtà, almeno gli errori formali potevano metterli a posto.

E poi c’è quella veramente vergognosa mancanza della definizione dei requisiti degli aspetti formativi (…). Ad oggi c’è in giro di tutto, tutti fanno tutto, (…) e dopodiché anche il Ministro l’altro giorno ha detto che è “importante la formazione”. Siamo d’accordo ma ad oggi non esiste una specifica di chi può farla, quanto deve durare, quali sono gli argomenti.

Quindi inutile parlare di formazione quando nel caso specifico degli ambienti confinati non c’è neanche la definizione. (…)

Stefano Bergagnin: Mi ha interessato moltissimo quanto ha detto Adriano, proprio nell’ultima parte del suo intervento.

L’aspetto formazione noi lo abbiamo approfondito, proprio anche nelle linee di indirizzo, indicando con la maggior precisione possibile anche i contenuti.

Ovviamente non potevamo sbilanciarsi sulle ore necessarie, … Però almeno abbiamo dato una definizione molto precisa dei contenuti minimi che devono essere affrontati proprio in questo ambito.

Il riconoscimento degli ambienti confinati e il ruolo degli operatori

Come avete affrontato il tema del riconoscimento degli spazi confinati nei luoghi di lavoro…

Stefano Bergagnin: Forse uno dei paragrafi più importanti è proprio quello sulla definizione. È un paragrafo corposo perché dare una definizione di spazio confinato non è semplice. Non è semplice perché anche le norme internazionali danno definizioni che sono un po’ diverse. C’è sì una certa omogeneità che abbiamo cercato di individuare, ma non è assolutamente semplice.

Noi più che altro abbiamo voluto allargare quello che è lo spazio di indirizzo, cioè capire quali potrebbero essere gli ambiti che senza dubbio potrebbero diventare o sono uno spazio confinato o a rischio d’inquinamento.

C’è anche un elenco, dentro le linee di indirizzo, di esempi di situazioni che potrebbero essere sicuramente definibili come spazi confinati. Abbiamo anche chiarito alcuni aspetti, tra questi anche il discorso “gallerie” che ha una sua normativa e che non riteniamo debba entrare in quest’ambito. O il discorso delle stive, le stive nei porti, … Anche lì c’è una normativa particolare. Abbiamo comunque dato indicazione che a volte quella che è la valutazione del rischio potrebbe trarre strumenti utili da una linea di indirizzo come la nostra, ma siamo in un ambito diverso e questo l’abbiamo specificato.

Poi ci sono strumenti che potrebbero servire, come l’app che citavo prima, anche soltanto per capire se l’intervento che viene organizzato con un’impresa appaltatrice, in una sede aziendale o anche in un cantiere, sia classificabile o meno.

L’app è utilissima ma visto che le app comunque compariranno sul mercato anche nel settore della sicurezza e della salute, bisogna fare molta attenzione. Perché questa è una app (…) che è stata fatta appunto da Alma Mater con il contributo, tra l’altro, dell’INAIL regionale, con il consenso dell’ASL della nostra regione. E questo è importante perché offre la garanzia che queste siano delle app con un livello di qualità elevato. (…)

Mi pare che nelle linee di indirizzo abbiate anche parlato del datore di lavoro committente e del rappresentante del datore di lavoro committente… Cosa si è detto nel vostro documento riguardo ai ruoli dei vari attori della sicurezza?

Stefano Bergagnin: Noi innanzitutto abbiamo evidenziato (…) che tra i soggetti destinatari delle linee di indirizzo ci sono gli RSPP/ASPP, ci sono i datori di lavoro committenti, ci sono i datori di lavoro delle imprese appaltatrici, delle imprese esecutrici di certi lavori. E abbiamo anche chiarito un dubbio che (…) era quello relativo appunto all’applicabilità della norma anche quando non c’è un contratto d’appalto; cioè quando i lavori in spazi confinati li fanno direttamente i dipendenti. La norma è applicabile anche lì. Ci sono anche dei passaggi – mi pare che fosse una circolare importante che abbiamo citato anche nel testo – in cui è stato chiarito che anche all’interno di un’azienda, se c’è questa tipologia di lavori, bisogna garantire le stesse misure di sicurezza che vengono previste negli altri casi (…). È quindi fondamentale che anche questo chiarimento ci sia e lo abbiamo inserito nelle linee di indirizzo. 

Il ruolo del medico competente e il DPR 177/2011

Veniamo a soffermarci su un tema che affronterà nel convegno Adriano Paolo Bacchetta, quello dei medici competenti. Quale ritiene sia il ruolo del Medico Competente nell’applicazione del DPR 177/2011?

Adriano Paolo Bacchetta: Partiamo dal presupposto che non siamo certamente noi (…) a dettare il passo ad un’altra categoria professionale importante come i medici. Quindi non siamo noi a dire cosa devono fare, però noi possiamo dire cosa auspichiamo di avere come supporto.

E certamente quello del medico competente, nel caso specifico delle attività in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, è un ruolo importante. (…)

Ad esempio c’è il problema della definizione di quali sono le attività del FOP, del First on Place ovvero sia del primo soccorritore, che deve intervenire su un soggetto che ha avuto un malore, un infortunio, qualcosa all’interno dell’ambiente confinato. Si parla di un operatore laico, quindi sostanzialmente né un sanitario, né un parasanitario; fondamentalmente un soggetto che ha una formazione che non va oltre, al momento, a quella prevista dal decreto 388 … (…). In realtà, a oggi, il medico competente o il laureato in medicina che viene contattato per fare il corso ai lavoratori fa il corso e poi queste persone devono intervenire su un collega, piuttosto che un dipendente dell’impresa appaltatrice nell’ambiente confinato. Però lì, obiettivamente, se non c’è il medico che dà delle indicazioni puntuali non può essere certamente il tecnico a definire la modalità operativa, i sistemi di immobilizzazione o quant’altro necessario. (…)

No, l’intervento di soccorso va studiato e chiaramente. C’è il tecnico che si occuperà delle progressioni su fune, di definire le strutture, gli apprestamenti, tutto quello che è necessario; ma poi serve comunque la controparte medica che dica “quando sei lì ti devi comportare in un certo modo”. È questo è il primo problema. Poi ce ne sono altri…

Nel documento sono proposti anche degli strumenti per i medici competenti?

Adriano Paolo Bacchetta: Qua la cosa si fa un pelo più complessa, perché in realtà io sono stato autore, Insieme ad altri esperti, tra l’altro della Fondazione Maugeri di Pavia, (…) di un articolo dove abbiamo proposto un profilo sanitario per gli addetti negli spazi confinati.

Al momento stiamo cercando di trovare ancora l’applicazione e non mi risulta che esista un profilo, ad esempio, per la definizione dell’idoneità sanitaria. Quando l’articolo 66 del decreto 81/2008 in fondo mi dice che lo spazio deve avere un’apertura sufficientemente larga da poter estrarre un lavoratore privo di sensi – quindi sostituendo la originale indicazione del DPR 547 che dava il 30 x 40 ellittico o il diametro 40 come dimensione – di fatto mi dice tutto e non mi dice niente. L’unica cosa certa è che un soggetto di 140 kg, che ha una circonferenza di 1,60 metri, non può essere idoneo a lavorare in ambiente confinato se il punto d’accesso è un punto 30 x 40.

Quindi quando il medico dice che l’addetto è idoneo a lavorare in ambienti confinati, lui deve sapere esattamente quali sono questi ambienti e qual è la modalità d’accesso e uscita. Perché se a lui non viene detto che, ad esempio, gli addetti devono entrare nelle attrezzature a pressione attraverso un passaggio ellittico da 30 x 40, magari si vede davanti un tipo Schwarzenegger e obiettivamente dice che è idoneo agli spazi confinati. Ma da un punto di vista antropometrico, no, perché non ci può entrare e se poi devo tirarlo fuori senza problemi… Poi sarà compito del datore di lavoro andare a spiegare all’organo di vigilanza come ha fatto a rendere idoneo un addetto e dichiarare implicitamente, nel momento in cui accetta che lui entri, che lo poteva tirare fuori quando era inerme.

La situazione è molto complessa e quindi il medico, da quel punto di vista, deve adottare un protocollo che al momento non c’è.  L’unica pubblicazione che c’è è quella che abbiamo fatto noi nel 2015. Ora aspettiamo…

La gestione delle emergenze negli spazi confinati

A proposito di emergenze mi pare che quest’anno si sia parlato di soccorso ad Ambiente Lavoro anche in un convegno nazionale sul soccorso industriale…

Adriano Paolo Bacchetta: Questa del convegno è una logica evoluzione – sia di spazioconfinato.it sia di tutto quello che è stato fatto negli anni – che di fatto tiene conto di una necessità. A oggi per alcuni interventi (…) le aziende che non ritengono di avere del personale adeguatamente preparato formato o equipaggiato per poter fare interventi di soccorso utilizzano tipicamente dei professionisti, a tutti gli effetti, che svolgono il ruolo di soccorritori industriali. (…) Il problema è che, anche in questo caso, manca una specifica regolamentazione dei requisiti e qualificazioni (…) e noi gettiamo le basi ufficialmente (…) per cominciare a definire anche in Italia quella che può essere una ipotesi di profilo professionale del soccorritore industriale. Ma questo non basta, (…) l’associazione si sta muovendo per definire dei protocolli di formazione aggiuntiva a quella obbligatoria di legge per queste persone che normalmente fanno gli addetti di linea e quando suona la sirena automaticamente scattano e diventano vigili del fuoco e soccorritori sanitari.(…)

Cosa si dice nel documento del CNI riguardo alla gestione delle emergenze?

Stefano Bergagnin: Ci tenevo a rendere evidente che anche nel documento forse il paragrafo “Gestione delle emergenze” è quello più fitto, perché secondo noi è importantissimo. Soprattutto su questo tema la normativa è veramente carente perché non specifica addirittura le diverse tipologie di emergenza che, invece, sono note da decenni anche dalle norme internazionali. Noi le abbiamo riprese, (…) noi le abbiamo confermate, le abbiamo specificate meglio e a mio avviso, questo è un parere personale, questo è uno dei paragrafi che sarà più utile proprio come linea di indirizzo.

Adriano Paolo Bacchetta: Rispetto a tutto quello che abbiamo detto, c’è una cosa importante che dico a tutti. Chiunque si approccia a questo tema deve dimenticarsi di pensare di avere il software, l’app o cose del genere per cui uno che non ne sa niente, che non è cultore della materia, non ha esperienza della materia, comprando il software risolve i problemi. (…)

Gli ambienti confinati sono ambienti dove la professionalizzazione delle persone che progettano gli interventi e in particolar modo gli interventi di soccorso deve essere adeguata. Quindi da un punto di vista pratico invito ad acculturarsi, a leggere, studiare, venire ai convegni, fare comunque tutto quello che è necessario per evitare di fare documenti replica. E io ne vedo un quintale di roba fotocopiata, tagliuzzata, presa da internet e cose del genere. Quindi con sostanziale evidenza della mancanza totale di cultura e di conoscenza. (…)

(…)

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “Nuove linee di indirizzo per gestire gli ambienti confinati”.

Per altri approfondimenti rimandiamo anche ai post:

Post e intervista a cura di Tiziano Menduto

Spazi confinati 02: la sottovalutazione del rischio in edilizia

Una raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Una intervista, realizzata nel 2014, al geometra Paolo Secchi.

Come abbiamo ricordato nel precedente post, che riportava un’intervista all’ingegnere Adriano Paolo Bacchetta, ai margini del 3° Convegno Nazionale sulle attività negli Spazi Confinati, gli ambienti confinati e/o gli ambienti sospetti d’inquinamento sono tra gli ambienti a maggior rischio di infortuni gravi e mortali.

E l’edilizia è sicuramente uno dei settori lavorativi in cui sono ancora molte le difficoltà nel riconoscere la presenza di eventuali spazi confinati e nell’attuare tutte le misure richieste dal Decreto legislativo 81/2008 e dal Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”.

Per questo motivo nell’ottobre del 2014 ho realizzato, per il giornale online PuntoSicuro, un’intervista al Geom. Paolo Secchi, relatore al convegno del 22 ottobre 2014 “Applicazione del D.P.R. 177/2011 a tre anni dalla sua entrata in vigore”, organizzato da www.spazioconfinato.it, in collaborazione con il Centro di Ricerca Interdipartimentale sulla Sicurezza e Prevenzione dei Rischi di Modena (C.R.I.S.).

Il geometra, che si è occupato lungamente di sicurezza come coordinatore in fase di progetto e in fase di esecuzione, interveniva al convegno con una relazione proprio sull’applicazione del DPR 177 al settore delle costruzioni

L’intervista, di cui riporto il video e una parziale sbobinatura, è stata pubblicata nell’articolo “In edilizia c’è una scarsa percezione degli spazi confinati”.

Nelle prossime settimane continuerà la pubblicazione di articoli e contributi sul tema.

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(…)

Quando si parla di spazi confinati raramente si fa riferimento al comparto edile. Ci sono spazi confinati? Quali sono le principali problematiche?

Paolo Secchi: Colgo l’occasione per essere in accordo sul fatto che la percezione degli spazi confinati in edilizia attualmente non c’è molto.

Probabilmente questa carenza è generata da un equivoco. Il DPR 177 richiama l’articolo 121 che riguarda la presenza di gas negli scavi. Quindi molto spesso in edilizia molte persone considerano che l’unico spazio confinato possa essere quello.

In realtà di spazi confinati, soprattutto nel campo industriale, ne troviamo un numero sempre crescente. Se pensiamo a tutti i vani tecnici, dove vengono collocati gli impianti – ad esempio gli impianti per trattamento aria, di refrigerazione, che possono funzionare a glicole o ammoniaca – abbiamo a che fare con spazi che possono diventare estremamente pericolosi. Quindi in edilizia abbiamo sicuramente una casistica che dovremo tenere in considerazione per fare delle valutazioni, nel campo della sicurezza, adeguate.

(…)

Nel suo intervento ha mostrato alcune slide relative a ponteggi. Un ponteggio può diventare uno spazio confinato? E con quali condizioni?

P.S.: (…) Se ad un ponteggio applichiamo dei teli di protezione e all’interno di questo ponteggio effettuiamo delle lavorazioni – di restauro, di ripristino, … – utilizzando solventi ed eventualmente fiamme libere si possono generare anche situazioni di pericolo.

La mia era una provocazione per cercare di far intuire alle persone che seguivano il convegno che occorre una maggiore sensibilità, ma occorre anche un metodo diverso per identificare questi spazi.

Anche se il DPR 177 avesse fornito un elenco il più possibile esaustivo sicuramente il caso che ci si pone in avanti non sarebbe compreso nell’elenco, ci troveremmo di fronte a delle difficoltà interpretative. Quindi la mia provocazione è quella di voler richiamare l’attenzione su questi aspetti.

Lo stesso discorso vale per le coperture. Molto spesso si pensa a spazi confinati come spazi piccoli, angusti. Ma non è assolutamente vero. Basti immaginare i piani di copertura dove abbiamo impianti di raffreddamento, di trattamento aria, che possono funzionare ad ammoniaca o avere dei gas abbastanza invasivi e importanti dal punto di vista della sicurezza. Oppure possiamo avere vasche di laminazione dove la presenza degli inquinanti è abbastanza elevata.

Dobbiamo cercare di diffondere questa nuova abitudine a valutare gli spazi confinati ai tecnici e ai datori di lavoro che molto spesso ritengono di non essere coinvolti in questo tipo di argomenti.

Presentiamo un caso operativo. Un coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione scopre che i lavoratori stanno lavorando in uno spazio confinato con rischi non valutati in relazione alla specificità dell’ambiente. Cosa deve fare?

P.S.: Secondo me il coordinatore in fase di esecuzione ha due possibilità.

O coinvolgere il coordinatore per la sicurezza in fase di progetto e rielaborare una procedura per gestire questa situazione.

O direttamente può andare – questo glielo consente la normativa – ad integrare quello che è il Piano di Sicurezza e Coordinamento con proprie disposizioni. In questo modo andrà ad integrare e colmare una lacuna che non era stata considerata precedentemente.

(…)

Link all’articolo originale di PuntoSicuro ” In edilizia c’è una scarsa percezione degli spazi confinati”

Per altri approfondimenti rimandiamo anche al post “Problemi normativi 02: come interpretare il DPR 177/2011”.

Intervista di Tiziano Menduto

Spazi confinati 01: le criticità e la definizione mancante

Una breve raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Una prima intervista, realizzata nel 2013, ad Adriano Paolo Bacchetta, coordinatore di spazioconfinato.it.

Non c’è dubbio che gli ambienti confinati e/o gli ambienti sospetti d’inquinamento si siano mostrati in questi tra gli ambienti a maggior rischio di infortuni gravi e mortali.

È dunque necessario promuovere e far conoscere prassi e materiali di prevenzione, ma è bene anche riflettere sulle criticità, sulle difficoltà operative, sulla valutazione dei rischi, sulla pianificazione delle emergenze e sulle carenze normative con particolare riferimento al Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81”.

Per questo motivo ho realizzato e pubblicato negli anni, sul giornale online PuntoSicuro, diverse presentazioni di documenti, diversi approfondimenti e normativi e varie interviste che hanno avuto la funzione di porre domande e fornire risposte utili agli operatori, ai lavoratori e alle aziende, sulla sicurezza negli spazi confinati.

In questa e in altre puntate del blog ho intenzione di riportare un po’ di questo materiale per trasformare tutto questo lavoro in una sorta di reportage e inchiesta sulle criticità da affrontare per migliorare la prevenzione in questi ambienti di cui, ad oggi, è ancora difficile concordare una definizione chiara ed esaustiva.

Iniziamo questo viaggio con una intervista pubblicata il 29 ottobre 2013, nell’articolo “Spazi confinati: chiarimenti e criticità del DPR 177”, che raccoglie le indicazioni di uno dei massimi esperti in Italia della sicurezza negli spazi confinati, Adriano Paolo Bacchetta, ai margini del 3° Convegno Nazionale sulle attività negli Spazi Confinati – organizzato da spazioconfinato.it in collaborazione con il C.R.I.S.  e la Fondazione Organismo di ricerca GTecnology di Modena.

Riprendiamo dall’intervista audio una parziale sbobinatura rimandando i lettori del blog alla visualizzazione dell’articolo integrale e all’ascolto dell’intera intervista audio.

Nelle prossime settimane pubblicherò altri materiali anche con riferimento alle più recenti novità in materia. Lo stesso Bacchetta ha recentemente lavorato con il Consiglio Nazionale Ingegneri alla stesura delle “Linee di indirizzo per la gestione dei rischi derivanti dai lavori in ambienti confinati o a rischio di inquinamento”, che presenterò nei prossimi giorni.


Esiste una definizione univoca relativa agli spazi confinati?

Adriano Paolo Bacchetta: Cominciamo a dire che il termine “ambiente confinato” è un termine che oggi si presta a una non corretta interpretazione perché se noi andiamo a ricercare “ambiente confinato” su internet troviamo le problematiche dell’indoor air quality. Nel senso che in definitiva nell’accezione comune se associato a sospetto d’inquinamento viene fuori il decreto 177/2011, ma passando i primi due o tre punti che possiamo trovare sul motore di ricerca, cominciamo a vedere che l’ambiente confinato è relativo ai problemi del sistema di ventilazione, problema della legionella, la sindrome dell’edificio malato… E ci sono fior di documenti di organismi statali che parlano proprio di qualità dell’aria nell’ambiente confinato. Allora la domanda è: come può essere che lo stesso termine di “ambiente confinato” possa essere utilizzato per un ambiente che ha le peculiarità di un confined spaces o anche di qualcosa che rientra nella 177 e contestualmente, con la stessa terminologia, altri enti, come ARPA o altre organizzazioni comunque statali, chiamano invece una stanza dove c’è un impianto di ventilazione. Confined spaces, spazi chiusi?… Ad esempio nella terminologia del 272[1], quindi fondamentalmente della 626 o dell’81 navale, si parla di spazi chiusi della nave, quindi le stive e ambienti di questo tipo… Se andiamo a vedere la UNI EN 529, che poi è quella che tiene conto dei dispositivi di protezione respiratoria, c’è un’altra modalità ancora di chiamare questi ambienti. Si parla di ambienti circoscritti. Già partendo da lì, si ha l’indicazione che da noi c’è confusione…

Con “da noi” intende che da qualche parte ce n’è di meno…

APB: Il concetto è che se uno parla di confined spaces a livello internazionale quelli sono e sono chiari. Dopo di che, per fare una esemplificazione, a livello nazionale noi parliamo di ambienti sospetti d’inquinamento o confinati di cui al DPR 177. Le stesse OSHA[2] hanno cinque definizioni diverse di confined spaces a seconda che sia edilizia, industriale, agricoltura, navi o porti. (…) E lasciamo perdere l’NFPA[3], perché (…)anche le NFPA hanno altre modalità per identificare questi ambienti. Ci sarà un motivo per cui qualcuno ha perso tempo per definire in cinque modi – simili, ma con peculiarità differenti – l’ambiente confinato a seconda di quale tipologia di ambiente è. Ci deve essere un motivo e il motivo è relativo al fatto che non è possibile applicare gli articoli 66, 121 (D.Lgs. 81/2008, ndr) e l’articolo 3 dell’allegato IV a tutto il mondo. Ci sono peculiarità diverse che dovrebbero essere tenute in considerazione…

Cambierà qualcosa in Italia? Miglioreranno le definizioni e le normative?

APB: (…)Io amo citare (…) Neil McManus[4], che tra l’altro è stato in audio conferenza ieri al mio terzo convegno nazionale. Lui, quando ad un certo punto, è stato chiamato dall’ILO[5] a parlare degli ambienti confinati, dei confined spaces, ha detto una cosa lapidaria ma che è di una chiarezza cristallina: “qualsiasi ambiente dove una persona lavora può diventare uno spazio confinato”. Quindi in realtà questa abitudine italica di caratterizzare – quanto è lungo, quanto è largo, quanto è profondo (…) – deve “uscire”. I concetti da noi sono quelli che, ad esempio, portano a fare la valutazione del rischio dimenticando un fattore di rischio che è fondamentale che nella normativa americana che definisce il cosiddetto IDLH, ovverossia la condizione di pericolo grave o immediato per la salute e sicurezza del lavoratore. E al di là del fatto che ci sia presente una sostanza chimica o meno, al di là del fatto che ci siano delle condizioni di rischio diverso, la terza condizione prevista nei IDLH è l’autosalvamento. Se una persona non è in grado in particolari condizioni di essere capace con le proprie forze di poter uscire o poter risolvere una situazione pericolosa.  Su questa condizione dell’IDLH bisogna ragionare. E questo non fa parte della nostra cultura… (…)

No, il problema non è solo il TLV/TWA[6] è l’IDLH, perché se il TLV/TWA è anche rispettato ma se ad un certo punto, come abbiamo sentito in alcuni interventi, vai a fare l’analisi, scopri che la persona che sta facendo quel ripristino con un solvente (…) è abbondantemente oltre all’IDLH, cioè a quella concentrazione tale per cui si genera una situazione di pericolo o di rischio immediato per la salute e sicurezza, addirittura la vita, del lavoratore…(…)

Tuttavia l’IDLH alcuni lo conoscono, altri non sanno cos’è… (…)

Tutta la norma americana si basa su questo, non va a vedere quanto è lungo, quanto è largo. Dice, con alcune condizioni specifiche per quanto riguarda l’accessibilità e la presenza di rischi, hai una condizione IDLH? Loro (…), ad esempio, dicono “ambiente confinato con il permesso d’ingresso o senza?”, se sei nella condizione di richiedere, di essere un permitted required confined spaces, a questo punto te lo modulo in tre classi: A, B e C. A è IDLH, B è un grado severo ma non così rilevante, C è un grado inferiore… (…)

Quest’idea è di scalare i livelli di rischio, di scalare le attività necessarie in funzione dell’effettivo rischio.

L’applicazione pedissequa del decreto 177 porta la gente fondamentalmente a fare tutto anche quando c’è un livello di rischio molto basso. E tutto questo è spesso utilizzato per dire “Devo fare tutta questa roba qui, per una roba così? Allora non faccio niente”. Chiedere tutte queste cose a fronte di rischi anche limitati o gestibili in maniera diversa e non avere questa scalabilità del rischio con obblighi conseguenti, pone le aziende nella condizione o dà il là per (…) non fare niente.

Dunque cosa dovrebbe cambiare?

APB: [Bisognerebbe] limitare l’applicazione o l’orientamento legislativo a dare i principi derivanti dalla Costituzione: tutela del lavoro, tutela dei lavoratori, … Poi su alcuni argomenti limitarsi a sollecitare in maniera puntuale l’applicazione di norme tecniche che sono molto più dinamiche, che sono condivise, che fanno parte comunque dell’evoluzione e che sono facilmente aggiornabili rispetto all’esperienza.

La 177 così è e ce la terremo per i prossimi 10 anni. Esattamente nello stesso modo. Ti esce la circolare del Ministero che spiega il subappalto? È una circolare: che valenza giuridica ha un domani? Se qualcuno ha un problema e va in giudizio… Il giudice applicherà la legge o andrà a vedere anche le eventuali interpretazioni e i parere dei vari soggetti? (…)

Credo che su alcune tematiche come questa andrebbe veramente fatto questo: uno sforzo per capire cosa c’è a livello internazionale,  a livello di evoluzione. Perché gli americani sono 40 anni che sono dietro alle norme Osha…

Link all’articolo originale di PuntoSicuro ” Spazi confinati: chiarimenti e criticità del DPR 177″…

Per altri approfondimenti rimandiamo anche al post “Problemi normativi 02: come interpretare il DPR 177/2011”.

Intervista di Tiziano Menduto



[1] Decreto Legislativo n.272 del 27 luglio 1999 – Adeguamento della normativa sulla sicurezza e salute dei lavoratori nell’espletamento di operazioni e servizi portuali, nonché di operazioni di manutenzione, riparazione e trasformazione delle navi in ambito portuale, a norma della legge 31 dicembre 1998, n. 485, ndr

[2] Occupational Safety and Health Administration (USA), ndr

[3] National Fire Protection Association

[4] CIH, ROH, CSP, NorthWest Occupational Health & Safety North Vancouver, British Columbia, Canada

[5] International Labour Organization

[6] Threshold Limit Value (TLV)-Time Weighted Average (TWA): Il TLV rappresenta il valore limite di soglia, le concentrazioni sotto le quali la maggior parte dei lavoratori può rimanere esposta senza alcun effetto negativo per la salute. I TLV/TWA sono relativi al valore medio ponderato nel tempo. La durata di esposizione media, riportata negli elenchi dei limiti di esposizione professionale, è pari, di norma, a un orario lavorativo di otto ore al giorno.