Digitalizzazione e nuove tecnologie 02: esoscheletri, vantaggi e rischi

Torniamo a parlare della campagna europea 2023-2025 “Lavoro sano e sicuro nell’era digitale” e degli esoscheletri occupazionali parliamo di esoscheletri. Quali sono gli svantaggi e vantaggi? Le risposte di Alberto Ranavolo (Dimeila, Inail).

Con riferimento alla campagna 2023-2025 “Lavoro sano e sicuro nell’era digitale”, promossa dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) sul quotidiano online PuntoSicuro in questi anni ho presentato diverse interviste su singole tecnologie e strumenti digitali già disponibili per le aziende e che possono servire a ridurre alcuni rilevanti rischi, ma che nascondono anche alcune sfide e possibili rischi emergenti da conoscere.

In un precedente post di “IndagineSicurezza” ho pubblicato l’intervista all’Ing. Alessandra Ferraro (Inail, Laboratorio IV – Sicurezza degli Impianti di Trasformazione e Produzione – Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti ed insediamenti antropici) sull’inquadramento tecnico-normativo, anche per comprendere quali sono i requisiti di queste nuove tecnologie e gli obblighi per fabbricanti e datori di lavoro.

Oggi ci soffermiamo su una seconda intervista realizzata durante il “Wearable robotics roadshow”, a cui ho partecipato come giornalista e che si è tenuto il 25 gennaio 2024 al MADE Competence Center i4.0 a Milano.

Parliamo con l’Ing. Alberto Ranavolo (Primo Ricercatore, Laboratorio di Ergonomia e Fisiologia, Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro ed ambientale dell’Inail), per comprendere in quali ambiti di lavoro sono più utilizzati gli esoscheletri, quali sono le difficoltà nella valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico, quali sono i vantaggi e le sfide da affrontare.

Gli esoscheletri possono essere suddivisi per funzione o per tipo di azionamento?

Come scegliere gli esoscheletri giusti?

Quali sono gli articoli o i punti del decreto 81/2008 interessanti per l’uso degli esoscheletri?

Quali sono i Regolamenti o le Direttive dell’Unione europea che possono riguardare gli esoscheletri e quali sono gli aspetti interessanti di queste normative?

Ci sono differenze significative tra la Direttiva Macchine e il Regolamento Macchine sugli aspetti che possono interessare le nuove tecnologie e la loro interazione con i lavoratori?

Quali sono le norme tecniche più rilevanti?

Cosa necessita da un punto di vista tecnico-normativo per diffondere e regolamentare meglio per il futuro l’uso degli esoscheletri nei luoghi di lavoro?

L’intervista testuale è stata realizzata per PuntoSicuro e pubblicata nell’articolo “Esoscheletri: i vantaggi, le sfide e la valutazione del rischio”.

Buona lettura…

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Ricordiamo innanzitutto quanto sono frequenti nel mondo del lavoro le patologie muscoloscheletriche. Perché continuano a rappresentare una delle malattie professionali più diffuse?

Alberto Ranavolo: Nei paesi occidentali del mondo le patologie a carico dell’apparato muscoloscheletrico correlate al lavoro rappresentano circa i due terzi di tutte le malattie professionali. Questo dato è confermato anche in Italia così come si evince dalla relazione annuale del Presidente INAIL del 2021 (1).

L’elevata incidenza di queste malattie è da attribuire alle attività di movimentazione manuale dei carichi (MMC) presenti in molti settori lavorativi come, ad esempio, quelli dell’edilizia, dell’agricoltura e dell’automotive. Si consideri che in Europa, la percentuale dei lavoratori che per almeno un quarto del loro turno di lavoro eseguono attività di MMC oscilla dal 24% del Portogallo al 44% della Romania (fonte Eurofound 2019).       

Veniamo agli esoscheletri occupazionali. Ricordiamo brevemente cosa sono e in quali ambiti di lavoro sono più utilizzati.

A.R.: La letteratura scientifica suggerisce diverse definizioni degli esoscheletri occupazionali sebbene esse siano tutte equivalenti: tecnologie robotiche portatili/dispositivi indossabili/ strutture meccaniche esterne al corpo in grado di supportare i lavoratori durante l’esecuzione di attività di MMC. Tali dispositivi sono utilizzati prevalentemente nell’industria sebbene esistano anche altri campi d’applicazione.

Le attività lavorative per cui vengono prevalentemente utilizzati sono quelle di sollevamento di carichi pesanti, di movimentazione di carichi leggeri ad alta frequenza (attività ripetitive) e di mantenimento di posture fisse e incongrue. Nel primo caso si utilizzano esoscheletri passivi o attivi per il tronco con la finalità di ridurre l’impegno della muscolatura paravertebrale e, indirettamente, il carico che agisce sull’articolazione lombosacrale. Negli altri casi vengono utilizzati principalmente esoscheletri passivi per il sostegno degli arti superiori. Negli ultimi anni la letteratura scientifica internazionale sta evidenziando l’efficacia di questi dispositivi nel breve periodo. Anche in Italia c’è una crescente attenzione a questi strumenti di lavoro anche grazie all’impegno dell’INAIL che ha di recente costituito un gruppo di lavoro interdipartimentale sull’argomento coordinato dalla Dott.ssa Giovanna Tranfo e dall’Ing. Corrado Delle Site.        

Affrontiamo subito un aspetto delicato, quello della valutazione dei rischi. Pur mancando una vera e propria norma per la valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico con l’utilizzo di esoscheletri, mi pare che in questi anni siano state prodotte varie ricerche e pubblicazioni sul tema …

A.R.: Questo è sicuramente uno degli aspetti più critici a cui alcuni gruppi di ricerca italiani ed internazionali stanno lavorando. Infatti, a fronte di una riduzione dell’impegno fisico del lavoratore, non è possibile oggi stimare la riduzione del livello di rischio da sovraccarico biomeccanico in attività eseguite con un esoscheletro rispetto alle stesse attività eseguite senza. Questa criticità è attribuibile al fatto che i metodi per la valutazione strumentale del rischio da sovraccarico biomeccanico elencati negli standard internazionali di ergonomia della ISO 11226 e della serie ISO 11228 non offrono la possibilità di valutare il rischio in presenza di esoscheletri. Difatti, questi metodi sono stati sviluppati in un’epoca in cui gli esoscheletri non esistevano. Va inoltre evidenziato che alcuni tentativi in corso per ovviare a questa lacuna sono poco esaustivi e in alcuni casi errati.

Per contro, un approccio particolarmente promettente è quello strumentale. I metodi di valutazione strumentale sono costituiti da tecnologie hardware e software che oggi sono particolarmente pronte ad un loro utilizzo sul campo. Esistono infatti dei tool di reti di sensori miniaturizzati e wireless e di algoritmi di intelligenza artificiale in grado di effettuare una stima del livello di rischio basata sul reale impegno del lavoratore durante l’esecuzione delle sue attività lavorative. Relativamente a ciò si segnalano molteplici pubblicazioni scientifiche internazionali, due documenti INAIL (2, 3) ed una pre-norma in ambito CEN (4) scritta grazie alle attività del progetto europeo Horizon 2020 SOPHIA. Questi approcci per il monitoraggio del lavoratore stimano il livello di rischio in tempo reale e ciò può anche permettere di somministrare degli stimoli al lavoratore per informarlo circa il suo impegno fisico.    

Forniamo qualche indicazione pratica. Cosa deve fare il valutatore che si trova in un’azienda in cui una parte degli operatori per lo svolgimento delle attività utilizza esoscheletri? Quali sono le difficoltà e le differenze rispetto ad una normale valutazione dei rischi ergonomici?

A.R.: Così come esposto sopra, la principale differenza risiede nella impossibilità di utilizzare i metodi tradizionali di valutazione del rischio da sovraccarico biomeccanico. Ad esempio, la nuova versione della ISO 11228-1 relativa alle attività di sollevamento di carichi pesanti dichiara esplicitamente la non utilizzabilità degli approcci tradizionali nel caso di lavorazioni eseguite con gli esoscheletri. Per questo motivo sarà importante che gli operatori della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro apprendano le modalità con cui è possibile effettuare questa valutazione con approcci strumentali

Che competenze deve possedere un valutatore per fare questa tipologia di valutazioni? Esistono metodologie innovative per la valutazione del rischio biomeccanico?

A.R.: Gli approcci innovativi di valutazione del rischio biomeccanico presuppongono sicuramente un percorso di formazione e addestramento sebbene essi siano di semplice utilizzo. Questo percorso può aumentare la consapevolezza dell’operatore sulla necessità di eseguire misure precise ed accurate. Non va nascosto comunque che questo tipo di trasformazione è solo agli inizi e per tale motivo andrà governata con pazienza, serietà e competenza.

Con la campagna europea sul lavoro sano e sicuro nell’era digitale si stanno approfondendo i vantaggi, ma anche i rischi, connessi all’utilizzo occupazionale degli esoscheletri. A suo parere quali sono i principali vantaggi di queste nuove tecnologie nella prevenzione di infortuni e malattie professionali?

A.R.: I vantaggi sono ascrivibili ad una indiscussa e scientificamente evidente efficacia degli esoscheletri occupazionali nella riduzione, nel breve periodo, dello sforzo fisico del lavoratore durante l’esecuzione di attività di MMC. Per questo motivo questi dispositivi indossabili stanno rappresentando una nuova opzione di intervento di ergonomia di concezione e di correzione con la finalità di ridurre l’insorgenza delle malattie professionali a carico del sistema muscoloscheletrico. 

Quali sono, invece, le principali sfide o i rischi che questi esoscheletri possono comportare?

A.R.: Gli esoscheletri occupazionali possono alterare la naturale strategia motoria del lavoratore, possono modificarne l’assetto biomeccanico ed alterarne le richieste cardiovascolari. Questi fattori di rischio emergenti possono implicare problematiche non ancora note e per tale motivo si sta ponendo attenzione ad eventuali effetti avversi.        

Parlando di tecnologie relativamente nuove, non ci potrebbero essere effetti nel lungo periodo che non sono ancora noti?

A.R.: Nel medio e lungo periodo il lavoratore che utilizza sistematicamente un esoscheletro potrebbe, paradossalmente, affaticarsi di più o rischiare di cadere dovendo controllare un centro di massa traslato rispetto a quello fisiologico. Inoltre, ulteriori criticità potrebbero essere associabili ad un ridotto scambio termico con l’ambiente soprattutto in contesti lavorativi estremamente caldi. Infine, sono da monitorare approfonditamente le zone del corpo che entrano in contatto con l’esoscheletro. Su di queste, insistendo per un tempo prolungato delle forze altrimenti assenti, potrebbero generarsi patologie dermatologiche ed ortopediche.

Quale sarà, a suo parere, il futuro degli esoscheletri. Diventeranno presto una panacea per la riduzione dei disturbi muscoloscheletrici nei luoghi di lavoro o hanno ancora costi e criticità che richiedono più tempo per la loro diffusione?

A.R.: Sebbene questa sia una domanda a cui è molto difficile rispondere con esattezza, credo che il costo non possa rappresentare una barriera per una loro diffusione nei luoghi di lavoro. Un investimento fatto per la salute dei lavoratori è di sicuro un giusto investimento. Credo inoltre che gli esoscheletri occupazionali possano rappresentare un ausilio valido per i lavoratori solo se messi in relazione ad una corretta organizzazione del lavoro.

Sono anche sufficientemente confidente che i futuri sviluppi tecnologici possano aiutare questo processo di diffusione rendendo gli esoscheletri occupazionali sempre più leggeri, adattabili al corpo del lavoratore ed intelligenti.    

Bibliografia

  1. https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/pubblicazioni/rapporti-e-relazioni-inail/relazione-annuale-anno-2021.html
  2. Ranavolo A, Chini G, Draicchio F, Varrecchia T. LA VALUTAZIONE STRUMENTALE E IN TEMPO REALE DEL RISCHIO DA SOVRACCARICO BIOMECCANICO. COLLANA SALUTE E SICUREZZA Tipolitografia Inail – Milano, novembre 2023, ISBN 978-88-7484-821-8.
    1. Papale, G. Chini, F. Draicchio, A. Fiorelli, L. Fiori, A. Ranavolo, A. Silvetti, A. Tatarelli, R. Trovato, T. Varrecchia.
  3. METODOLOGIE INNOVATIVE PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO BIOMECCANICO. ISBN 978-88-7484-704-4 © 2021 Inail. Stampato dalla Tipolitografia Inail di Milano • Edizione 2021 • Progetto editoriale: Inail-Dimeila • Editing e grafica: A. Luciani
  4. Kåre Sørensen, Robert Fox, Chris Hayot, Arash Ajoudani, Emir Mobedi, Marta Lorenzini, Alberto Ranavolo, Giorgia Chini, Alessio Silvetti, Tiwana Varrecchia, Aleid Ringelberg, Francesco Draicchio, David Rodriguez Cianca, Diego Torricelli, Tom Turcksin – Guideline for introducing and implementing real-time instrumental-based tools for biomechanical risk assessment – Ref. No.:CWA 17938:2023 E. ICS 13.100; 13.180 – 2023 CEN: EUROPEAN COMMITTEE FOR STANDARDIZATION. CEN-CENELEC Management Centre: Rue de la Science 23, B-1040 Brussels.

Il link al sito della campagna “Lavoro sano e sicuro nell’era digitale”.

Intervista di Tiziano Menduto

L’articolo originale che contiene l’intervista: “Esoscheletri: i vantaggi, le sfide e la valutazione del rischio”.

NB: L’intervista è precedente alla pubblicazione del rapporto tecnico UNI/TR 11950:2024 “Sicurezza e salute nell’uso degli esoscheletri occupazionali orientati ad agevolare le attività lavorative”. Su questo rapporto tecnico pubblicherò più avanti una intervista fatta a Luigi Monica (Inail, DIT) durante la manifestazione Ambiente Lavoro a Bologna.

Digitalizzazione e nuove tecnologie 01: normativa ed esoscheletri occupazionali

Con riferimento alla campagna europea 2023-2025 “Lavoro sano e sicuro nell’era digitale”, parliamo di esoscheletri. Come sceglierli? Quali sono le indicazioni normative? Le risposte di Alessandra Ferraro (DIT, Inail).

Su “IndagineSicurezza” iniziamo a parlare di un importante campagna europea che affronta un tema, la digitalizzazione, che sta avendo e avrà sempre più un rilevante impatto nel mondo del lavoro, anche in materia di salute e sicurezza.

Con riferimento alla nuova campagna 2023-2025 “Lavoro sano e sicuro nell’era digitale”, promossa dall’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) – e che approfondiremo in prossimi post – sul giornale online PuntoSicuro in questi mesi ho presentato varie interviste realizzate sia sullo svolgimento della campagna, sia su singole tecnologie e strumenti digitali già in parte disponibili per le aziende e che possono servire a ridurre alcuni rilevanti rischi, ma che nascondono anche alcune sfide e possibili rischi emergenti da conoscere.

E per poter presentare alcune informazioni esoscheletri occupazionali – tecnologie robotiche portatili/ dispositivi indossabili/ strutture esterne al corpo in grado, ad esempio, di supportare i lavoratori durante la movimentazione manuale dei carichi – ho partecipato come giornalista al “Wearable robotics roadshow”, che si è tenuto il 25 gennaio 2024 al MADE Competence Center i4.0 a Milano dove si è parlato, in particolare, di queste nuove tecnologie.

All’incontro hanno partecipato come relatori anche due ricercatori dell’Inail per fornire sia un quadro tecnico-normativo di riferimento di queste nuove tecnologie, sia alcune indicazioni sull’utilizzo e la funzione degli esoscheletri.

Presentiamo oggi un’intervista – già presentata da PuntoSicuro – all’Ing. Alessandra Ferraro (Inail, Laboratorio IV – Sicurezza degli Impianti di Trasformazione e Produzione – Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti ed insediamenti antropici).

L’intervista affronta i temi da lei trattati durante l’evento, l’inquadramento tecnico-normativo, un aspetto basilare per comprendere quali sono i requisiti di queste nuove tecnologie e gli obblighi per fabbricanti e datori di lavoro.

Gli esoscheletri possono essere suddivisi per funzione o per tipo di azionamento?

Come scegliere gli esoscheletri giusti?

Quali sono gli articoli o i punti del decreto 81/2008 interessanti per l’uso degli esoscheletri?

Quali sono i Regolamenti o le Direttive dell’Unione europea che possono riguardare gli esoscheletri e quali sono gli aspetti interessanti di queste normative?

Ci sono differenze significative tra la Direttiva Macchine e il Regolamento Macchine sugli aspetti che possono interessare le nuove tecnologie e la loro interazione con i lavoratori?

Quali sono le norme tecniche più rilevanti?

Cosa necessita da un punto di vista tecnico-normativo per diffondere e regolamentare meglio per il futuro l’uso degli esoscheletri nei luoghi di lavoro?

L’intervista testuale è stata realizzata per PuntoSicuro e pubblicata nell’articolo “Esoscheletri occupazionali: qual è il quadro tecnico-normativo di riferimento?”.

Buona lettura…

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Cerchiamo innanzitutto di conoscere meglio gli esoscheletri. Come possono essere suddivisi per funzione o per tipo di azionamento?

Alessandra Ferraro: Gli esoscheletri possono essere classificati per la loro funzione e per la tipologia di azionamento. Per quanto riguarda la funzione questa può essere il supporto, il potenziamento o la cura della persona che si attua rispettivamente attraverso la ridistribuzione di forze sul corpo, l’aumento della forza della persona, il riposizionamento o il rinforzo delle funzioni corporee. 

Oltre a queste tre funzioni ultimamente si assiste alla realizzazione di esoscheletri per la cosiddetta extended reality, che consentono, al contrario di quelli precedentemente annoverati, la percezione di carichi e sforzi realizzati in un ambiente virtuale che in tal modo viene esteso rispetto alla realtà attraverso questa ulteriore dimensione. In tale contesto il laboratorio IV del Dit ha sviluppato con un bando di ricerca in collaborazione (Bric 2019 ID 37) un progetto “SIDE-Sviluppo di un esoscheletro per dinamica simulata e interfaccia aptica” mediante il quale è stato realizzato un prototipo per cui è stata depositata domanda di brevetto.

Per quanto riguarda la tipologia di azionamento si hanno esoscheletri attivi azionati ad esempio mediante energia elettrica, idraulica o pneumatica, ma anche esoscheletri passivi in cui l’energia è generata esclusivamente dal movimento dell’utilizzatore attraverso l’impiego di molle e assorbitori.

Immagino che un aspetto importante degli esoscheletri sia la scelta giusta per il tipo di attività da svolgere. Ci sono tipologie di esoscheletri più adatti a particolari attività o movimenti?

A.F.: Gli esoscheletri destinati ad essere utilizzati per l’esecuzione di un’attività lavorativa (cosiddetti esoscheletri occupazionali) devono essere idonei per la destinazione d’uso prevista, per l’ambiente in cui sono utilizzati e non creare rischi supplementari per l’operatore (es. impigliamento, trascinamento, etc…). La maturità tecnologica di queste attrezzature è indispensabile per poterne osservare un utilizzo diffuso.

In linea generale l’evoluzione degli esoscheletri dai primi modelli a quelli di più recente costruzione ha migliorato l’indossabilità (riduzione di peso, libertà nei movimenti, adattabilità, etc.), ma anche l’autonomia degli esoscheletri attivi. In linea generale gli esoscheletri passivi sono più leggeri e meno ingombranti, pertanto, più facilmente accettabili.

Per cercare di comprendere il quadro tecnico-normativo interessante per queste nuove tecnologie partiamo dal D.Lgs. 81/2008. Quali sono gli articoli o i punti del decreto interessanti per l’uso degli esoscheletri?

A.F.: Gli esoscheletri occupazionali si configurano come attrezzature di lavoro e pertanto ricadono nell’ambito di applicazione del titolo III del D.lgs. 81/2008 per la parte relativa all’uso delle attrezzature di lavoro.

In particolare, l’articolo 70 richiede che qualsiasi attrezzatura di lavoro debba essere conforme alle specifiche disposizioni legislative e regolamentari di recepimento delle Direttive comunitarie di prodotto. Importante, dunque, è avere chiaro il quadro giuridico-regolamentare di riferimento per l’esoscheletro messo a disposizione di un lavoratore.

All’atto della scelta delle attrezzature di lavoro, il datore di lavoro deve prendere inoltre in considerazione le condizioni i rischi presenti nell’ambiente di lavoro ed i rischi derivanti dall’impiego delle attrezzature stesse. Quando si fornisce una nuova attrezzatura, anche indossabile, ci si devono aspettare benefici ed i nuovi rischi devono essere opportunamente gestiti.

Veniamo ora alla normativa europea. Quali sono i Regolamenti o le Direttive dell’Unione europea che possono riguardare gli esoscheletri e quali sono gli aspetti interessanti di queste normative?

A.F.: A seconda della loro funzione e della destinazione d’uso gli esoscheletri possono essere inquadrati nel campo di applicazione della Direttiva 2006/42/CE relativa al prodotto macchina (a partire dal 20 gennaio 2027 dal Regolamento (UE) 2023/1230) o del Regolamento (UE) 2017/745 relativo ai dispositivi medici. Quest’ultimo stabilisce le norme relative all’immissione sul mercato, la messa a disposizione sul mercato o la messa in servizio dei dispositivi medici per uso umano e degli accessori per tali dispositivi nell’Unione. «Dispositivo medico» è qualunque strumento, apparecchio, apparecchiatura, software, (…) o altro articolo, destinato dal fabbricante a essere impiegato sull’uomo, da solo o in combinazione, per una o più delle seguenti destinazioni d’uso mediche specifiche. Tra le varie destinazioni d’uso contemplate vi sono la prevenzione, il trattamento o l’attenuazione di malattie, di una lesione o di una disabilità.

Ciò che mi sentirei di evidenziare è il fatto che, qualora una persona indossi un esoscheletro con destinazione d’uso sia medica che non medica, ad esempio perché lavora in un contesto industriale, questo dispositivo deve soddisfare cumulativamente sia i requisiti applicabili ai dispositivi con destinazione d’uso medica sia i requisiti applicabili ai dispositivi con destinazione d’uso non medica. Il Regolamento Dispositivi Medici si preoccupa chiaramente dei rischi derivanti da qualcosa che muove la persona o che comunque è in contatto diretto con lei.

Ci sono differenze significative tra la Direttiva Macchine e il Regolamento Macchine sugli aspetti che possono interessare le nuove tecnologie e la loro interazione con i lavoratori?

A.F.: Il Regolamento relativo al prodotto macchina contiene un interessante aggiornamento del requisito relativo ai rischi dovuti a elementi mobili. In particolare, richiede che le misure adottate tengano conto anche delle tensioni psichiche che possono essere causate dall’interazione con la macchina. Gli esoscheletri sono a contatto diretto con l’operatore e la loro interazione con il soggetto che l’indossa deve essere a maggior ragione studiata ed approfondita.

In letteratura si trovano studi volti alla realizzazione di algoritmi che siano in grado di anticipare i movimenti futuri dell’operatore o di parti del corpo che hanno suscitato, soprattutto negli ultimi anni, un forte interesse.  Questa è un’attività estremamente complessa, in quanto devono essere considerati molti fattori, legati sia alla natura del corpo umano che al contesto circostante, ma anche molto interessante nel campo della sicurezza e trasversale rispetto ai contesti applicativi.

Veniamo alle norme tecniche. Quali sono quelle più importanti in relazione agli esoscheletri?

A.F.: In linea generale per gli esoscheletri, come anche per tutti i prodotti che vengono immessi sul mercato o messi in servizio, avere norme tecniche specifiche per la sicurezza armonizzate alle Direttive o Regolamenti di riferimento supporta e agevola la valutazione dei rischi che il fabbricante è tenuto a fare e fornisce un riferimento dello stato dell’arte per le misure adottabili.

Ad oggi l’unica norma di riferimento armonizzata alla Direttiva Macchine è la UNI EN ISO 13482:2014 Robot e dispositivi robotici – Requisiti di sicurezza per i robot per la cura personale, oltre la serie di riferimento per i sistemi robotici industriali (UNI EN ISO 10218), nel quale non è però considerata l’indossabilità del dispositivo.

A livello di standard internazionali, non armonizzati alla direttiva di riferimento, si hanno diversi contributi interessanti. Ad esempio, vi è la serie di norme ISO 18646 che tratta i criteri prestazionali e relativi metodi di prova per robot di servizio. La parte 4 tratta specificatamente gli esoscheletri che supportano la parte bassa della schiena (Lower-back support robots).

Inoltre, la American Society for Testing & Materials (ASTM International) ha prodotto, in seno al comitato tecnico F48, istituito per lo sviluppo e l’aggiornamento di standard per esoscheletri, numerosi documenti.

In conclusione, cosa necessita, a suo parere e anche da un punto di vista tecnico-normativo, per diffondere e regolamentare meglio per il futuro l’uso degli esoscheletri nei luoghi di lavoro?

A.F.: Sicuramente l’emanazione di norme tecniche di riferimento che coprano le diverse tipologie di dispositivi robotici indossabili, considerando che tali norme dovrebbero contenere anche informazioni specifiche per la destinazione d’uso e sulle modalità d’uso di tali dispositivi, costituisce un valido supporto nella valutazione dei rischi che deve essere svolta dal fabbricante, ma anche nelle considerazioni che il datore di lavoro deve fare nel momento in cui mette a disposizione un esoscheletro per lo svolgimento di attività lavorative.

Inoltre, gli studi sulla predizione del movimento dell’uomo in un contesto in cui si utilizzano dispositivi robotici indossabili ed in cui l’operatore e le macchine si muovono in spazi sempre più condivisi, consentiranno un miglioramento della sicurezza delle soluzioni e dei sistemi implementati.

Intervista di Tiziano Menduto

L’articolo originale che contiene l’intervista: “Esoscheletri occupazionali: qual è il quadro tecnico-normativo di riferimento?.

NB: L’intervista è precedente alla pubblicazione del rapporto tecnico UNI/TR 11950:2024 “Sicurezza e salute nell’uso degli esoscheletri occupazionali orientati ad agevolare le attività lavorative”. Su questo rapporto tecnico pubblicherò più avanti una intervista fatta a Luigi Monica (Inail, DIT) durante la manifestazione Ambiente Lavoro a Bologna.

Covid e smart working 03: i vantaggi della riduzione degli infortuni in itinere

Una breve indagine attraverso alcune interviste e approfondimenti sulla diffusione dello smart working e telelavoro in tempi di pandemia e post-pandemia. L’intervista ad Andrea Bucciarelli, CSA Inail.


Concludiamo per il momento una breve indagine sullo smart working, sul lavoro agile, sul lavoro a distanza (smartworking, telelavoro, coworking, …) intesi non tanto come risposta emergenziale alla pandemia da COVID-19, ma come nuovo modello organizzativo che si sta diffondendo e con cui è necessario, anche dal punto di vista della salute e sicurezza sul lavoro, confrontarsi.

Per cercare di conoscere meglio il lavoro a distanza ho segnalato, in precedenti post, il documento, pubblicato dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI), dal titolo “Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working” e a cura di Gaetano Fede, Stefano Bergagnin e del Gruppo Tematico Temporaneo – GTT “Smart working e lavori in solitudine” del CNI.

E in due interviste, prodotte e pubblicate sul quotidiano online PuntoSicuro, ho cercato di affrontare alcuni aspetti in materia di salute e sicurezza del lavoro agile:

L’intervista che presentiamo oggi è diversa. Non entra tanto nel dettaglio dello smart working, delle sue caratteristiche, ma cerca, dopo una presentazione di alcuni dati relativi agli infortuni, di affrontare l’impatto positivo del lavoro a distanza sugli infortuni in itinere.

I dati forniti nell’intervista non sono recenti. Si tratta di un’intervista fatta poco più di un anno fa (luglio 2021), in piena emergenza pandemica, con i dati totali complessivi relativi al 2020 e i primi dati non definitivi del 2021. Numeri ormai superati dai dati più recenti che sono visionabili:

  • per quanto riguarda il 2021 nel nuovo e recente Rapporto Inail
  • per quanto riguarda i primi dati del 2022 negli Open Data del sito Inail.

L’intervistato è un “attuario” (professionista che ha il compito di leggere i dati per disegnare la realtà nel breve, medio e lungo periodo), in particolare Andrea Bucciarelli (attuario della Consulenza statistico attuariale dell’Inail).

Tuttavia non sono i numeri la parte rilevante dell’intervista. Non è sui numeri che bisogna porre l’attenzione, ma sul significato che il modello organizzativo del lavoro a distanza può avere nel tempo per la riduzione degli infortuni per strada e in itinere.

Per questo motivo dall’intervista fatta per il giornale PuntoSicuro, che è stata pubblicata nell’articolo “COVID-19 e lavoro agile: crollano i dati relativi agli infortuni in itinere”, riprendiamo solo alcune parti che vogliono affrontare questo tema.

Non tanto i rischi del lavoro agile sui lavoratori, rischi ben descritti nel documento del CNI, ma i vantaggi, per la sicurezza, della riduzione dei viaggi casa-lavoro-casa.

Ricordiamo, ancora una volta, che i dati infortunistici presentati da Andrea Bucciarelli sono relativi per lo più al 2020 (nell’intervista pubblicata su PuntoSicuro, sono presenti varie domande generali di presentazione di questi dati).

Buona lettura.

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(…)

Un tema che mi interessa affrontare è l’impatto della pandemia e della riorganizzazione di molte aziende sugli infortuni professionali stradali e sugli infortuni in itinere. Cosa raccontano i dati su questa tipologia di infortuni?

Andrea Bucciarelli: Gli infortuni in itinere (occorsi lungo il percorso casa-lavoro-casa) e stradali più in generale (ricomprendono anche quelli avvenuti in occasione di lavoro con un mezzo di trasporto) sono crollati nel 2020. Innegabilmente un effetto collaterale della pandemia il cui contenimento ha indotto nelle fasi più acute a blocchi o comunque limitazioni della circolazione stradale e in generale ad un emergenziale, massiccio, ricorso al lavoro agile da casa. Ripartendo le 571mila denunce in complesso di infortunio del 2020, in 506mila in occasione di lavoro e in 65 mila in itinere, si può notare che se quelle in occasione di lavoro (comprensive però delle nuove denunce da contagio) sono diminuite del 6,2% rispetto al 2019, quelle in itinere sono diminuite del 38,2% ridimensionandosi notevolmente rispetto ai circa 100mila casi annui registrati tra il 2016 e il 2019; l’incidenza delle denunce in itinere sul totale è scesa all’11% rispetto al 16% del 2019.

Nella gestione per conto dello Stato (amministrazioni statali quali i ministeri ad esempio) dove diffuso è stato il ricorso emergenziale al lavoro agile, il calo degli infortuni in itinere tra i dipendenti ha superato il 50%.

Gli incidenti stradali non riguardano poi solo gli infortuni in itinere, ma anche quelli in occasione di lavoro con mezzo di trasporto (si pensi ai conducenti professionali come camionisti, tassisti, rappresentanti, ecc.) e anche per loro si è registrata una diminuzione importante, pari al -31,8% con un numero di denunce che si ferma nel 2020 a 13mila contro le consuete 20mila degli ultimi anni. 

In sintesi, definendo come infortuni “fuori azienda” la somma degli infortuni in itinere e di quelli in occasione di lavoro con mezzo di trasporto coinvolto, entrambi riconducibili al rischio da circolazione in strada, i 78mila casi denunciati del 2020 si confrontano con i circa 125 mila degli scorsi anni, con un calo rispetto al 2019 del 37% e un’incidenza percentuale sul totale delle denunce (571mila) scesa a circa il 13% dal 19% degli anni precedenti.

Analoghe considerazioni per i casi mortali: gli infortuni in itinere con decesso dell’infortunato denunciati, sempre superiori ai 300 casi negli ultimi anni, nel 2020 sono stati 226 (-31,7% rispetto ai 331 del 2019) con un’incidenza scesa dal consueto 25%-28% del totale dei decessi al 15%. Così anche per gli infortuni in occasione di lavoro con mezzo di trasporto, scesi dagli oltre 200 l’anno a 181 nel 2020 (con incidenze percentuali che calano dal consueto 20% al 12%). Le due casistiche assieme, 407 “fuori azienda” nel 2020, evidenziano un calo di quasi il 28% rispetto al 2019 delle denunce e un’incidenza che da quasi il 50% degli scorsi anni (praticamente 1 decesso su 2 collegato al rischio strada) è scesa al 26,5% (1 decesso su 4).

Ricordiamo brevemente cosa si intende con infortuni in itinere.

Andrea Bucciarelli: L’infortunio “in itinere” è disciplinato dall’articolo 12 del decreto legislativo 38/2000.

È “in itinere” l’infortunio avvenuto durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, da un luogo di lavoro a un altro (nel caso di rapporti di lavoro plurimi), oppure durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti se non esiste una mensa aziendale. E’ ripartibile in due sottoinsiemi, con e senza mezzo di trasporto coinvolto.

È “in itinere con mezzo di trasporto coinvolto”, l’infortunio in itinere avvenuto in un’area aperta alla pubblica circolazione col concorso di almeno un mezzo di trasporto (veicoli terrestri e non), ad esempio l’infortunio occorso ad un impiegato che si reca in ufficio con i mezzi pubblici o la propria auto (se necessitato) o ad un lavoratore che, tornando a piedi a casa, venga travolto da un veicolo; è “in itinere senza mezzo di trasporto coinvolto”, ad esempio quello occorso ad un lavoratore che inciampa sul marciapiede recandosi al lavoro (comunque una minoranza).

Per inciso, l’Italia è un paese all’avanguardia nella tutela del lavoratore “da quando esce di casa a quando vi ritorna”, dato che in altri paesi (anglosassoni ad esempio) l’infortunio stradale in itinere non viene rilevato come da lavoro ma gestito nell’ambito della responsabilità civile auto; inoltre quanto previsto dalla normativa del 2000 è di fatto in continua evoluzione con l’Inail che recepisce i pareri della Cassazione su fattispecie particolari (come nel 2014 per la tutela degli infortuni occorsi al lavoratore in caso di deviazione dal percorso casa-lavoro effettuata dal genitore per accompagnare i figli a scuola) e gli aggiornamenti normativi (ad esempio, il riconoscimento dell’uso della bicicletta non più solo su pista ciclabile, a seguito del Collegato Ambiente alla Legge di Stabilità 2016).

Comunque il riconoscimento di un infortunio in itinere è subordinato alla verifica di modalità e circostanze di ogni singolo evento nel rispetto di alcuni vincoli ai fini della copertura assicurativa: se il tragitto è percorso con ordinarie modalità di spostamento (mezzi pubblici, a piedi ecc.), devono sussistere le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari, inoltre se si verifica a bordo di mezzo privato (automobile, scooter)  è tutelato solo se l’utilizzo del proprio mezzo é “necessitato” (per esempio, mancanza di mezzi pubblici o relativi tempi di attesa/percorrenza eccessivamente dispendiosi); le interruzioni e deviazioni del percorso “normale” non rientrano nella copertura assicurativa, a meno che non ricorrano specifiche condizioni di necessità; non sono tutelati gli infortuni direttamente causati dall’abuso di sostanze alcoliche e di psicofarmaci, dall’uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni, dalla mancanza del titolo di abilitazione alla guida da parte del conducente.

A suo parere l’aumento delle attività in smart working o comunque di lavoro a distanza, come è stato durante la pandemia, possano essere un incentivo e una strategia per ridurre gli infortuni in itinere?

Andrea Bucciarelli: Direi che l’equazione “meno percorrenze stradali = meno incidenti stradali” vale anche per gli infortuni in itinere che del rischio da circolazione in strada sono diretta conseguenza.

Sul fenomeno degli incidenti stradali (in generale, non solo lavorativi), le stime Aci-Istat relative ai primi nove mesi del 2020, divulgate a dicembre scorso, parlavano di una diminuzione del 29% degli incidenti con lesioni e del 26% di vittime rispetto al pari periodo anno precedente (ripeto, per incidenti occorsi a chiunque, non solo lavoratori).

Tornando agli infortuni sul lavoro “in itinere” denunciati, come già detto, nel 2020 quelli in complesso sono calati del 38% rispetto al 2019 (e la loro l’incidenza sul totale dal 16% del 2019 è scesa all’11% nel 2020), mentre le denunce in itinere con esito mortale sono calate del 32% (e la loro incidenza sul totale dei decessi denunciati è diminuita al 15% dal 27% rilevato sul 2019). Considerando poi anche gli infortuni in occasione di lavoro con mezzo (conducenti professionali, ecc), prevenire gli incidenti stradali, significa quindi ridurre un’importante quota degli infortuni sul lavoro.

L’Inail è già attivo da tempo in tal senso e, ad esempio, nell’ambito dell’oscillazione per prevenzione – uno sconto sul premio di tariffa alle aziende che raggiungono un certo punteggio per aver eseguito interventi per il miglioramento delle condizioni di prevenzione e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro – ha previsto specifiche voci per la sicurezza stradale (per es. corsi di guida, fornitura di servizi navetta, partecipazione con gli enti competenti per il miglioramento delle infrastrutture stradali in prossimità del luogo di lavoro). Vengono inoltre sottoscritti periodicamente protocolli di intesa con altre istituzioni in materia di sicurezza stradale per lo scambio di dati e collaborazione in iniziative di formazione/informazione nonché avviati specifici progetti di ricerca/studio/sperimentazione attraverso i suoi due dipartimenti scientifici (l’Inail nel 2010 ha incorporato l’Ispesl, Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro).

Per tornare alla domanda, il massiccio e normativamente “emergenziale” ricorso allo smart working del 2020 è stato ovviamente una necessità dettata dal contenimento della pandemia ma ha costituito anche una sperimentazione su vasta scala del lavoro agile di cui analizzare modalità, caratteristiche, produttività, criticità e vantaggi.   

(…)

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “Smart working e lavoro a distanza: criticità, vantaggi e prospettive future”

Link all’articolo originale di PuntoSicuro ” Smart working: come gestire la valutazione dei rischi e la formazione?”

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “COVID-19 e lavoro agile: crollano i dati relativi agli infortuni in itinere”

Intervista di Tiziano Menduto

Spazi confinati 05: strumenti e formazione per ridurre gli infortuni

Una raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. Documenti Inail e strumenti per la formazione. Intervista a Luciano Di Donato, DIT Inail.

IndagineSicurezza”, blog di riflessione e di approfondimento sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro in Italia, ha ospitato in questi anni diversi materiali e interviste realizzate sul tema degli infortuni che avvengono nei cosiddetti ambienti sospetti di inquinamento o confinati.

Un ambito, quello degli spazi confinati, che continua a mietere vittime, come recentemente avvenuto, a fine maggio 2021, per due operai che sono morti per esalazioni di vapori tossici all’interno di una vasca di lavorazione. E tutto questo malgrado anche normative ad hoc – come il Decreto del Presidente della Repubblica 14 settembre 2011, n. 177 – che insieme al D.Lgs. 82/2008 dovrebbero garantire una adeguata tutela per i lavoratori che lavorano in questi ambienti.

Se l’ultimo post ha presentato uno studio degli infortuni che avvengono in questi particolari ambienti, concludiamo questa piccola inchiesta, costruita con interviste da me realizzate per il giornale online PuntoSicuro, con le risposte dell’ing. Luciano Di Donato (Responsabile del Laboratorio II – macchine e attrezzature di lavoro Dipartimento DIT dell’Inail) riguardo ad alcune ricerche e alcuni documenti (tre factsheet) pubblicati dall’Istituto:

  • Ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento e assimilabili – Aspetti legislativi e caratterizzazione”;
  • Ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento e assimilabili – Formazione in aula e addestramento in campo”;
  • Ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento e assimilabili – Prodotti di ricerca dell’Istituto”.

Questi tre factsheet possono offrire molti spunti per chi si occupa, anche dal punto di vista formativo, della prevenzione degli infortuni in questi ambienti. 

L’intervista, realizzata nel mese di maggio 2021, è stata pubblicata su PuntoSicuro nell’articolo “Come migliorare la prevenzione degli infortuni negli ambienti confinati?”.

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In relazione ai tanti infortuni mortali che avvengono negli ambienti confinati il nostro giornale si è spesso soffermato sulle problematicità e carenze, anche a livello normativo. Cominciamo a parlare di questo nuovo progetto Inail partendo dalle norme. Quali sono quelle di riferimento e quali sono le principali criticità?

Luciano Di Donato: In merito a questo primo quesito voglio intendere il termine norma nel senso più ampio della parola e quindi includere in questo termine la legislazione applicabile che oggi è rappresentata dal D.lgs. 81/2008, norma sulla sicurezza del lavoro, e dal Dpr 177/2011, regolamento per la qualificazione delle imprese che operano in ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento.

È invece, in corso di sviluppo, un progetto di norma tecnica (UNI) specifica per l’argomento con l’obiettivo di curare alcuni aspetti non completamente definiti dalla legislazione applicabile.

Le principali criticità della nostra legislazione sono:

  • Una mancanza di definizione di ambiente confinato e/o sospetto di inquinamento;
  • L’esistenza di un elenco non esaustivo di ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento;
  • La mancata definizione di criteri, modalità, contenuti e durata per la formazione e l’addestramento dei lavoratori.         

I suggerimenti per risolvere le criticità di cui all’elenco possono evincersi da una lettura completa delle risposte a tutte le domande formulate oltre, per evitare ridondanze, dalla lettura dei factsheet prodotti.

Nei factsheet pubblicati sono presentati alcuni dati e si fa riferimento anche agli ambienti “assimilabili” e alla cosiddetta “catena della morte”. Cosa si intende e perché quest’ultima è spesso correlata agli infortuni che avvengono in questi ambienti?

LDD: I dati pubblicati derivano da una attività di ricerca del Laboratorio macchine ed attrezzature di lavoro e non possono considerarsi dati statistici, rappresentano però una importante raccolta di casi che vogliono essere di indirizzo a chi lavora in questo campo. 

Con il termine assimilabili (anche questi riportati negli istogrammi), si intendono tutti quegli ambienti che hanno medesimi pericoli e conseguenti rischi di ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento ma non inclusi in quelli descritti nei pertinenti articoli del DLgs. 81/2008

Il termine tragica catena di morte fu usato la prima volta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e pubblicato sulla cronaca della Repubblica dopo il grave infortunio con la morte di 5 lavoratori a Molfetta in una autocisterna. Viene ancora utilizzato perché per la tipologia degli ambienti dove questi infortuni accadono (ristretti, con difficoltà di ingresso e di uscita, inquinati e con una non facile applicazione delle fasi dell’emergenza) se fallisce la procedura di sicurezza (perché non adeguatamente realizzata o addirittura mancante), al primo lavoratore coinvolto seguono altri che nell’intento di soccorrere il compagno cadono vittima della stessa situazione pericolosa.

Se non è stata fatta una adeguata analisi e valutazione del rischio che tenga conto anche di una progettazione dell’emergenza questa catena si ripete. Non a caso parlo di progettazione dell’emergenza perché in alcuni casi si può arrivare a dover dissaldare parte di un serbatoio per salvare l’operatore che per qualsivoglia motivo è diventato non collaborante. 

Come si è sviluppato il vostro lavoro di ricerca e quali sono le criticità che avete riscontrato per la sicurezza in questi ambienti? Quanto è importante la formazione per prevenire efficacemente gli infortuni?

LDD: Le attività di ricerca hanno riguardato dapprima l’analisi dell’incidentalità e letalità correlate con le attività lavorative da svolgere in ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento e, successivamente, si sono concentrate nello studio di misure tecnico-organizzative per operare in sicurezza in tali ambienti. I risultati delle ricerche hanno permesso la progettazione di un simulatore fisico in grado di riprodurre diverse possibili condizioni di lavoro tipiche che caratterizzano gli ambienti in esame; il simulatore ha, poi, permesso di sperimentare specifici percorsi formativi e di addestramento da erogare agli operatori di settore.

La formazione, sia in aula che in campo, con enfasi all’apprendimento esperienziale consentito anche dall’uso del simulatore, diventa, quindi, un’attività fondamentale per accrescere la consapevolezza dell’operatore relativamente al corretto utilizzo della strumentazione, dei DPI e delle attrezzature di lavoro anche ai fini dell’emergenza. Tutto quanto sopra, col fine di realizzare una efficace applicazione della procedura di lavoro che, può crearsi anche a seconda della tipologia di ambiente per il quale viene richiesta la formazione e l’addestramento.

In cosa consiste la formazione esperienziale che avete messo a punto e come è stata applicata nei percorsi formativi nel 2020?

LDD: I lavoratori apprendono facendo: l’uso del simulatore fisico (passi d’uomo, tecnologia per il controllo delle azioni e per l’alterazione delle condizioni cognitive) nonché delle attrezzature a corredo (barella, fit test, sistema di sollevamento a sbraccio variabile, ecc) hanno consentito una esperienza realistica delle operazioni da compiere in emergenza.

Questa modalità, di fatto, forma le abilità richieste non solo attraverso l’addestramento diretto ma anche risolvendo le incertezze che possono sorgere in campo.

Proprio per questo, a valle dell’addestramento pratico, si è previsto un momento di confronto in aula dedicato a tutti dubbi (appositamente raccolti in forma anonima) insorti durante l’addestramento.

Questo iter aiuta anche i formatori a trovare insieme con i lavoratori e i datori di lavoro coinvolti nuove soluzioni operative, ancora una volta un apprendere facendo. Il percorso aiuta a risolvere gli inevitabili imprevisti che accadono e che, in un ambiente di simulazione protetto e sicuro, non portano ad incidenti (ma portano esperienza). Imprevisti che se accadessero nella realtà potrebbero essere mortali. 

Lei ha sottolineato l’importanza, per la formazione e l’addestramento, del simulatore fisico. Come è stato realizzato? Con quali criteri e risultati?

LDD: L’idea del simulatore, è nata diversi anni fa attraverso una attività di ricerca del Laboratorio macchine ed attrezzature di lavoro che aveva, come obiettivo, la realizzazione di un serious game per innalzare le capacità di comprensione dei pericoli e conseguenti rischi dei lavoratori qualificati per operare in ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento. La sua realizzazione è stata la risposta concreta ad un periodo di infortuni gravi e mortali che si ripetevano con grande frequenza e che coinvolgevano un numero, per incidente, molto elevato di lavoratori (un lavoratore e quattro colleghi/soccorritori morti in un solo caso – strage di Molfetta).

Il simulatore è stato realizzato utilizzando un container trasportabile dotato di strumentazione di controllo e con sistemi di alterazione della capacità cognitive dei lavoratori che possono manifestarsi anche durante l’esercitazione, simulando di fatto, una condizione critica in itinere. Molti casi di infortunio evolvono nelle fasi di lavorazione per il cambio nel tempo delle condizioni dell’ambiente o addirittura (vedi attività di saldatura o lavorazioni sul piano stradale) dove i fumi e/o gas invadono l’ambiente che era stato preventivamente bonificato.

L’idea del trasporto è stata vincente perché già alcune multinazionali (appena prima dell’avvio della pandemia) hanno portato presso la loro sede il simulatore formando, con la nostra assistenza, il personale operante e qualificato per quelle tipologie di lavoro.

I criteri che ne hanno guidato la progettazione sono stati quelli di avvicinarsi quanto più possibile, in un ambiente protetto, alle condizioni reali operative anche per il salvataggio in emergenza. I risultati, per ora – benchè i dati non siano sufficienti per poter parlare di statistica – sono davvero interessanti. Le interviste pre formazione/ addestramento e quelle in uscita hanno mostrato che il sistema funziona e si innalzano le capacità di attenzione ai pericoli e rischi dei lavoratori impiegati oltre ad un innalzamento della cultura della sicurezza perché praticata appunto in modo esperienziale. 

Nei factsheet si parla sia di simulazione fisica che di simulazione virtuale e di realtà aumentata. Quali sono le differenze e le specificità?

LDD: I vantaggi principali e rappresentativi della realtà virtuale ed aumentata sono essenzialmente quelli di poter ricreare un qualsivoglia ambiente anche molto complesso con l’obiettivo di: effettuare valutazioni e scelte appropriate, fare una panoramica della situazione, considerando le condizioni del momento e il rischio correlato, esercitarsi a stimare il rischio potenziale correlato all’evoluzione della situazione; allenarsi a reagire a contingenze e fallimenti generati stocasticamente (cioè guasti, incendi, esplosioni, ecc.).

Pur essendo una tecnologia di cui non dobbiamo fare a meno, ed il laboratorio ha già lavorato su questo aspetto e continua a produrre soluzioni, attualmente non risolvono in modo completo ed esaustivo la fase di addestramento dei lavoratori ma rappresentano un ottimo rinforzo delle attività in aula. 

Il simulatore fisico consente di replicare le sensazioni fisiche relative ad operazioni tipiche: uso delle imbragature, uso della barella con movimentazione dell’operatore, uso del sistema di sollevamento a sbraccio variabile per le operazioni di recupero e salvataggio, nonché le possibili alterazioni delle prestazioni cognitive. Una formazione specialistica per essere tale deve preparare efficacemente e in modo completo alle condizioni di rischio standard e meno prevedibili. L’uso della realtà aumentata e virtuale per la rappresentazione di ambienti diversi e, di un simulatore fisico per la riproduzione di sensazioni fisiche e alterazioni cognitive in contesti lavorativi differenti, sono complementari e di fatto rappresentano un efficace sistema per ottenere una formazione che sia la più completa possibile.

Nei documenti prodotti avete parlato anche del Fit Test. Ricordiamo innanzitutto cos’è e perché è importante…

LDD: Prima di dire che cosa è le rispondo sul perché è importante eseguire il Fit test: è importante perché serve a verificare che le maschere e i facciali monouso delle vie respiratorie forniscano la giusta protezione e cioè che aderiscano bene al volto di chi li indossa. Infatti, barba, baffi, eventuali cicatrici o piccole difformità faciali ne possono compromettere l’efficacia.

Il Fit Test determina appunto la capacità della maschera o del facciale di mantenere la tenuta quando il lavoratore è in movimento. Per questo motivo gli utenti sottoposti al test devono completare diversi esercizi. Un DPI che si sposta durante il movimento potrebbe non essere in grado di mantenere la tenuta.

Esistono due tipi di test: qualitativi e quantitativi: nel caso di un Fit Test quantitativo (QNFT), che può essere utilizzato per qualsiasi maschera e facciale monouso aderente, questo prevede l’utilizzo di uno strumento per misurare le perdite intorno al volto e produce un risultato numerico chiamato Fit Factor che ci fornisce l’idoneità o meno del dispositivo per l’operatore che indossa il dispositivo.

Nelle attività in cui è necessario accedere a spazi confinati con dispositivi di protezione delle vie respiratorie questi test sono eseguiti?

LDD: Non è semplice rispondere a questa domanda. Alcuni casi di infortunio grave e mortale hanno individuato la causa nella scelta sbagliata del DPI (facciale filtrante, piuttosto che facciale isolato in un ambiente dove non c’era un adeguato livello di ossigeno) ma questo, non denota appunto, un corretto uso se finalizzato al modo di indossare il facciale piuttosto una scorretta analisi del rischio. Il fit test non è ritenuto cogente dalla nostra legislazione, ma ritengo, sia una pratica importante da seguire dove possano esserci ambienti di lavoro inquinati e/o con carenza di ossigeno.

Tutto, comunque, deve essere inizialmente valutato nell’analisi del rischio da effettuare prima di qualunque intervento.    

Concludiamo ricordando gli strumenti che l’Inail ha predisposto, oltre al progetto di alta formazione, informazione e addestramento, per gli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento e assimilabili. Ci saranno sviluppi futuri per questa attività di ricerca? E cosa auspicarsi per un miglioramento reale della prevenzione degli infortuni in questi ambienti a rischio elevato?

LDD: In relazione agli sviluppi della ricerca, stiamo già lavorando alla integrazione nel simulatore di sistemi di AG (Augmented Reality) e VR (Virtual Reality) con tecnologie integrate per simulare, in un ambiente virtuale, lo sforzo fisico che oggi non è possibile provare.

Infine, il miglioramento della prevenzione degli infortuni in questo caso passa attraverso:

  • Una prevenzione assistita;
  • Una definizione di criteri certi di formazione informazione ed addestramento del personale;
  • Una continua attività di ricerca per trovare nuovi sistemi e tecniche sicure per operare in questi ambienti.

Per il primo punto, possiamo citare le attività INAIL nella direzione di sconti sui premi assicurativi, nello specifico, nell’ultimo modello OT 23 – prevenzione degli infortuni mortali (non stradali) – è stata inserita la sezione A1 orientata agli ambienti confinati e/o sospetti di inquinamento mettendo in evidenza, tra le possibilità per ottenere questi sconti, la dimostrazione di avere sia la strumentazione (compresi robot) che formazione anche con simulatori. Questa è prevenzione, perché consente ai fruitori, di innalzare il grado di sicurezza con cui affrontare queste attività lavorative.

Per il secondo punto dalle attività con il simulatore vorrebbero arrivare delle proposte concrete, basate sull’esperienza della ricerca sul campo con cui proporre nelle sedi opportune un percorso formativo addestrativo virtuoso e di eccellenza che possa diventare un riferimento legislativo da seguire.

Infine, ad integrazione di quanto già risposto nella prima parte della domanda, un aspetto importante è l’attività di ricerca nel campo della robotica che, dove possibile, deve sostituire l’ingresso dell’uomo in questi ambienti. Anche su questo obiettivo, per altro molto ambizioso, il laboratorio sta lavorando.   

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “Come migliorare la prevenzione degli infortuni negli ambienti confinati?”

Link ai tre factsheet prodotti dall’Inail

Per altri approfondimenti rimandiamo anche ai post:

Post e intervista a cura di Tiziano Menduto

Spazi confinati 04: conoscere gli infortuni per migliorare la prevenzione

Una raccolta di materiali, interviste, approfondimenti sul tema della sicurezza dei lavoratori negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati. La futura norma UNI e gli ambienti assimilabili agli spazi confinati. Intervista a Paolo De Santis della Contarp Inail.

Sono ancora troppi gli infortuni che avvengono nei cosiddetti ambienti sospetti di inquinamento o confinati. A titolo esemplificativo tra il 2002 e il 2014 si registrano in Italia circa 69 incidenti che hanno comportato 90 morti. E sono comunque molti gli infortuni mortali plurimi dal 2014 ad oggi, ad esempio con riferimento all’incidente plurimo (quattro morti) avvenuto in provincia di Pavia nel 2019.

Proprio partendo da questi dati e dalla necessità di migliorare la prevenzione a partire dalla conoscenza e dallo studio degli infortuni che avvengono in questi particolari ambienti, concludo il viaggio attraverso i rischi negli spazi confinati con un post, il quarto, che raccoglie un’intervista da me realizzata durante la manifestazione “Ambiente Lavoro” del 2019 e pubblicata sul giornale online PuntoSicuro (Spazi confinati: gli infortuni, le criticità e la futura norma UNI).

L’intervista è a Paolo De Santis (Inail – Contarp Lazio), relatore al workshop Inail “Ambienti Confinati e infortuni mortali: analisi delle criticità e proposte di soluzioni”, che si è soffermato proprio sulle criticità rilevate negli infortuni in questi ambienti.

L’intervista, realizzata il 17 ottobre 2019 e di cui riporto il video e una parziale sbobinatura, ci permette di avere anche informazioni su una futura norma UNI in materia di ambienti confinati.

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Entriamo nel dettaglio degli infortuni che avvengono ogni anno negli ambienti sospetti di inquinamento o confinati, con particolare riferimento al plurimo infortunio mortale che è avvenuto in provincia di Pavia a metà settembre…

Paolo De Santis: In particolare quest’ultimo incidente ha la caratteristica di raccogliere un po’ tutte quelle criticità che possono essere elencate.

Intanto osserviamo che, a 11 anni dalla pubblicazione del decreto 81/2008, ancora si muore negli spazi confinati. Nel frattempo c’è stato il DPR 177/2011, ci sono state decine di buone prassi, linee guida, … Ma il problema che questo particolare incidente indica è che la normativa, le buone prassi, ecc. molto spesso non arrivano alla piccola e piccolissima azienda.

Cosa è successo?

Dalle ricostruzioni dei giornali si capisce che un lavoratore si è sentito male al bordo di una vasca di liquami. È caduto nella vasca, è annegato e gli altri tre, di cui due datori di lavoro, hanno cercato di estrarlo ma, ovviamente nelle stesse condizioni, sono morti anche loro annegati.

Io analizzando questo incidente sono rimasto abbastanza sconcertato dal fatto che questa particolare tipologia di ambiente, quella delle vasche dei liquami, è analizzata addirittura dal 1978. Molti esperti (…) sulla base proprio dell’indagine approfondita su decine e decine di incidenti, hanno pubblicato articoli, fatto incontri, convegni, dato anche proprio delle misure preventive, tecniche, molto pratiche… Sappiamo, per esempio, che un’adeguata correzione del pH può diminuire questo rischio. Il problema è come arrivare alla piccola e piccolissima azienda: ecco, credo, che questo sia il nostro obiettivo per il futuro.

Che altra tipologia di infortuni avvengono negli ambienti a cui fa riferimento il DPR 177? Ci sono altri incidenti che ci possono fornire insegnamenti e indicazioni per migliorare la prevenzione?

P.D.S.:Sì, e bisognerebbe anche fare una prima distinzione, quella distinzione che stiamo cercando di portare a livello di gruppo UNI tra ambienti che rientrano nella normativa – quindi ambienti confinati o sospetti di inquinamento, secondo le definizioni del decreto 81 e del decreto 177/2011 (…) – e i cosiddetti ambienti assimilabili.

Oggi nel workshop li abbiamo citati. Per esempio, le pale di un impianto eolico, oppure i pozzetti di piscina degli ambienti, che non sono normati, ma che ugualmente possono rappresentare, in determinate condizioni, un rischio mortale.

A livello del gruppo UNI, in cui si spera vedrà la luce la formulazione di una nuova norma specifica sull’argomento, stiamo dando dei criteri di identificazione, comunque di categorie di spazi in cui ci possono essere problemi mortali. Questi spazi si divideranno in due grosse categorie, cioè quelli che finiscono sotto l’attuale vigenza normativa e quelli che, comunque, hanno le medesime caratteristiche di pericolosità e per i quali il datore di lavoro deve, con la propria valutazione del rischio, individuare le misure preventive migliori.

Quali sono i tempi per arrivare alla nuova norma UNI?

P.D.S.:I tempi saranno ancora lunghi, perché è partito da poco il progetto di norma. Ancora non sappiamo se sarà una norma o un Technical report; probabilmente il gruppo è indirizzato più verso la norma.

C’è stata un’ampia discussione proprio per venire a definire le due definizioni di spazio confinato o sospetto di inquinamento e di spazio assimilabile.

Oggi c’è un accordo, che sarà sottoposto ovviamente all’analisi pubblica.

È un primo passo avanti. Spero che, dopo questo primo grosso scoglio, i lavori andranno molto più velocemente. Speriamo che nel corso del prossimo anno vedrà la luce.

Forniamo qualche dato quantitativo relativo agli infortuni e alle tipologie di infortuni…

P.D.S.:Dati di infortuni consolidati possono essere estratti dalla nostra Banca Dati Infor.mo. Quelli consolidati sono riferibili all’intervallo di tempo che va dal 2002 al 2014. In quel periodo abbiamo registrato circa 69 incidenti che hanno comportato 90 morti.

E quindi già si vede, da questo dato, che effettivamente i decessi sono plurimi rispetto agli eventi. Probabilmente è un dato sottostimato perché nell’analisi non sono state compresi gli scavi, che invece, in determinate condizioni, possono essere intesi come ambienti confinati o sospetti di inquinamento.

Veniamo alle principali criticità che avete rilevato…

P.D.S.:La criticità principale, a nostro avviso, è riferibile al fattore umano.

Intanto si osserva che circa il 73% degli infortunati che sono deceduti aveva una grande esperienza di lavoro ben oltre i 3 anni e che la maggior parte – anche qui intorno al 70% – era personale dipendente a tempo indeterminato.

Quindi mai o quasi mai si è trattato di inesperienza. In alcuni casi ci sono state delle persone non assunte, in nero, ma la stragrande maggioranza degli infortuni ha riguardato gente con esperienza. Quindi molto spesso, quando si parla di esperienza, è “dir tutto e dir poco”. A volte l’esperienza, invece, è foriera di cattive abitudini che, purtroppo, si ripetono nel tempo.

E molto spesso, un’altra criticità che abbiamo riscontrato, è che le stesse persone avevano compiuto le stesse operazioni in maniera similare nel tempo, ma, purtroppo, sono cambiati piccoli parametri del processo che non sono stati rilevati, proprio per una carenza di conoscenza e anche di capacità di analisi dei processi stessi. E queste piccole variazioni hanno comportato invece l’instaurarsi di condizioni mortali.

(…)

Secondo lei cosa si può fare per migliorare la prevenzione? Come agire sul fattore umano?

P.D.S.:Bisogna aumentare la percezione del rischio delle persone.

Cosa significa? Intanto il fattore umano non dobbiamo intenderlo come errore della singola persona, ma come eventuale carenza nell’ambito delle organizzazioni che, a volte, sono piccolissime organizzazioni. Infatti molti incidenti hanno coinvolto gli stessi datori di lavoro, che non hanno avuto le capacità di analisi e di valutazione del rischio.

Ecco noi dovremmo cercare di far arrivare, di diffondere questa capacità di analisi del rischio.

 (…)

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “Spazi confinati: gli infortuni, le criticità e la futura norma UNI”.

Per altri approfondimenti rimandiamo anche ai post:

Post e intervista a cura di Tiziano Menduto