Covid e smart working 03: i vantaggi della riduzione degli infortuni in itinere

Una breve indagine attraverso alcune interviste e approfondimenti sulla diffusione dello smart working e telelavoro in tempi di pandemia e post-pandemia. L’intervista ad Andrea Bucciarelli, CSA Inail.


Concludiamo per il momento una breve indagine sullo smart working, sul lavoro agile, sul lavoro a distanza (smartworking, telelavoro, coworking, …) intesi non tanto come risposta emergenziale alla pandemia da COVID-19, ma come nuovo modello organizzativo che si sta diffondendo e con cui è necessario, anche dal punto di vista della salute e sicurezza sul lavoro, confrontarsi.

Per cercare di conoscere meglio il lavoro a distanza ho segnalato, in precedenti post, il documento, pubblicato dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI), dal titolo “Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working” e a cura di Gaetano Fede, Stefano Bergagnin e del Gruppo Tematico Temporaneo – GTT “Smart working e lavori in solitudine” del CNI.

E in due interviste, prodotte e pubblicate sul quotidiano online PuntoSicuro, ho cercato di affrontare alcuni aspetti in materia di salute e sicurezza del lavoro agile:

L’intervista che presentiamo oggi è diversa. Non entra tanto nel dettaglio dello smart working, delle sue caratteristiche, ma cerca, dopo una presentazione di alcuni dati relativi agli infortuni, di affrontare l’impatto positivo del lavoro a distanza sugli infortuni in itinere.

I dati forniti nell’intervista non sono recenti. Si tratta di un’intervista fatta poco più di un anno fa (luglio 2021), in piena emergenza pandemica, con i dati totali complessivi relativi al 2020 e i primi dati non definitivi del 2021. Numeri ormai superati dai dati più recenti che sono visionabili:

  • per quanto riguarda il 2021 nel nuovo e recente Rapporto Inail
  • per quanto riguarda i primi dati del 2022 negli Open Data del sito Inail.

L’intervistato è un “attuario” (professionista che ha il compito di leggere i dati per disegnare la realtà nel breve, medio e lungo periodo), in particolare Andrea Bucciarelli (attuario della Consulenza statistico attuariale dell’Inail).

Tuttavia non sono i numeri la parte rilevante dell’intervista. Non è sui numeri che bisogna porre l’attenzione, ma sul significato che il modello organizzativo del lavoro a distanza può avere nel tempo per la riduzione degli infortuni per strada e in itinere.

Per questo motivo dall’intervista fatta per il giornale PuntoSicuro, che è stata pubblicata nell’articolo “COVID-19 e lavoro agile: crollano i dati relativi agli infortuni in itinere”, riprendiamo solo alcune parti che vogliono affrontare questo tema.

Non tanto i rischi del lavoro agile sui lavoratori, rischi ben descritti nel documento del CNI, ma i vantaggi, per la sicurezza, della riduzione dei viaggi casa-lavoro-casa.

Ricordiamo, ancora una volta, che i dati infortunistici presentati da Andrea Bucciarelli sono relativi per lo più al 2020 (nell’intervista pubblicata su PuntoSicuro, sono presenti varie domande generali di presentazione di questi dati).

Buona lettura.

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Un tema che mi interessa affrontare è l’impatto della pandemia e della riorganizzazione di molte aziende sugli infortuni professionali stradali e sugli infortuni in itinere. Cosa raccontano i dati su questa tipologia di infortuni?

Andrea Bucciarelli: Gli infortuni in itinere (occorsi lungo il percorso casa-lavoro-casa) e stradali più in generale (ricomprendono anche quelli avvenuti in occasione di lavoro con un mezzo di trasporto) sono crollati nel 2020. Innegabilmente un effetto collaterale della pandemia il cui contenimento ha indotto nelle fasi più acute a blocchi o comunque limitazioni della circolazione stradale e in generale ad un emergenziale, massiccio, ricorso al lavoro agile da casa. Ripartendo le 571mila denunce in complesso di infortunio del 2020, in 506mila in occasione di lavoro e in 65 mila in itinere, si può notare che se quelle in occasione di lavoro (comprensive però delle nuove denunce da contagio) sono diminuite del 6,2% rispetto al 2019, quelle in itinere sono diminuite del 38,2% ridimensionandosi notevolmente rispetto ai circa 100mila casi annui registrati tra il 2016 e il 2019; l’incidenza delle denunce in itinere sul totale è scesa all’11% rispetto al 16% del 2019.

Nella gestione per conto dello Stato (amministrazioni statali quali i ministeri ad esempio) dove diffuso è stato il ricorso emergenziale al lavoro agile, il calo degli infortuni in itinere tra i dipendenti ha superato il 50%.

Gli incidenti stradali non riguardano poi solo gli infortuni in itinere, ma anche quelli in occasione di lavoro con mezzo di trasporto (si pensi ai conducenti professionali come camionisti, tassisti, rappresentanti, ecc.) e anche per loro si è registrata una diminuzione importante, pari al -31,8% con un numero di denunce che si ferma nel 2020 a 13mila contro le consuete 20mila degli ultimi anni. 

In sintesi, definendo come infortuni “fuori azienda” la somma degli infortuni in itinere e di quelli in occasione di lavoro con mezzo di trasporto coinvolto, entrambi riconducibili al rischio da circolazione in strada, i 78mila casi denunciati del 2020 si confrontano con i circa 125 mila degli scorsi anni, con un calo rispetto al 2019 del 37% e un’incidenza percentuale sul totale delle denunce (571mila) scesa a circa il 13% dal 19% degli anni precedenti.

Analoghe considerazioni per i casi mortali: gli infortuni in itinere con decesso dell’infortunato denunciati, sempre superiori ai 300 casi negli ultimi anni, nel 2020 sono stati 226 (-31,7% rispetto ai 331 del 2019) con un’incidenza scesa dal consueto 25%-28% del totale dei decessi al 15%. Così anche per gli infortuni in occasione di lavoro con mezzo di trasporto, scesi dagli oltre 200 l’anno a 181 nel 2020 (con incidenze percentuali che calano dal consueto 20% al 12%). Le due casistiche assieme, 407 “fuori azienda” nel 2020, evidenziano un calo di quasi il 28% rispetto al 2019 delle denunce e un’incidenza che da quasi il 50% degli scorsi anni (praticamente 1 decesso su 2 collegato al rischio strada) è scesa al 26,5% (1 decesso su 4).

Ricordiamo brevemente cosa si intende con infortuni in itinere.

Andrea Bucciarelli: L’infortunio “in itinere” è disciplinato dall’articolo 12 del decreto legislativo 38/2000.

È “in itinere” l’infortunio avvenuto durante il normale tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di lavoro, da un luogo di lavoro a un altro (nel caso di rapporti di lavoro plurimi), oppure durante il tragitto abituale per la consumazione dei pasti se non esiste una mensa aziendale. E’ ripartibile in due sottoinsiemi, con e senza mezzo di trasporto coinvolto.

È “in itinere con mezzo di trasporto coinvolto”, l’infortunio in itinere avvenuto in un’area aperta alla pubblica circolazione col concorso di almeno un mezzo di trasporto (veicoli terrestri e non), ad esempio l’infortunio occorso ad un impiegato che si reca in ufficio con i mezzi pubblici o la propria auto (se necessitato) o ad un lavoratore che, tornando a piedi a casa, venga travolto da un veicolo; è “in itinere senza mezzo di trasporto coinvolto”, ad esempio quello occorso ad un lavoratore che inciampa sul marciapiede recandosi al lavoro (comunque una minoranza).

Per inciso, l’Italia è un paese all’avanguardia nella tutela del lavoratore “da quando esce di casa a quando vi ritorna”, dato che in altri paesi (anglosassoni ad esempio) l’infortunio stradale in itinere non viene rilevato come da lavoro ma gestito nell’ambito della responsabilità civile auto; inoltre quanto previsto dalla normativa del 2000 è di fatto in continua evoluzione con l’Inail che recepisce i pareri della Cassazione su fattispecie particolari (come nel 2014 per la tutela degli infortuni occorsi al lavoratore in caso di deviazione dal percorso casa-lavoro effettuata dal genitore per accompagnare i figli a scuola) e gli aggiornamenti normativi (ad esempio, il riconoscimento dell’uso della bicicletta non più solo su pista ciclabile, a seguito del Collegato Ambiente alla Legge di Stabilità 2016).

Comunque il riconoscimento di un infortunio in itinere è subordinato alla verifica di modalità e circostanze di ogni singolo evento nel rispetto di alcuni vincoli ai fini della copertura assicurativa: se il tragitto è percorso con ordinarie modalità di spostamento (mezzi pubblici, a piedi ecc.), devono sussistere le finalità lavorative, la normalità del tragitto e la compatibilità degli orari, inoltre se si verifica a bordo di mezzo privato (automobile, scooter)  è tutelato solo se l’utilizzo del proprio mezzo é “necessitato” (per esempio, mancanza di mezzi pubblici o relativi tempi di attesa/percorrenza eccessivamente dispendiosi); le interruzioni e deviazioni del percorso “normale” non rientrano nella copertura assicurativa, a meno che non ricorrano specifiche condizioni di necessità; non sono tutelati gli infortuni direttamente causati dall’abuso di sostanze alcoliche e di psicofarmaci, dall’uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni, dalla mancanza del titolo di abilitazione alla guida da parte del conducente.

A suo parere l’aumento delle attività in smart working o comunque di lavoro a distanza, come è stato durante la pandemia, possano essere un incentivo e una strategia per ridurre gli infortuni in itinere?

Andrea Bucciarelli: Direi che l’equazione “meno percorrenze stradali = meno incidenti stradali” vale anche per gli infortuni in itinere che del rischio da circolazione in strada sono diretta conseguenza.

Sul fenomeno degli incidenti stradali (in generale, non solo lavorativi), le stime Aci-Istat relative ai primi nove mesi del 2020, divulgate a dicembre scorso, parlavano di una diminuzione del 29% degli incidenti con lesioni e del 26% di vittime rispetto al pari periodo anno precedente (ripeto, per incidenti occorsi a chiunque, non solo lavoratori).

Tornando agli infortuni sul lavoro “in itinere” denunciati, come già detto, nel 2020 quelli in complesso sono calati del 38% rispetto al 2019 (e la loro l’incidenza sul totale dal 16% del 2019 è scesa all’11% nel 2020), mentre le denunce in itinere con esito mortale sono calate del 32% (e la loro incidenza sul totale dei decessi denunciati è diminuita al 15% dal 27% rilevato sul 2019). Considerando poi anche gli infortuni in occasione di lavoro con mezzo (conducenti professionali, ecc), prevenire gli incidenti stradali, significa quindi ridurre un’importante quota degli infortuni sul lavoro.

L’Inail è già attivo da tempo in tal senso e, ad esempio, nell’ambito dell’oscillazione per prevenzione – uno sconto sul premio di tariffa alle aziende che raggiungono un certo punteggio per aver eseguito interventi per il miglioramento delle condizioni di prevenzione e tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro – ha previsto specifiche voci per la sicurezza stradale (per es. corsi di guida, fornitura di servizi navetta, partecipazione con gli enti competenti per il miglioramento delle infrastrutture stradali in prossimità del luogo di lavoro). Vengono inoltre sottoscritti periodicamente protocolli di intesa con altre istituzioni in materia di sicurezza stradale per lo scambio di dati e collaborazione in iniziative di formazione/informazione nonché avviati specifici progetti di ricerca/studio/sperimentazione attraverso i suoi due dipartimenti scientifici (l’Inail nel 2010 ha incorporato l’Ispesl, Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro).

Per tornare alla domanda, il massiccio e normativamente “emergenziale” ricorso allo smart working del 2020 è stato ovviamente una necessità dettata dal contenimento della pandemia ma ha costituito anche una sperimentazione su vasta scala del lavoro agile di cui analizzare modalità, caratteristiche, produttività, criticità e vantaggi.   

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Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “Smart working e lavoro a distanza: criticità, vantaggi e prospettive future”

Link all’articolo originale di PuntoSicuro ” Smart working: come gestire la valutazione dei rischi e la formazione?”

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “COVID-19 e lavoro agile: crollano i dati relativi agli infortuni in itinere”

Intervista di Tiziano Menduto

Covid e smart working 01: criticità e prospettive future

Una breve indagine attraverso alcune interviste e approfondimenti sulla diffusione dello smart working e telelavoro in tempi di pandemia. L’intervista all’Ing. Gaetano Fede e all’Ing. Stefano Bergagnin del Consiglio Nazionale degli Ingegneri.

Non c’è ormai alcun dubbio sul fatto che molte conseguenze sul mondo del lavoro della pandemia siano ormai quasi irreversibili, specialmente in termini di innovazione e riorganizzazione lavorativa. Il rischio biologico connesso al COVID-19 ci ha avvicinato ad un nuovo possibile modello lavorativo a distanza che tuttavia necessita di adeguate tutele e di una normativa moderna e adeguata, anche in materia di prevenzione.

Proprio per cercare di ragionare su questi aspetti, aiutare aziende e lavoratori a migliorare la prevenzione e proporre eventuali modifiche normative sono state pubblicate dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri (CNI) le “Linee di indirizzo per la gestione dei rischi in modalità smart working”. Un documento – a cura di Gaetano Fede, Stefano Bergagnin e del Gruppo Tematico Temporaneo “Smart working e lavori in solitudine” del CNI – che ho pensato fosse utile approfondire attraverso alcune mie interviste pubblicate dal giornale online PuntoSicuro.

Nella prima intervista presentata oggi – pubblicata nell’articolo “Smart working e lavoro a distanza: criticità, vantaggi e prospettive future” – ho posto alcune domande all’Ing. Gaetano Fede (Consigliere CNI e Coordinatore del Gruppo di Lavoro Sicurezza) e all’Ing. Stefano Bergagnin (Gruppo di Lavoro Sicurezza CNI) cercando di comprendere quali possano essere le carenze nella tutela dei lavoratori agili, quali siano i rischi del fraintendimento tra smart working e telelavoro e, specialmente, quali lacune si annidino in una normativa, la Legge n. 81 del 22 maggio 2017 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato“, che, come ricordato nell’articolo, “non sembra essere al passo del cambiamento richiesto dalle conseguenze della pandemia”.

L’intervista vuole comprendere anche cosa è possibile fare per migliorare le tutele dei lavoratori e quali siano gli eventuali vantaggi del lavoro a distanza, ad esempio in termini di riduzione degli infortuni in itinere.

Nelle prossime settimane riporterò sul blog anche una seconda intervista sul lavoro agile con particolare attenzione ad aspetti più operativi, come la formazione dello smart worker e l’analisi e valutazione dei rischi, con riferimento al tecnostress e al confine tra spazio lavorativo e domestico.

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Partiamo dalle motivazioni che hanno portato il CNI a occuparsi di smart working… Quali sono a vostro parere le principali lacune e carenze, normative e culturali, che possono portare a sottovalutare o a non tutelare adeguatamente i rischi dei cosiddetti lavoratori agili?

Ing. Gaetano Fede: C’è da sottolineare innanzitutto che la veloce diffusione del lavoro a distanza a partire dall’inizio del periodo pandemico del COVID19 nel nostro Paese ha colto tutti impreparati considerato che il telelavoro, e soprattutto lo smartworking, in Italia non erano diffusi come in altri Paesi.

Il GdL sicurezza del CNI aveva tuttavia già attivato un GTT (Gruppo Tematico a Tempo) in merito proprio allo smartworking e al lavoro in solitudine, che a volte coincidono, perché ritenemmo, già 2 anni fa, che fosse necessario un approfondimento sui rischi per i lavoratori che svolgono la propria attività secondo tali modalità.

Con il diffondersi della pandemia e l’incremento del lavoro a distanza abbiamo ritenuto ancora più urgente sviluppare il lavoro delle linee di indirizzo con la massima urgenza, in quanto l’unica norma in vigore in merito al lavoro agile è la Legge 81/2017, a nostro avviso non sufficientemente dettagliata per fornire indicazioni su come valutare e gestire i rischi che sono presenti, a volte in modo diverso, anche per chi lavora esternamente alla sede aziendale.

Nelle vostre linee di indirizzo si fa riferimento al “diffuso fraintendimento” tra le diverse modalità del lavoro agile e del telelavoro. Quali sono le differenze tra queste due modalità di lavoro e i rischi di questa confusione?

Ing. Gaetano Fede: Ci sono diversi aspetti in comune tra lavoro agile e telelavoro, ad esempio il fatto che si lavori a distanza, ma vi sono differenze fondamentali che non sono mai state messe in evidenza e di conseguenza quando i “media” trattano il tema del lavoro a distanza, così diffuso in questo periodo, lo indicano semplicemente come smartworking.

Tuttavia non è così, perché vi sono due differenze fondamentali.

In primo luogo l’assoluto vincolo di orario presente nel telelavoro ma non previsto, o previsto soltanto parzialmente, per il lavoro agile. Inoltre il lavoro agile (sostanzialmente coincidente con la definizione smartworking) prevede che vi sia sempre un obiettivo concordato tra lavoratore e azienda (o ente perché è applicato anche nel settore pubblico), aspetto questo che il telelavoro non prevede. Mettere insieme due diverse tipologie di lavoro a distanza rischia pertanto di confondere pericolosamente le acque, anche in relazione ai nuovi rischi che ne possano derivare.

A suo parere nella riorganizzazione lavorativa seguita alla pandemia qual è stata la reale proporzione, nella diffusione del lavoro a distanza, tra le nuove realtà di telelavoro o di lavoro agile?

Ing. Gaetano Fede: Non ci sono ancora dati governativi ufficiali dai quali possiamo attingere.

Al momento sui quotidiani si parla di circa 6 milioni di lavoratori a distanza (qualcuno continua a dire in smartworking e, come sopra detto, non è corretto), ma abbiamo potuto appurare, avendo rapporti giornalieri con enti pubblici, che in questi ambiti non si tratta quasi mai di lavoro agile ma semplicemente di telelavoro, modalità già presente da anni ma poco utilizzata.

Anche nel privato la condivisione di obiettivi tra lavoratori e azienda non viene spesso definita e ufficializzata. Senza dubbio la percentuale di lavoratori agili tra gli attuali 6 milioni è decisamente minoritaria.

Parlando di prevenzione il lavoro in smart working e in telelavoro hanno indubbiamente anche dei vantaggi rispetto al lavoro svolto nei classici ambienti lavorativi, ad esempio in termini di riduzione degli infortuni in itinere. Ci sono dati a questo proposito? Qual è il suo parere sulla diffusione del lavoro a distanza anche successivamente all’emergenza?

Ing. Gaetano Fede: I dati INAIL del 2020 non sono ancora ufficiali e pertanto non possiamo sapere se effettivamente gli infortuni in itinere sono diminuiti, ma ci aspettiamo sicuramente che la riduzione sia stata significativa. A tal proposito evidenziamo anche un minore impatto ambientale (diminuzione dell’inquinamento atmosferico) legato senza dubbio al lockdown scaturente dalla pandemia; tutti abbiamo notato negli ultimi 15 mesi un’aria più pulita e una maggiore visibilità! Se riducessimo gli spostamenti per un numero importante di lavoratori a distanza, sicuramente tale situazione sarebbe comunque costante nel tempo.

Il lavoro a distanza sarà certamente predominante nel prossimo futuro, come già prevedono le modalità di importanti aziende multinazionali, che lo alternano con giornate in presenza; solo così saranno più facilmente raggiungibili gli obiettivi condivisi e saranno più gestibili i rischi, sia in merito agli aspetti propriamente tecnici, sia per gli aspetti collegabili alle delicate tematiche della “socialità” e dello “stress lavoro correlato”.

Le linee di indirizzo sottolineano che la Legge n. 81/2017, benché relativamente recente, risente di “un approccio di vecchio stampo”. Quali sono a suo parere gli aspetti su cui il legislatore dovrebbe intervenire per rendere la norma più efficace?

Ing. Stefano Bergagnin: L’abbiamo definita “vecchio stampo” semplicemente perché riprende il principio risalente al primo recepimento con il D.Lgs. 626/94 della direttiva quadro europea sulla sicurezza, la 89/391/CEE, che prevedeva praticamente buona parte della responsabilità sulla valutazione dei rischi a carico del “datore di lavoro”. In merito al lavoro agile siamo decisamente ancora in queste condizioni, quando invece l’approccio dovrebbe essere diverso, anche per ragioni pratiche.

Facciamo un esempio: come può un datore di lavoro (anche se con la collaborazione del RSPP) effettuare una completa e approfondita valutazione dei rischi per il lavoratore che magari opera da casa sua? Non è senza dubbio sufficiente l’informativa di cui parla la Legge 81/2017; non è possibile effettuare una buona valutazione dei rischi basandosi semplicemente su un’informativa annuale come prevede la nostra norma. All’estero, in alcuni casi, la collaborazione del lavoratore stesso, tramite la trasmissione di dati specifici utili alla redazione del documento in merito alla valutazione dei rischi, è obbligatoria.

Il mondo sta cambiando repentinamente, la sede di lavoro non sarà più per molti la sede aziendale, c’è bisogno di un nuovo paradigma, di una maggiore collaborazione tra le parti per il bene, in primo luogo, del lavoratore.

Qual è il suo parere su quello che si è fatto, in questa fase di emergenza, per favorire, insieme alla diffusione del lavoro a distanza, anche un’adeguata tutela? Si poteva fare di più?

Ing. Stefano Bergagnin: E’ difficile dare un giudizio in merito: c’è chi ha agito bene e chi ha sottovalutato le possibili conseguenze. In alcuni grandi gruppi industriali c’è stata senza dubbio una collaborazione tra aziende e sindacati, si sono definiti obiettivi, condizioni di lavoro, approfondimenti e la conseguenza è stata la focalizzazione di problemi specifici che possono condizionare il lavoro a distanza.

Parallelamente, soprattutto nel pubblico e nelle aziende di piccole dimensioni, il problema non è stato affrontato, la condivisione tra azienda/ente e lavoratori è stata minima soprattutto in relazione all’improvviso diffondersi della pandemia e del necessario spostamento a distanza del lavoratore, senza neppure trattarne le conseguenze e, addirittura, confondendo e/o sovrapponendo telelavoro e smartworking.

Sono previsti, come è stato per le linee di indirizzo per gli spazi confinati, futuri aggiornamenti? Quali sono i prossimi progetti su cui lavorerà il CNI in materia di smart working?

Ing. Stefano Bergagnin: Senza dubbio ci sarà un futuro aggiornamento perché siamo in piena evoluzione. Ci aspettiamo in primo luogo un aggiornamento della normativa e un approfondimento da parte del legislatore ma nel frattempo noi del GdL e dello specifico GTT sullo smartworking continueremo a studiare l’evoluzione tecnologica legata al lavoro agile e la gestione dei rischi ad esso collegati. Non è escluso un sondaggio, tra i nostri iscritti esperti nel settore, al fine di raccogliere importanti e dettagliati contributi/criticità dai vari territori del nostro Paese.

Link all’articolo originale di PuntoSicuro “Smart working e lavoro a distanza: criticità, vantaggi e prospettive future”

Intervista di Tiziano Menduto