Indagine competenze Stato/Regioni 11: la riforma cosa cambierà?

Ci avviciniamo lentamente al referendum che dovrà decidere la sorte, abbastanza incerta, della riforma costituzionale.

Ricordo che nella riforma è prevista la modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione, all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto. E tra le materie che potrebbero tornare allo Stato, come competenza normativa esclusiva, ci sono anche le competenze relative alla “tutela e sicurezza del lavoro”.

Con questo blog, in questi anni, non ho svolto una vera e propria inchiesta sul tema della riforma costituzionale, ma ho proposto vari approfondimenti per raccontare le opinioni, l’iter, i tempi, gli obiettivi. Ho cercato di migliorare l’informazione, specialmente, ma non solamente, con riferimento a quanto da me pubblicato sul quotidiano online PuntoSicuro.

E su PuntoSicuro è “andata in scena” nei giorni scorsi una mia intervista realizzata in ottobre ad Ambiente Lavoro a Bologna al dirigente della Regione Toscana Marco Masi.

Marco Masi, che partecipava come relatore all’incontro “Cambia la Costituzione: problemi e prospettive per la sicurezza sul lavoro”, ha una grande esperienza, dal punto di vista regionale, sui vantaggi e limiti del ruolo che le Regioni hanno avuto, anche in ambito normativo, in materia di sicurezza e salute.

Volevo conoscere – dopo le tante interviste fatte a rappresentanti del Ministero del Lavoro – non solo la sua opinione sull’eventuale ritorno alla competenza esclusiva dello Stato, ma anche – laddove l’esito del referendum fosse positivo – cosa cambierebbe in Italia nella tutela di lavoratori e lavoratrici.

E la sua risposta, malgrado alcune domande “provocatorie”, è chiara: a breve non cambierà molto perché comunque con la Riforma Sanitaria (Legge 23 dicembre 1978, n. 833) le Regioni si sono presi carico del ‘cittadino che lavora, e come tale è creditore di attenzione ed entra nella tutela del sistema sanitario’.

Tuttavia nessuno può comprendere oggi cosa cambierà invece a lungo termine. Dipende da quali norme future saranno varate e da quali saranno le intenzioni dei prossimi governi, perché, ad esempio, uno dei temi che potrebbe essere toccato – e non lo è oggi con la riforma – è quello delle competenze ispettive.

 

Buona visione dell’intervista (o buona lettura della trascrizione parziale) che è stata pubblicata con l’articolo “Sicurezza sul lavoro: cambierà qualcosa con la riforma costituzionale?” nel numero del 9 novembre 2016 di PuntoSicuro.

 

Tiziano Menduto

 

 


 

 

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

 

(…)

 

Qual è la sua opinione sul fatto che le Regioni potrebbero non avere più la competenza normativa in materia di salute e sicurezza?

Marco Masi: (…) “Il Titolo I del decreto 81 in realtà affronta i temi del confronto Stato-Regioni e consegna un sistema complessivo della prevenzione sul lavoro italiana. Siamo nel 2008. Nel 2001 entra la modifica costituzionale, che lei ha richiamato, e che dà alle Regioni normazione concorrente. Ma il decreto 81 è una norma che definisce con chiarezza quali sono gli istituti in cui questi due soggetti – e tutte le componenti sociali interessate al grande tema della prevenzione – possono trovare sintesi ed elaborare, attraverso linee guida o buone prassi, quelli che sono il concetto delle soft law, della normativa secondaria, per poter meglio applicare norme generali previste dall’81. Quindi un modo anche moderno di affrontare la normativa sul lavoro.

Spesso tuttavia la materia concorrente è stata considerata piuttosto antagonista, competitiva. Ma non ci può essere competizione tra istituzioni sui grandi temi sociali, come la sicurezza e salute sul lavoro. La materia concorrente permette alle regioni di applicare meglio le norme generali previste dal decreto 81. E a volte questo può non servire se la norma generale è fatta bene.

E quindi insisto, ne abbiamo discusso proprio oggi, l’81 contiene, per esempio nella Commissione consultiva permanente, il modo di rapportarsi tra le componenti: i ministeri, le parti sociali, le regioni e le province autonome”.

 

Certo che una buona collaborazione tra Stato e Regioni può dare ottimi risultati. Ma l’eventuale passaggio delle competenze normative in modo esclusivo allo Stato, non potrebbe rendere ancora più efficace il raggiungimento degli obiettivi e dei principi del decreto 81?

M.M.: “Uno dei principi che definisce il decreto 81 (…) indica che la salute e sicurezza non è del lavoro dipendente. Non è del lavoro dipendente nella grande o piccola impresa. La salute e sicurezza è dell’individuo che lavora, a prescindere dal contratto, a prescindere dalla differenza di genere. (…) Anche uno studente è lavoratore in un’attività di laboratorio, anche un volontario, nel prestare la sua importante opera, è un lavoratore e quindi un creditore di attenzione in termini di prevenzione salute e sicurezza. L’81 ha affermato questo principio sovrano. È un principio che deve essere un faro per orientare tutti noi verso una normativa efficace. Una normativa che segue l’evoluzione del mondo del lavoro,.. Ecco perché parlavo delle linee guida e le soft law. Queste le possono emanare le Regioni insieme al Ministero con la collaborazione delle componenti sociali e dell’Inail che gioca un ruolo fondamentale, anche per rendere effettivamente agibile il Sistema Informativo nazionale per la prevenzione”. (…)

 

Lei ha toccato il tema del sistema informativo nazionale, del SINP, che è uno dei più chiari esempi di grandi ritardi normativi in materia di sicurezza. Lei non crede che un riparto diverso delle competenze velocizzerebbe la normazione?

M.M.: “Il problema della tempistica è vero, è reale e concreto. Noi dobbiamo dare quanto più possibile risposte certe, chiare e soprattutto in tempi compatibili a un’evoluzione del mondo del lavoro sempre più frenetica. E non è indubbio che cicli produttivi che si segmentano, ricorso sempre più spinto all’esternalizzazione, l’introduzione di nuovi contratti di lavoro, impongono a tutto il sistema di dare risposte in tempi veloci. E quindi lei ha ragione.

Questo sistema, in effetti, ha determinato dei ritardi.

Vorrei però sottolineare che ha anche permesso di garantire un plurimo apporto di competenze specialistiche: medici del lavoro, ingegneri, biologi, chimici, tutte le figure professionali che hanno contribuito coralmente a identificare delle norme utili per il mondo del lavoro.

Non mi pare il momento di parlare di materia concorrente. Mi piace pensare che il Decreto Legislativo 81 sia e rimanga, ovviamente migliorabile, l’elemento di confronto nel titolo I tra i soggetti tutti. Non ci dimentichiamo che anche il mondo delle imprese, gli stessi lavoratori, con la figura fondamentale del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, possono apportare il loro contributo.

Facciamo un esempio su tutti. Mi piace ricorda l’esperienza tra Toscana ed Emilia Romagna che abbiamo avuto nella realizzazione dell’Alta Velocità/Alta Capacità tra Firenze e Bologna. Abbiamo adottato nuovi sistemi di prevenzione, abbiamo emanato linee guida. Grazie all’apporto delle imprese, grazie all’apporto dei lavoratori…”.

 

Secondo lei la possibilità di avere una prevenzione che tenga conto di specificità locali e regionali può rendere più efficace una strategia di prevenzione…

M.M.: “Lo ritengo l’elemento strategico. E questo elemento – voglio esser chiaro – c’era prima, quando la materia era in capo esclusivo al Ministero e c’è ora quando è concorrente.

Le Regioni devono riprendere il loro ruolo di prevenzione non disgiunto dalla prevenzione collettiva. Un lavoratore cittadino che si fa male, impatta sul sistema sanitario nazionale e regionale. Quindi la prevenzione di un lavoratore non è disgiunta dalla prevenzione di un cittadino (…)”.

 

Le ricordo tuttavia, a titolo esemplificativo, cosa ha fatto a livello normativo la Regione Toscana in materia di cadute dall’alto e di uso delle linee vita. È normale, è giusto che su aspetti così rilevanti si abbiano tra le Regioni differenze normative evidenti in materia di sicurezza? Che ci siano Regioni che considerino alcuni rischi così elevati da necessitare di una regolazione specifica e altre no?

M.M.: “Bella provocazione.

Innanzitutto diciamo che la Regione Toscana ha utilizzato una norma urbanistica, edilizia per rafforzare i principi previsti dall’81. Eravamo coscienti, ma non solo in Toscana, che l’edilizia era uno dei principali settori a rischio, se non il principale. E purtroppo la caduta dall’alto era la causa dei principali infortuni gravi e mortali nell’edilizia. Non abbiamo portato normativa in più o in meno. Abbiamo posto in essere, come dire, una prassi. Abbiamo chiesto che gli edifici nuovi, e solo quelli, fossero dotati di sistemi anticaduta. (…)

Non intaccavamo, e non dobbiamo farlo, i principi generali dell’81.

Per questo io dico che se l’81 rimane nella sua concezione, è già l’81 un ecosistema tra Stato Regioni con cui migliorare la normativa, renderla effettivamente più efficace e soprattutto individuare quale sono le azioni di prevenzione nei settori maggiormente a rischio”.

 

Concludiamo riprendendo qualche spunto dal convegno in cui era relatore. Cambierà qualcosa per gli operatori, per le aziende, laddove le competenze passassero in modo esclusivo allo Stato?

M.M.: La legge 833 (riforma sanitaria, ndr) c’è. Non si tratta di passare competenze allo Stato. La riforma costituzionale dice di togliere la concorrenza normativa, che comunque, insisto, è una normativa di dettaglio, che non può intaccare i principi della norma, in questo caso dell’81. Ci tengo a questa precisazione…

Le Regioni e le Province Autonome possono ugualmente e con efficacia attuare quelli che sono i principi dell’833: garantire azioni di prevenzione verso il cittadino lavoratore, piani mirati di prevenzione, analisi degli eventi infortunistici, analisi epidemiologiche, particolare attenzione alle malattie professionali, (…) . Nessuno impedisce alle Regioni e alle Province Autonome di continuare a fare il loro lavoro”.

 


 

 

Link all’articolo originale di PuntoSicuro…

Indagine competenze Stato/Regioni 3: lasciare le competenze alle regioni?

Sempre con riferimento all’indagine/reportage – lanciata in un mio precedente post – sulle possibili (probabili) modifiche alla nostra Costituzione relative alle competenze in materia di “tutela e sicurezza sul lavoro”, vediamo oggi di dare uno sguardo breve a qualche opinione controcorrente. Almeno controcorrente rispetto all’idea – che sembra prevalente tra i vari interlocutori contattati in questi mesi – che il passaggio delle competenze allo Stato possa essere un passaggio magari difficile ma efficace alla causa della prevenzione.

E’ un opinione datata, risale al 2012 quando ancora si parla solo di richiesta della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle morti bianche di tornare a collocare la materia della tutela della salute e sicurezza sul lavoro tra quelle di esclusiva competenza legislativa dello Stato. Il disegno di legge costituzionale è ancora ai primordi e non c’è stato il voto positivo in Senato.

E’ un’opinione che è espressa tramite un contributo pubblicato sul quotidiano online PuntoSicuro il 5 luglio 2012 e su Ambiente & Sicurezza de Il Sole24ORE. Opinione che non è espressa da una persona qualsiasi, ma da una delle sindacaliste italiane che in questi anni si sono più occupate di sicurezza e più hanno dato battaglia per preservare i principi del Testo Unico (D.Lgs. 81/2008)…

E’ un’opinione che, come leggerete, è differente da quanto scritto dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro. Viene difeso il sistema attuale di competenze con particolare riferimento al tema della vigilanza.
Cinzia Frascheri indica che “proporre di modificare un sistema che, tra luci ed ombre, opera non solo da più di trent’anni, ma che garantisce (…) un numero di controlli in azienda, sul livello nazionale, di circa 160.000 unità produttive l’anno (…) è quanto mai di assoluta debolezza, non avendo alcun tipo di riscontro diverso, supportato da dati concreti, sulla maggior efficacia di un sistema alternativo(…)”.

Vi ripropongo di seguito il suo contributo in modo che possiate leggerlo interamente.

Ma non basta.
Vi invito a leggere – per avere un quadro sempre più precisi dei conflitti e delle divergenze di opinione sul tema – anche i commenti che i lettori di PuntoSicuro (spesso non semplici appassionati del tema, ma professionisti della sicurezza a vari livelli…) hanno lasciato a margine del contributo di Frascheri. Commenti che ci permettono di comprendere – qualcuno si ricorda ancora le domande che avevo posto nel post di lancio dell’indagine? – come tra le righe delle dispute più o meno teoretiche sulle competenze Stato/Regioni ci sia in realtà molto di più…
Ma di questo ne parleremo più avanti…

Link per arrivare all’articolo + commenti su PuntoSicuro…

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L’intervento su PuntoSicuro di Cinzia Frascheri, Responsabile nazionale CISL per la salute e sicurezza sul lavoro:

 
E’ di questi tempi la riproposizione, da parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle morti bianche, di tornare a collocare la materia della tutela della salute e sicurezza sul lavoro tra quelle di esclusiva competenza legislativa dello Stato.
La proposta di modifica dell’art.117 della Cost., depositata al Senato nella forma di disegno di legge costituzionale, prevede difatti una semplice modifica – dai riflessi, di contro, tutt’altro che semplici – da operare al secondo comma dell’articolo [1], relativo all’elenco delle materie regolate dalla legislazione esclusiva dello Stato, al quale verrebbe aggiunta la materia della «tutela e sicurezza del lavoro», eliminandola invece dal terzo comma – nel quale oggi è inserita – e quindi dall’elenco delle materie soggette al regime di competenza della legislazione concorrente tra Stato e Regioni [2].

La proposta non è nuova, nel suo contenuto, tenuto conto che già alcuni anni fa prese corpo, ma la sua riformulazione è di estrema attualità, ancor più alla luce dell’iniziativa seminariale [3] che, a corredo della proposta, è stata organizzata in data 25 giugno u.s., proprio presso il Senato, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, a partire dal Presidente della Repubblica, e i ministri competenti [4] ed i principali attori nazionali della prevenzione, tra cui le Parti sociali.
Al centro della questione, di carattere squisitamente politico, ma argomentata con ragioni di natura più tecnica, è la funzione della vigilanza sui luoghi di lavoro, in tema di tutela della prevenzione e controllo sullo stato di salute dei lavoratori, svolta ad oggi, nella sua quasi totalità degli interventi, dalle ASL (Azienda Sanitaria Locale) [5], e quindi da personale ispettivo incardinato nel sistema regionale, funzione precedentemente svolta invece dal solo personale dipendente direttamente dall’Ispettorato del lavoro [6], e quindi dal Ministero del Lavoro, nelle sue articolazioni territoriali.
Non sempre la storia ha qualcosa da insegnare, ma senza dubbio il valore aggiunto che l’esperienza porta con sé, è un bagaglio che non si può trascurare. E’ per questo che un analisi adeguata di quanto è stato fatto (non di certo, di quanto diversamente si avrebbe potuto fare, ma di sicuro di quanto ancora si può fare) non può essere realizzata se non si richiamano alla memoria le tappe fondamentali che hanno determinato un cammino che ad oggi raggiunge i quasi trentacinque anni di attività.
Frutto di un cambiamento epocale avvenuto nel 1978, mediante la Legge di riforma sanitaria n.833, la vigilanza sui luoghi di lavoro (ma non solo, visto che nell’articolato di riferimento di faceva richiamo a tutta l’attività relativa alla prevenzione), venne passata alla competenza delle Regioni, in totale coerenza con la complessiva gestione di tutta la materia della salute attribuita al livello regionale.
Nel 2001, con la Legge costituzionale n.3, all’interno di una ampia riforma che andò ad attribuire alle Regioni competenza legislativa concorrente su molte materie, anche la tutela della salute e sicurezza sul lavoro passò a tale regime, trovando piena coerenza con il già consolidato sistema degli organi di vigilanza incardinati a livello regionale (nelle USL, poi divenute ASL) che, con la riforma del 1978, e il pieno consolidamento nella funzione, da parte del dlgs 626/94 (mediante l’art.23 [7]), svolgevano da tempo una funzione fondamentale sul territorio. Funzione confermata pienamente dalla vigente legislazione di riforma, il dlgs 81/08 s.m. (con l’art.13 [8]), quale attuazione della Legge delega n.123/07, e a totale rispetto dei principi comunitari (introdotti dalla storica direttiva quadro 89/391) e, comunque, già consolidata e rafforzata dall’introduzione del coordinamento, tra i diversi attori della vigilanza sul territorio, previsto dalle disposizioni contenute nel DPCM del 21 dicembre 2007 [9] che, pur giungendo in ritardo (alla luce di quanto già disposto dall’art.27 del dlgs 626/94), rappresenta ancora oggi il cardine sul quale ha preso l’avvio il complessivo sistema a rete, delineato poi dal dlgs 81/08 s.m., e concretizzato attraverso il Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro (art.5 [10]) e le sue articolazioni sul territorio, i Comitati Regionali di Coordinamento (art.7).

Un anno importante il 2007, nel quale venne anche varato – pochi giorni prima del DPCM del 21 dicembre – un medesimo DPCM (datato 17 dicembre 2007 [11]), denominato Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro, con il quale, per la prima volta, il Ministero della Salute non solo confermava il pieno impegno nei riguardi dell’attività di prevenzione e vigilanza sui luoghi di lavoro, in tema di salute e sicurezza, ma riferendosi al «cittadino che lavora, quale portatore di diritti» [12], introduceva tra le prestazioni essenziali da garantire (da parte di tutte le Regioni) dei parametri qualitativi minimi (i Livelli Essenziali di Assistenza – LEA) anche per quanto riguarda la vigilanza sui luoghi di lavoro, richiamando le Regioni a stendere propri Piani di attività, coerenti con il Piano nazionale della prevenzione che, da quel momento, sarebbe stato elaborato a cadenza biennale [13].

E’ sui dati che oggi ci giungono da questo articolato sistema a rete che, se da un lato è facile poter riscontrare mancanze (soprattutto sul livello del perfetto coordinamento) ed obiettivi ancora da raggiungere, dall’altro risulta quanto mai fragile poter argomentare in modo critico non potendo, di contro, da parte di chi attacca il sistema, presentare dati di altrettanta significativa e cospicua attività (a partire da quella di vigilanza) svolta sul territorio in modo puntuale e specifico.
Proporre di modificare un sistema che, tra luci ed ombre, opera non solo da più di trent’anni, ma che garantisce (con la ristrettezza delle risorse economiche ad oggi disponibili per la sanità, complessivamente intesa) un numero di controlli in azienda, sul livello nazionale, di circa 160.000 unità produttive l’anno [14] (pari ad una media superiore alla soglia del 5% [15] sul numero complessivo delle aziende italiane – soglia minima prevista – con punte, in alcune Regioni, anche del 15%), è quanto mai di assoluta debolezza, non avendo alcun tipo di riscontro diverso, supportato da dati concreti, sulla maggior efficacia di un sistema alternativo (in specifico, svolto da ispettori del lavoro che,attualmente rappresentano numericamente circa ¼ degli organi di vigilanza incardinati nelle ASL, sull’intero territorio nazionale, che complessivamente sono circa 4700 operatori, di cui quasi 2800 nel ruolo di Ufficiali di Polizia Giudiziaria).
E’ senz’altro vero che l’aver imposto al sistema della vigilanza da parte delle ASL, un parametro minimo annuale di visite di controllo da realizzare, non è il miglior mezzo per poter garantire una copertura adeguata, basata sull’efficacia [16], delle verifiche in azienda, ed al contempo forma di garanzia di un’uniformità di interventi su tutto il territorio nazionale, ma non diversamente tale parametro può essere considerato totalmente inadeguato al fine di offrire una base certa di interventi mirati nelle aziende, allo scopo di verificare il rispetto dei precetti normativi di tema di prevenzione.
Se il numero degli infortuni mortali nel nostro Paese è ancora assolutamente inaccettabile – in una sola settimana, del mese di giugno, sono morti per cause lavorative, 19 persone – e, con questo, il numero degli infortuni gravi (che raggiunge circa 800.000 casi l’anno [17]) e le malattie professionali, in costante crescita [18], a partire dalle patologie muscolo-scheletriche, non per questo si può giungere ad una troppo facile (e di certo insostenibile) assoluta attribuzione di responsabilità alle carenze del sistema di controllo e vigilanza sul territorio, garantito dal sistema regionale, a favore di un diverso modello, a direzione accentrata nazionale.
E’ importante, difatti, non trascurare che intorno all’attività di controllo e vigilanza sul rispetto degli obblighi normativi collegati strettamente al processo di valutazione del rischio, altre sono le attività che devono essere garantite, sia sul piano del supporto e assistenza alle realtà aziendali, sia per gli ulteriori aspetti soggetti ai controlli che richiedono, non solo le ordinarie competenze di natura amministrativo-tecnica, ma anche quelle di area medica [19] ed organizzativo-gestionale (visto il numero in crescita delle aziende che si dotano di Sistemi di Gestione per la Salute e Sicurezza sul Lavoro – SGSL – e Modelli di Organizzazione e Gestione – MOG [20]).
A tale riguardo, se rilevanti ed urgenti piani di intervento senz’altro devono essere attuati (sull’esempio dei due Patti varati dal sistema delle Regioni, come quello per l’agricoltura e quello per l’edilizia), l’azione che necessita deve essere realizzata agendo su fronti diversi ed operando, non solo su di un piano di inasprimento e frequenza dei controlli (tenuto conto che mai si potrà pensare di giungere a controllare costantemente tutte le aziende del territorio italiano, vista la frammentazione e la ridotta dimensionalità), ma soprattutto sul livello della crescita del senso di responsabilità, della conoscenza specifica e della percezione diffusa del rischio, da parte di tutti gli attori aziendali della prevenzione (a partire dal datore di lavoro fino a scendere ai lavoratori/trici, passando dalle figure intermedie di fondamentale importanza, quali i preposti).
Il contributo fondamentale che oggi la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro può, non solo dare, ma garantire, in modo costante e puntuale, non è quello di proporre percorsi nuovi e sistemi di intervento alternativi che mortificano le esperienze e il bagaglio del passato, per guardare ad un incerto e indefinito futuro, ma quello di promuovere il consolidamento di una chiara politica nazionale di prevenzione, fino ad oggi assente. Una politica che, basandosi sull’incrocio dei dati [21] possa delineare gli obiettivi certi di intervento e le azioni prioritarie (da cadenzare nel tempo), potendo contare sul contributo e la collaborazione fattiva dei diversi soggetti impegnati sul territorio, a partire dal sistema delle Regioni (consolidando la sinergia ed il confronto sia politico che tecnico, tra queste, rafforzando gli organici dei servizi di prevenzione e vigilanza e moltiplicando i momenti formativi e di aggiornamento per gli stessi operatori). Ma potendo anche contare sulla collaborazione tra soggetti istituzionali (potenziando ed intensificando l’attività dei diversi Comitati e Coordinamenti, ai sensi degli artt.5 e 7, del dlgs 81/08 s.m.), e sull’azione ramificata sul territorio garantita dalle Parti sociali, operata mediante gli organismi paritetici e l’attività diretta dei rappresentati dei lavoratori per la sicurezza (aziendali e territoriali). Anche la definizione del sistema di qualificazione delle imprese (basato sulla premialità, ma anche sulla previsione di parametri minimi necessari di garanzia di tutela dei lavoratori) potrà, quando varato, andare a contribuire in modo fattivo, sia ad un innalzamento del livello generale di prevenzione da parte delle imprese, sia soprattutto un criterio uniforme di rispetto delle regole, come già ad oggi sta iniziando a determinarsi per il mondo delle aziende impegnate in lavori in ambienti confinati o a sospetto rischio di inquinamento [22].
Se tutto questo si realizzerà, portando a sistema un assetto perfettamente delineato dal decreto di riforma legislativa del 2008, alcuna modifica sarà necessaria sul livello legislativo, ed ancor più costituzionale, per poter realisticamente auspicare, ma non meno definitivamente raggiungere, non solo una riduzione drastica degli eventi di danno e di disagio, in ambito lavorativo, ma una condizione diffusa di miglioramento continuo in un quadro di crescita e sviluppo sostenibile, ponendo la persona che lavora al centro, di un sistema articolato di tutele.

Cinzia Frascheri
Giuslavorista
Responsabile nazionale CISL per la salute e sicurezza sul lavoro

(Contributo pubblicato su Ambiente & Sicurezza de Il Sole24ORE)
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[1]La modifica prevista consisterebbe nell’aggiungere, nell’ambito dell’elenco presente al secondo comma, dell’art.117 Cost., dopo la lettera o), la lettera «o-bis», con il seguente testo «tutela e sicurezza del lavoro», eliminando, al contempo, al terzo comma, le seguenti parole «tutela e sicurezza del lavoro». Se per il commento sulla modifica al testo costituzionale, si rimanda alla lettura di questo contributo, in questa nota si richiama brevemente l’attenzione alla preposizione «del» anziché la più puntuale “sul”, utilizzata tra le parole «sicurezza» e «lavoro», nel testo della proposta di modifica, tale da ingenerare, da un lato una considerazione di errore sulla tematica, spostando dalla materia relativa alla salute e sicurezza, al tema della certezza (o meno) di un posto di lavoro, dall’altro (interpretazione più ampiamente sostenuta) quella di volere, in forma sintetica, ricomprendere entrambe le aree, sia della tutela prevenzionale che dell’occupazione

[2]A tale riguardo occorre comunque ricordare che tra le materie, ad oggi, di esclusiva competenza dello Stato che hanno una diretta correlazione con il tema della salute e sicurezza sul lavoro troviamo: riflessi che la disciplina della materia in oggetto può determinare sulla concorrenza fra le imprese (art.117 Cost., comma 2, lett.e); l’ordinamento civile e penale (art.117 Cost., comma 2, lett.l) e la garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale (art.117 Cost., comma 2, lett.m).

[3]Il Seminario a cui si fa riferimento è quello che è stato organizzato dalla Commissione d’inchiesta, presso il Senato della Repubblica, per il giorno 25 giugno c.a., dal titolo «Giornata nazionale di studio sulla salute e sulla sicurezza sul lavoro».

[4]A fronte di una presenza silente e di breve tempo del Presidente Napolitano – che si è limitato a scambiare qualche minima battuta sul tema con i giornalisti fuori dell’aula dove si teneva la Giornata di studio – il ministro Elsa Fornero, nel suo intervento, oltre a parlare del tema della qualificazione delle imprese, quale strumento urgente e necessario, ha focalizzando su quattro azioni strategiche l’impegno del Governo sulla sicurezza sul lavoro, evidenziando il grande valore dei provvedimenti varati dalla Commissione consultiva. Partendo dalle buone norme (che ha precisato, devono sempre tradursi in buoni comportamenti) ha aggiunto, i controlli severi, l’informazione e gli investimenti.

[5] A tale riguardo si rimanda al comma 2, dell’art.13, del dlgs 81/08 s.m., nel quale vengono elencate le sole attività sulle quali è prevista l’attività di vigilanza svolta da personale ispettivo del Ministero del Lavoro.

[6]Cfr. art.398, del DPR 547 del 1955.

[7]All’art.23, comma 1, del dlgs. 626/94, si legge: «La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio…».

[8]All’art.13, comma 1, del dlgs. 81/08 s.m., si legge: «La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro è svolta dalla azienda sanitaria locale competente per territorio…».

[9]All’art.1, comma 1, del DPCM del 21 dicembre 2007 (G.U. n.31 del 6.2.2008), si legge: «I Comitati regionali di coordinamento, d’ora in poi Comitati, istituiti presso ogni regione e provincia autonoma ai sensi dell’art. 27 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n.626, svolgono i propri compiti di programmazione e di indirizzo delle attività di prevenzione e vigilanza nel rispetto delle indicazioni e dei criteri formulati a livello nazionale dai ministeri della Salute e del Lavoro e della previdenza sociale e dalle Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano al fine di individuare i settori e le priorità d’intervento delle attività di prevenzione e vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro».

[10]Le principali funzioni del Comitato (art.5, comma 3, del dlgs. 81/08 s.m.), al fine di garantire l’attuazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni si possono riassumere in tre punti: 1) stabilire le linee comuni delle politiche nazionali in tema di salute e sicurezza sul lavoro; 2) individuare obiettivi e programmi dell’azione pubblica di miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori; 3) definire la programmazione annuale in ordine ai settori prioritari di intervento dell’azione di vigilanza, i piani di attività e i progetti operativi a livello nazionale e programmare il coordinamento della vigilanza a livello nazionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Va detto che ad oggi l’attività del Comitato non è ancora strutturalmente partita, determinando un vuoto significativo nell’azione di coordinamento e gestione dei soggetti componenti.

[11]DPCM del 17 dicembre 2007 (G.U. n.3 del 4.1.2008) dal titolo «Esecuzione dell’accordo del 1°agosto 2007, recante Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro».

[12]Cfr. Punto 2, delle Premesse del DPCM del 17 dicembre 2007 (G.U. n.3 del 4.1.2008) dal titolo «Esecuzione dell’accordo del 1°agosto 2007, recante Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro».

[13]Il primo Piano nazionale della prevenzione ha riguardato il biennio 2005-2007. Attualmente è in vigore il Piano nazionale della prevenzione 2010-2012.

[14]Sulla base dell’ultimo Rapporto a cura della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome (11/123/CR7c/C7), datato 2010, il dato preciso complessivo che viene riferito in merito al totale delle aziende oggetto di vigilanza è pari a 162.525 unità produttive.

[15]Nel Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro (DPCM 17.12.2007) venne fissato un limite minimo percentuale (del 5%) di controlli sul numero complessivo delle aziende, da parte degli organi di vigilanza delle ASL, che ogni Regione avrebbe dovuto garantire. Sono poche le Regioni che ancora non sono riuscite a rispettare tale soglia minima, mentre sono in crescita quelle che l’hanno ampiamente superata. La percentuale media nazionale, ad oggi, si attesta su di una soglia pari al 6.6% di controlli sul numero complessivo delle aziende.

[16]Il sistema introdotto dei LEA anche sui temi ella salute e sicurezza sul lavoro si presta a spingere il sistema delle ASL a livello regionale, attraverso i propri ispettori, a velocizzare gli interventi di verifica nelle aziende per poter compiere, nei tempi più brevi, in più alto numero di controlli effettuati negli ambienti di lavoro, al fine di raggiungere la soglia minima annuale di verifiche richieste dal ministero della salute (soglia minima del 5%).

[17]Dal Rapporto del 2010 (vd. nota n.8), il dato che emerge è di 775.374 casi di infortunio grave, a fronte di 980 casi di decesso per causa lavorativa. Significativo a tale riguardo l’apporto fornito dal sistema INFOR.MO. che consiste nella sorveglianza degli infortuni mortali sul lavoro, avviato nel 2002, tra Regioni, INAIL e ISPESL (istituto oggi confluito nell’INAIL), allo scopo di monitorare gli accadimenti rilevati sulla base delle indagini effettuate al momento degli eventi da parte dei tecnici della prevenzione delle ASL.

[18]Dal Rapporto del 2010 (vd. nota n.8), il dato relativo alle denunce presentate di malattia professionale è di 42.347. Significativo in tal senso l’apporto dei dati forniti dal sistema MAL.PROF. che costituisce una banca dati fondamentale alimentata dalle denuncie di malattia professionale, dai referti pervenuti ai Servizi di prevenzione delle ASL, dalle notifiche di patologia professionale acquisiti tramite ricerca condotta nei reparti ospedalieri.

[19]E’ rilevante (seppur da intensificare) l’attività che viene svolta in merito ai controlli in azienda relativi all’obbligo di avere un protocollo sanitario e le correlate cartelle sanitarie (in caso di presenza di lavoratori soggetti a regime di sorveglianza sanitaria), così come l’attività relativa alle procedure per ricorso avverso al giudizio del medico competente, e le visite mediche (di idoneità o per casi specifici di assunzione) effettuate presso i servizi di prevenzione delle ASL.

[20]Ai sensi dell’art.30, del dlgs 81/08 s.m..

[21] Un’importante contributo potrà venire dall’istituzione del SINP (Sistema Informativo per la Prevenzione – art.8, dlgs. 81/08 s.m.) che potrà fornire, una volta a regime, dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l’utilizzo integrato delle informazioni disponibili. Significativi i componenti del SINP, tra i quali troviamo, oltre ai ministeri della Salute e del Lavoro, le Regioni e l’INAIL, il contributo degli organismi paritetici e degli istituti di settore a carattere scientifico, ivi compresi quelli che si occupano della salute delle donne.

[22]Cfr. DPR n. 177 , del 14 settembre 2011, dal titolo “Regolamento recante norme per la qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti, a norma dell’articolo 6, comma 8, lettera g), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81” (GU n. 260 del 8-11-2011).

Indagine competenze Stato/Regioni: il pensiero pragmatico delle associazioni

In un precedente post ho presentato le possibili modifiche alla nostra Costituzione relative alle competenze in materia di “tutela e sicurezza sul lavoro” e indicato alcune domande che è necessario porsi. Ora non rimane che incamminarci nel faticoso ma necessario percorso d’indagine per raccogliere qualche risposta.

Innanzitutto vorrei pubblicare alcuni contributi, pareri e interviste pubblicate in questi mesi sul quotidiano online PuntoSicuro: permettono di dare un fugace sguardo alle opinioni, di comprendere i possibili futuri schieramenti.

Il primo parere che vorrei presentare non è quello di un politico, di un amministratore o di un esponente delle parti sociali, ma più semplicemente di un rappresentante di un’associazione che da anni si occupa di sicurezza. E avendo visto passare spesso sotto i ponti miriadi di leggi, delibere, circolari, chiarimenti e proroghe senza una reale efficacia per il miglioramento reale della prevenzione in Italia, del problema delle competenze non ne fa un problema di principio. Lo guarda come un possibile spunto nuovo per meglio incidere sul numero ancora troppo alto di infortuni e malattie professionali.

Sto parlando dell’intervento di Rocco Vitale, presidente di AiFOS, intitolato “Approvate le modifiche al Titolo V della Costituzione” e pubblicato sul numero dell’11 agosto 2014 di PuntoSicuro.

 

Roma, 8 agosto 2014. Il Senato ha approvato importanti modifiche al Titolo V della seconda parte della Costituzione e in particolare all’art. 117, dove è stata prevista la competenza esclusiva dello Stato per la materia della salute e la sicurezza sul lavoro.

L’iter di revisione costituzionale è solo agli inizi e deve procedere con le successive approvazioni di Camera e Senato e, molto probabilmente, si svolgerà un referendum.

Ciò non toglie l’importanza di quanto è avvenuto, poiché si tratta pur sempre di un atto legislativo che inciderà, fin d’ora, profondamente sulla normativa del settore della prevenzione della salute e sicurezza.

Di fatto è stato completamente modificato il secondo comma dell’art. 117 nella dizione: “lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie e funzioni” ed alla lettera m) sono aggiunte le “norme generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e sicurezza sul lavoro”.

Allo stesso tempo è stato abrogato l’attuale comma 3, cancellando le ” materie di legislazione concorrente”. Tutta la problematica rientra nell’esclusiva competenza dello Stato e viene tolta alle Regioni la cosiddetta legislazione concorrente e, pertanto, non potranno più emettere provvedimenti, di qualsiasi natura, nel campo della salute e sicurezza.

Per gli addetti ai lavori non si tratta di una sorpresa, ma di una conferma che già la relazione finale della ” Commissione Tofani” (Commissione parlamentare di inchiesta sulle morti bianche) aveva considerato evidenziandone la grande confusione venutasi a creare da parte delle Regioni nell’applicazione della legislazione concorrente.

Le Regioni, del resto, hanno fatto di tutto in questi anni per concorrere a creare questo sistema. Dopo gli Accordi Stato-Regioni, che con luci ed ombre hanno fissato regole e principi condivisi, si è assistito ad una proliferazione di leggi, decreti, delibere, regolamenti differenti da Regione a Regione. Una vera e propria raccolta di testi e norme difformi fra loro che poco o nulla hanno a che vedere con l’autonomia regionale.

Non sorprende, quindi, che a fronte dei circa 8.000 emendamenti presentati al disegno di legge del Governo di modifica del Titolo V della Costituzione non ve ne sia stato nemmeno uno che chiedeva la conferma della “legislazione concorrente”.

Potremmo dire che, al di là dell’esito delle singole votazioni, vi sia stata una unanimità totale nel voler ricondurre allo Stato la materia di salute e sicurezza sul lavoro togliendola alle Regioni. Anzi, bisogna sottolineare come alla salute e sicurezza sul lavoro sia stata aggiunta la sicurezza alimentare ambito nel quale abbiamo, tutt’ora, ben venti legislazioni differenti riconducibili ad ogni singola regione.

Che cosa rappresenta e cosa significa il recente voto del Senato? Agli effetti pratici ed immediati non cambia nulla perché, come detto, siamo all’inizio dell’iter di una modifica costituzionale che deve seguire il suo corso (se tutto procederà senza intoppi, gli esperti dicono che si potrà arrivare a fine 2015 o nel primo semestre del 2016).

Non deve però passare sotto silenzio il valore politico e culturale di tale provvedimento.

Primo perché si tratta di un atto che esprime chiaramente la volontà del Legislatore e secondo perché il tempo che ci separa alla sua applicazione totale deve essere usato e ben speso per affrontare la nuova situazione che non vedrà più né norme regionali, né nuovi Accordi Stato-Regioni.

Le Regioni possono utilizzare bene questo tempo per dare un contributo di chiarezza e responsabilità. Non tutto quanto è stato fatto deve essere cancellato o rifatto daccapo. Le Regioni, come ricordava la Commissione Tofani mantengono ed hanno competenze tramite i Comitati Regionali di Coordinamento (art. 7, D. Lgs. 81/2008) e dovrebbero meglio farli funzionale, nonché sulla vigilanza in materia di sicurezza (art. 13, D. Lgs. 81/2008).

Vi sono poi molte esperienze positive ed utili che dovrebbero essere condivise, prima di tutto fra le stesse Regioni, affinché possano divenire suggerimenti e indicazioni utili allo Stato.

Non è cosa da poco, bensì molto impegnativa.

Anzi è proprio quello che è mancato ed ha contribuito ad affievolire l’azione (molto spesso disattesa, non applicata ed ignorata) ed il prestigio delle Regioni.

Dedicarsi con serietà ed impegno per dare un contributo propositivo sarà molto più utile che persistere nell’applicare norme o, peggio ancora, farne delle nuove che prima o poi verranno cancellate e facilmente dimenticate.

Le competenze sulla sicurezza sul lavoro: Stato o Regioni?

Cerchiamo di essere chiari fin dall’inizio. L’approvazione della modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione è un cambiamento rilevante – cercheremo di capire se necessario e utile – per il futuro di ogni politica di prevenzione e riduzione degli incidenti e delle malattie professionali in Italia.

Un cambiamento che tuttavia non è ancora avvenuto: il disegno di legge costituzionale è stato al momento solo approvato da un ramo del nostro attuale sistema bicamerale e il suo iter – in quanto legge costituzionale – è lungo e non scontato.

Tuttavia l’approvazione delle modifiche, nei primi giorni di agosto del 2014, in Senato esprime una volontà che appare sufficientemente condivisa a livello politico per pensare ad una lenta ma inesorabile corsa verso il traguardo.

Cerchiamo innanzitutto di comprendere come la Costituzione verrebbe modificata dal disegno di legge costituzionale, come approvato ad agosto.

Questo è ad esempio uno stralcio costituzionale degli articoli – senza le modifiche del disegno di legge – relativi alle Regioni, Province e Comuni:

Art. 114

La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento.(…)

Art. 116

Il Friuli Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallee d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano.

(…)

Art. 117

La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale;

n) norme generali sull’istruzione;

o) previdenza sociale;

p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;

s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.

Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato.

(…)

 

Innanzitutto nel nuovo disegno di legge costituzionale sono cancellate le “materie di legislazione concorrente” che in questi anni avevano provocato non pochi contenziosi e dubbi normativi anche in relazione al mondo della sicurezza sul lavoro.

Inoltre con le eventuali modifiche dell’art. 117 lo Stato viene ad avere “legislazione esclusiva” anche in materia di “norme generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e sicurezza sul lavoro“.

Una soluzione che parte da lontano e che è stata stimolata dalle relazioni della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle morti bianche, una Commissione monocamerale – istituita dal Senato già nel corso della XIV Legislatura con deliberazione del 23 marzo 2005 – che più volte in questi anni ha puntato il dito sulla mancanza di uniformità da parte delle diverse Regioni nell’applicazione della legislazione concorrente.

Fatta questa breve premessa è necessario comprendere la portata di questo eventuale cambiamento.

Capire come cambia l’efficacia della prevenzione in Italia con un accentramento o decentramento delle funzioni legislative.

Sono tante le domande a cui è necessario dare una risposta:

– quali sono le possibilità reali che queste modifiche della Costituzione diventino effettive? E con quali tempi?

– Quali sono le posizioni dei vari partiti politici sul tema? Quali sono le posizioni delle parti sociali, datoriali e sindacali?

– Quali sono oggi e quali saranno domani – alla lice di queste modifiche – le funzioni e i limiti dei Comitati Regionali di Coordinamento?

– Quali potrebbero essere le conseguenze sulla vigilanza e sulla formazione alla sicurezza?

– Il conflitto di competenze tra Stato e Regioni è anche un conflitto tra competenze tecniche (DPL) e competenze sanitarie (ASL)?

– Quali sono stati ad oggi i pregi e difetti degli interventi regionali nei vari ambiti (prevenzione, vigilanza, formazione, …)? E quali le differenze più evidenti tra regione e regione?

– Come potrebbe essere strutturata un’Agenzia Unica per la Salute e Sicurezza sul Lavoro? Come è stata la prevenzione in Italia prima delle competenze concorrenti?

– La legislazione regionale può svolgere un ruolo importante a fini incrementali sulla prevenzione ?

– Quale è stato il risultato di questi tredici anni di legislazione concorrente?

– Non c’è il rischio che un accentramento in capo ad organi statali delle competenze sulla vigilanza possa alterare il legame tra prevenzione e vigilanza oggi in capo alle Regioni ed alle loro strutture operative?

– Quali sono oggi e quali sarebbero domani le funzioni dei DPL?

 

Non è facile dare risposte a tutti questi quesiti.

Quello che posso fare, che può fare questo blog informativo, è iniziare una sorta di indagine, di reportage sul tema delle competenze sulla sicurezza.

Innanzitutto Indagine Sicurezza ospiterà nei prossimi mesi alcuni materiali e interviste da me realizzate e già pubblicate sul quotidiano online PuntoSicuro.

Successivamente cercherò di raccogliere altre opinioni – istituzionali, politiche, sindacali, datoriali, tecniche, … – partendo proprio dalle varie domande che oggi affollano queste poche righe.

Questa breve inchiesta non parte prevenuta.

Speriamo solo che navigando tra le nebbie delle opinioni e posizioni diverse emerga qualche certezza alla luce dell’unico obiettivo comune: rendere la prevenzione più efficace e migliorare la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

Tiziano Menduto