Indagine competenze Stato/Regioni 11: la riforma cosa cambierà?

Ci avviciniamo lentamente al referendum che dovrà decidere la sorte, abbastanza incerta, della riforma costituzionale.

Ricordo che nella riforma è prevista la modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione, all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto. E tra le materie che potrebbero tornare allo Stato, come competenza normativa esclusiva, ci sono anche le competenze relative alla “tutela e sicurezza del lavoro”.

Con questo blog, in questi anni, non ho svolto una vera e propria inchiesta sul tema della riforma costituzionale, ma ho proposto vari approfondimenti per raccontare le opinioni, l’iter, i tempi, gli obiettivi. Ho cercato di migliorare l’informazione, specialmente, ma non solamente, con riferimento a quanto da me pubblicato sul quotidiano online PuntoSicuro.

E su PuntoSicuro è “andata in scena” nei giorni scorsi una mia intervista realizzata in ottobre ad Ambiente Lavoro a Bologna al dirigente della Regione Toscana Marco Masi.

Marco Masi, che partecipava come relatore all’incontro “Cambia la Costituzione: problemi e prospettive per la sicurezza sul lavoro”, ha una grande esperienza, dal punto di vista regionale, sui vantaggi e limiti del ruolo che le Regioni hanno avuto, anche in ambito normativo, in materia di sicurezza e salute.

Volevo conoscere – dopo le tante interviste fatte a rappresentanti del Ministero del Lavoro – non solo la sua opinione sull’eventuale ritorno alla competenza esclusiva dello Stato, ma anche – laddove l’esito del referendum fosse positivo – cosa cambierebbe in Italia nella tutela di lavoratori e lavoratrici.

E la sua risposta, malgrado alcune domande “provocatorie”, è chiara: a breve non cambierà molto perché comunque con la Riforma Sanitaria (Legge 23 dicembre 1978, n. 833) le Regioni si sono presi carico del ‘cittadino che lavora, e come tale è creditore di attenzione ed entra nella tutela del sistema sanitario’.

Tuttavia nessuno può comprendere oggi cosa cambierà invece a lungo termine. Dipende da quali norme future saranno varate e da quali saranno le intenzioni dei prossimi governi, perché, ad esempio, uno dei temi che potrebbe essere toccato – e non lo è oggi con la riforma – è quello delle competenze ispettive.

 

Buona visione dell’intervista (o buona lettura della trascrizione parziale) che è stata pubblicata con l’articolo “Sicurezza sul lavoro: cambierà qualcosa con la riforma costituzionale?” nel numero del 9 novembre 2016 di PuntoSicuro.

 

Tiziano Menduto

 

 


 

 

Articolo e intervista a cura di Tiziano Menduto

 

(…)

 

Qual è la sua opinione sul fatto che le Regioni potrebbero non avere più la competenza normativa in materia di salute e sicurezza?

Marco Masi: (…) “Il Titolo I del decreto 81 in realtà affronta i temi del confronto Stato-Regioni e consegna un sistema complessivo della prevenzione sul lavoro italiana. Siamo nel 2008. Nel 2001 entra la modifica costituzionale, che lei ha richiamato, e che dà alle Regioni normazione concorrente. Ma il decreto 81 è una norma che definisce con chiarezza quali sono gli istituti in cui questi due soggetti – e tutte le componenti sociali interessate al grande tema della prevenzione – possono trovare sintesi ed elaborare, attraverso linee guida o buone prassi, quelli che sono il concetto delle soft law, della normativa secondaria, per poter meglio applicare norme generali previste dall’81. Quindi un modo anche moderno di affrontare la normativa sul lavoro.

Spesso tuttavia la materia concorrente è stata considerata piuttosto antagonista, competitiva. Ma non ci può essere competizione tra istituzioni sui grandi temi sociali, come la sicurezza e salute sul lavoro. La materia concorrente permette alle regioni di applicare meglio le norme generali previste dal decreto 81. E a volte questo può non servire se la norma generale è fatta bene.

E quindi insisto, ne abbiamo discusso proprio oggi, l’81 contiene, per esempio nella Commissione consultiva permanente, il modo di rapportarsi tra le componenti: i ministeri, le parti sociali, le regioni e le province autonome”.

 

Certo che una buona collaborazione tra Stato e Regioni può dare ottimi risultati. Ma l’eventuale passaggio delle competenze normative in modo esclusivo allo Stato, non potrebbe rendere ancora più efficace il raggiungimento degli obiettivi e dei principi del decreto 81?

M.M.: “Uno dei principi che definisce il decreto 81 (…) indica che la salute e sicurezza non è del lavoro dipendente. Non è del lavoro dipendente nella grande o piccola impresa. La salute e sicurezza è dell’individuo che lavora, a prescindere dal contratto, a prescindere dalla differenza di genere. (…) Anche uno studente è lavoratore in un’attività di laboratorio, anche un volontario, nel prestare la sua importante opera, è un lavoratore e quindi un creditore di attenzione in termini di prevenzione salute e sicurezza. L’81 ha affermato questo principio sovrano. È un principio che deve essere un faro per orientare tutti noi verso una normativa efficace. Una normativa che segue l’evoluzione del mondo del lavoro,.. Ecco perché parlavo delle linee guida e le soft law. Queste le possono emanare le Regioni insieme al Ministero con la collaborazione delle componenti sociali e dell’Inail che gioca un ruolo fondamentale, anche per rendere effettivamente agibile il Sistema Informativo nazionale per la prevenzione”. (…)

 

Lei ha toccato il tema del sistema informativo nazionale, del SINP, che è uno dei più chiari esempi di grandi ritardi normativi in materia di sicurezza. Lei non crede che un riparto diverso delle competenze velocizzerebbe la normazione?

M.M.: “Il problema della tempistica è vero, è reale e concreto. Noi dobbiamo dare quanto più possibile risposte certe, chiare e soprattutto in tempi compatibili a un’evoluzione del mondo del lavoro sempre più frenetica. E non è indubbio che cicli produttivi che si segmentano, ricorso sempre più spinto all’esternalizzazione, l’introduzione di nuovi contratti di lavoro, impongono a tutto il sistema di dare risposte in tempi veloci. E quindi lei ha ragione.

Questo sistema, in effetti, ha determinato dei ritardi.

Vorrei però sottolineare che ha anche permesso di garantire un plurimo apporto di competenze specialistiche: medici del lavoro, ingegneri, biologi, chimici, tutte le figure professionali che hanno contribuito coralmente a identificare delle norme utili per il mondo del lavoro.

Non mi pare il momento di parlare di materia concorrente. Mi piace pensare che il Decreto Legislativo 81 sia e rimanga, ovviamente migliorabile, l’elemento di confronto nel titolo I tra i soggetti tutti. Non ci dimentichiamo che anche il mondo delle imprese, gli stessi lavoratori, con la figura fondamentale del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, possono apportare il loro contributo.

Facciamo un esempio su tutti. Mi piace ricorda l’esperienza tra Toscana ed Emilia Romagna che abbiamo avuto nella realizzazione dell’Alta Velocità/Alta Capacità tra Firenze e Bologna. Abbiamo adottato nuovi sistemi di prevenzione, abbiamo emanato linee guida. Grazie all’apporto delle imprese, grazie all’apporto dei lavoratori…”.

 

Secondo lei la possibilità di avere una prevenzione che tenga conto di specificità locali e regionali può rendere più efficace una strategia di prevenzione…

M.M.: “Lo ritengo l’elemento strategico. E questo elemento – voglio esser chiaro – c’era prima, quando la materia era in capo esclusivo al Ministero e c’è ora quando è concorrente.

Le Regioni devono riprendere il loro ruolo di prevenzione non disgiunto dalla prevenzione collettiva. Un lavoratore cittadino che si fa male, impatta sul sistema sanitario nazionale e regionale. Quindi la prevenzione di un lavoratore non è disgiunta dalla prevenzione di un cittadino (…)”.

 

Le ricordo tuttavia, a titolo esemplificativo, cosa ha fatto a livello normativo la Regione Toscana in materia di cadute dall’alto e di uso delle linee vita. È normale, è giusto che su aspetti così rilevanti si abbiano tra le Regioni differenze normative evidenti in materia di sicurezza? Che ci siano Regioni che considerino alcuni rischi così elevati da necessitare di una regolazione specifica e altre no?

M.M.: “Bella provocazione.

Innanzitutto diciamo che la Regione Toscana ha utilizzato una norma urbanistica, edilizia per rafforzare i principi previsti dall’81. Eravamo coscienti, ma non solo in Toscana, che l’edilizia era uno dei principali settori a rischio, se non il principale. E purtroppo la caduta dall’alto era la causa dei principali infortuni gravi e mortali nell’edilizia. Non abbiamo portato normativa in più o in meno. Abbiamo posto in essere, come dire, una prassi. Abbiamo chiesto che gli edifici nuovi, e solo quelli, fossero dotati di sistemi anticaduta. (…)

Non intaccavamo, e non dobbiamo farlo, i principi generali dell’81.

Per questo io dico che se l’81 rimane nella sua concezione, è già l’81 un ecosistema tra Stato Regioni con cui migliorare la normativa, renderla effettivamente più efficace e soprattutto individuare quale sono le azioni di prevenzione nei settori maggiormente a rischio”.

 

Concludiamo riprendendo qualche spunto dal convegno in cui era relatore. Cambierà qualcosa per gli operatori, per le aziende, laddove le competenze passassero in modo esclusivo allo Stato?

M.M.: La legge 833 (riforma sanitaria, ndr) c’è. Non si tratta di passare competenze allo Stato. La riforma costituzionale dice di togliere la concorrenza normativa, che comunque, insisto, è una normativa di dettaglio, che non può intaccare i principi della norma, in questo caso dell’81. Ci tengo a questa precisazione…

Le Regioni e le Province Autonome possono ugualmente e con efficacia attuare quelli che sono i principi dell’833: garantire azioni di prevenzione verso il cittadino lavoratore, piani mirati di prevenzione, analisi degli eventi infortunistici, analisi epidemiologiche, particolare attenzione alle malattie professionali, (…) . Nessuno impedisce alle Regioni e alle Province Autonome di continuare a fare il loro lavoro”.

 


 

 

Link all’articolo originale di PuntoSicuro…

Indagine competenze Stato/Regioni 10: i testi approvati dal Senato

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza.


Ho già ricordato, in precedenti post, come martedì 13 ottobre il Senato abbia approvato, con modifiche, in terza lettura, il disegno di legge n. 1429-B, di revisione della Parte II della Costituzione. Disegno di legge che modifica anche il Titolo V della seconda parte della Costituzione e riporta le competenze in materia di “tutela e sicurezza del lavoro” allo Stato.

Nel precedente post un contributo di Rocco Vitale,presidente dell’associazione AiFOS, ha permesso di commentare la notizia e di sottolineare le piccole differenze con il testo già approvato alla Camera.

Tuttavia per non rischiare quell’abitudine tipicamente italiana e giornalistica di commentare a prescindere dalla conoscenza dei dati, riportiamo oggi il testo approvato dal Senato.

Riportiamo in particolare i link per poter consultare l’intero e corposo disegno di legge e il testo integrale delle modifiche al Titolo V della parte II della Costituzione.

Buona lettura.

Tiziano Menduto


Revisione Parte II della Costituzione.

L’Assemblea di Palazzo Madama martedì 13 ottobre ha approvato con modifiche, in terza lettura, il disegno di legge n. 1429-B, di revisione della Parte II della Costituzione. Il provvedimento torna alla Camera.

Link al testo approvato

 

N. 1429-B

FRONTESPIZIO

Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del titolo V della parte II della Costituzione

Capo I MODIFICHE AL TITOLO I DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

Capo II MODIFICHE AL TITOLO II DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

Capo III MODIFICHE AL TITOLO III DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

Capo IV MODIFICHE AL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

Capo V MODIFICHE AL TITOLO VI DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

Capo VI DISPOSIZIONI FINALI


Capo IV

MODIFICHE AL TITOLO V DELLA PARTE II DELLA COSTITUZIONE

Art. 29.

(Abolizione delle Province)

1. All’articolo 114 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, le parole: «dalle Province,» sono soppresse;

b) al secondo comma, le parole: «le Province,» sono soppresse.

Art. 30.

(Modifica all’articolo 116
della Costituzione)

1. All’articolo 116 della Costituzione, il terzo comma è sostituito dal seguente:

«Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, m) limitatamente alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, n), o), limitatamente alle politiche attive del lavoro e all’istruzione e formazione professionale, q) limitatamente al commercio con l’estero; s) e u), limitatamente al governo del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119, purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. La legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata».

Art. 31.

(Modifica dell’articolo 117
della Costituzione)

1. L’articolo 117 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 117. — La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:

a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;

b) immigrazione;

c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;

d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;

e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari e assicurativi; tutela e promozione della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; perequazione delle risorse finanziarie;

f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;

g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l’uniformità sul territorio nazionale;

h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;

i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;

l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;

m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare;

n) disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica;

o) previdenza sociale, ivi compresa la previdenza complementare e integrativa; tutela e sicurezza del lavoro; politiche attive del lavoro; disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale;

p) ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane; disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni;

q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; commercio con l’estero;

r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati, dei processi e delle relative infrastrutture e piattaforme informatiche dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;

s) tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo;

t) ordinamento delle professioni e della comunicazione;

u) disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; sistema nazionale e coordinamento della protezione civile;

v) produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia;

z) infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione di interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale.

Spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di rappresentanza delle minoranze linguistiche, di pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno, di dotazione infrastrutturale, di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali, di promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e della formazione professionale; salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, di promozione del diritto allo studio, anche universitario; in materia di disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attività culturali, della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici, di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo, di regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale, delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di finanza pubblica, nonché in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato.

Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale.

Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi dell’Unione europea e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite con legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.

La potestà regolamentare spetta allo Stato e alle Regioni secondo le rispettive competenze legislative. È fatta salva la facoltà dello Stato di delegare alle Regioni l’esercizio di tale potestà nelle materie di competenza legislativa esclusiva. I Comuni e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, nel rispetto della legge statale o regionale.

Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive.

La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni.

Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato».

Art. 32.

(Modifiche all’articolo 118
della Costituzione)

1. All’articolo 118 della Costituzione sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, la parola: «Province,» è soppressa;

b) dopo il primo comma è inserito il seguente:

«Le funzioni amministrative sono esercitate in modo da assicurare la semplificazione e la trasparenza dell’azione amministrativa, secondo criteri di efficienza e di responsabilità degli amministratori»;

c) al secondo comma, le parole: «, le Province» sono soppresse;

d) al terzo comma, le parole: «nella materia della tutela dei beni culturali» sono sostituite dalle seguenti: «in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici»;

e) al quarto comma, la parola: «, Province» è soppressa.

Art. 33.

(Modifica dell’articolo 119
della Costituzione)

1. L’articolo 119 della Costituzione è sostituito dal seguente:

«Art. 119. — I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea.

I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri e dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, in armonia con la Costituzione e secondo quanto disposto dalla legge dello Stato ai fini del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante.

Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti assicurano il finanziamento integrale delle funzioni pubbliche dei Comuni, delle Città metropolitane e delle Regioni. Con legge dello Stato sono definiti indicatori di riferimento di costo e di fabbisogno che promuovono condizioni di efficienza nell’esercizio delle medesime funzioni.

Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Città metropolitane e Regioni.

I Comuni, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i princìpi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti».

Art. 34.

(Modifica all’articolo 120
della Costituzione)

1. All’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, dopo le parole: «Il Governo» sono inserite le seguenti: «, acquisito, salvi i casi di motivata urgenza, il parere del Senato della Repubblica, che deve essere reso entro quindici giorni dalla richiesta,» e sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e stabilisce i casi di esclusione dei titolari di organi di governo regionali e locali dall’esercizio delle rispettive funzioni quando è stato accertato lo stato di grave dissesto finanziario dell’ente».

Art. 35.

(Limiti agli emolumenti dei componenti degli organi regionali ed equilibrio tra i sessi nella rappresentanza)

1. All’articolo 122, primo comma, della Costituzione, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e i relativi emolumenti nel limite dell’importo di quelli attribuiti ai sindaci dei Comuni capoluogo di Regione. La legge della Repubblica stabilisce altresì i princìpi fondamentali per promuovere l’equilibrio tra donne e uomini nella rappresentanza».

Art. 36.

(Soppressione della Commissione parlamentare per le questioni regionali)

1. All’articolo 126, primo comma, della Costituzione, l’ultimo periodo è sostituito dal seguente: «Il decreto è adottato previo parere del Senato della Repubblica».

 

Indagine competenze Stato/Regioni 9: piccole modifiche, stesso obiettivo

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. Molti dei materiali presentati sul blog fanno riferimento a interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

Un altro passo avanti del disegno di legge costituzionale che modifica anche il Titolo V della seconda parte della Costituzione riportando le competenze in materia di “tutela e sicurezza del lavoro” allo Stato.

L’Assemblea di Palazzo Madama martedì 13 ottobre ha approvato, ma con modifiche, in terza lettura, il disegno di legge n. 1429-B, di revisione della Parte II della Costituzione.

Ora il provvedimento torna alla Camera.

Ci sono piccole variazioni, abbastanza irrilevanti, ma che spostano in ambiti differenti il tema della sicurezza sul lavoro…

Per parlarne, ricordando anche i prossimi passi (l’ultima approvazione alla Camera e poi il probabile referendum), riprendo un contributo di Rocco Vitale, presidente dell’Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro (AiFOS), pubblicato da PuntoSicuro il 09 ottobre 2015 con il titolo “Salute e sicurezza sul lavoro ritornano allo Stato?”. Il contributo racconta le piccole modifiche apportate che non cambiano nella sostanza il passaggio delle competenze allo Stato.

Buona lettura.

Tiziano Menduto

 


Al Senato della Repubblica ieri era in corso di discussione la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione. La  modifica di legge costituzionale deve essere approvata con doppia lettura tra Camera e Senato. Quella che in corso al Senato è la terza lettura che, ad approvazione avvenuta, tornerà alla Camera dei Deputati per la lettura definitiva (e qualora vengano apportate modifiche dovrà ritornare al Senato).

Nella seduta dell’8 ottobre il Senato ha dunque approvato il nuovo testo dell’articolo 117 della Costituzione “Relazione tra la potestà legislativa statale e regionale”. Si tratta dell’articolo che ha introdotto le “ materie di legislazione concorrente”, tra Stato e Regioni, tra cui la “tutela e sicurezza del lavoro” che ha creato tanta confusione, per non usare parole più grevi, nella delicata e seria materia della salute e sicurezza sul lavoro.

Si ricorda che in prima lettura al Senato l’8 agosto 2015 e alla Camera dei Deputati il 10 marzo 2015 il paragrafo della “legislazione concorrente” è stato definitivamente abolito. Senato e Camera hanno riscritto e modificato l’art. 117 della Costituzione definendo che lo Stato ha legislazione esclusiva in determinate materie.

Nella fattispecie il Senato ha introdotto la lettera m) “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per la sicurezza alimentare e per la tutela e sicurezza del lavoro”. Questa formulazione è stata modificata dalla Camera dei Deputati che ha aggiunto le “politiche sociali” e contestualmente ha tolto “la tutela e sicurezza sul lavoro”.

Si tratta però solo di uno spostamento in quanto, alla successiva lettera o) la Camera ha aggiunto al testo del Senato “la tutela e sicurezza del lavoro; politiche attive del lavoro; disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale”.

Riassumendo e semplificando o nella lettera m) o nella o) la sicurezza sul lavoro torna allo Stato e viene tolta, una volta per tutte, quella astrusa e deleteria formulazione della “legislazione concorrente”.

A Milano un vecchio proverbio dice “Offelee, fa el tò mestee – Pasticciere fa il tuo mestiere” invitando ciascuno a non occuparsi delle cose degli altri.

Con la seduta di ieri e l’approvazione di diverse modifiche al Titolo V della parte II della Costituzione (non solo modifiche all’articolo 117, ma ad esempio anche all’articolo 116 e 119), riguardo alla legislazione in materia di “tutela e sicurezza del lavoro”si è fatto dunque un bel passo avanti di chiarezza e serietà.

Solo per un pettegolezzo di cronaca ricorderete i milioni di emendamenti presentati al testo in discussione al Senato.

Ebbene l’emendamento al testo già approvato da Senato e Camera alla lettera m) era il seguente: “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali per la tutela della salute, la sicurezza alimentare e la tutela e sicurezza del lavoro”;  insomma, anche da parte delle opposizioni nessuna difesa della “legislazione concorrente” e la volontà – a questo punto possiamo dire unanime di tutto il Parlamento – di restituire allo Stato la “tutela della salute e sicurezza sul lavoro”. Addio Accordi Stato Regioni!

Adesso il provvedimento tornerà alla Camera dei Deputati per la quarta e, speriamo, ultima lettura definitiva che, dopo il referendum consultivo previsto dal Governo, cambierà l’ art. 117 della Costituzione aprendo un nuovo capitolo per la salute e sicurezza sul lavoro.

Rocco Vitale, presidente AiFOS

Link all’articolo originale di PuntoSicuro

Indagine competenze Stato/Regioni 8: l’evoluzione delle modifiche in materia di competenze

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter dopo l’approvazione alla Camera (seduta del 10 marzo 2015). Ora la riforma dovrà tornare a Palazzo Madama per l’iter della seconda lettura e approvazione. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

 

Le modifiche al Titolo V della seconda parte della Costituzione continuano il loro iter.

Dopo aver ragionato, nel precedente post, sul percorso articolato della riforma costituzionale, vorrei affrontare un aspetto non sufficientemente sottolineato nei resoconti dei media: i piccoli cambiamenti a cui la riforma è soggetta nei vari passaggi parlamentari.

Se rimaniamo sempre sul tema delle competenze relative alla “tutela e sicurezza del lavoro” anche la variazione di qualche parola, di qualche riga, nella riforma, possono avere un rilevante significato.

Per parlarne riprendo semplicemente un interessante contributo diRocco Vitale, presidente dell’associazione AiFOS, pubblicato da PuntoSicuro il 16 marzo 2015 con il titolo “Dove andiamo con la sicurezza sul lavoro?”. Il contributo racconta quali modifiche la Camera ha apportato al testo predisposto dal Senato.

Buona lettura.

Tiziano Menduto

 


 

Due su quattro. La Camera dei Deputati ha approvato in seconda lettura le  modifiche alla Costituzione. Ci vorrà ancora un anno per la terza e poi quarta lettura. Alla fine verrà proposto un referendum popolare per l’approvazione, o meno, della nuova Costituzione.

In questo provvedimento un aspetto importante, oltre a quelli più noti e discussi, riguarda la salute e la sicurezza sul lavoro.

In particolare il nuovo testo relativo all’art. 117 della Costituzione apporta all’attuale sistema una modifica fondamentale. Di fatto viene abolita quella che si chiama “legislazione concorrente” delle Regioni e pertanto verrà meno tutto il sistema degli Accordi Stato-Regioni.

Come noto, già nell’agosto dello scorso anno, il Senato della Repubblica aveva dato il via alla prima approvazione delle modifiche all’art. 117. Nei giorni scorsi la Camera, nell’approvare il testo predisposto dal Senato, ha apportato una piccola modifica: poche righe ma significative.

Vediamo nel dettaglio le nuove modifiche.

L’art. 117, modificato dal Senato, definisce la legislazione esclusiva dello Stato in una serie di materie tra cui la “previdenza sociale ivi compresa la previdenza complementare e integrativa”.  La Camera ha modificato questo comma aggiungendovi “tutela e sicurezza del lavoro, politiche attive del lavoro; disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale”.

In buona sostanza viene riaffermato in modo esplicito ciò che di fatto avveniva con l’abolizione delle materie concorrenti: la norma approvata estende il concetto di previdenza sociale a tutela e sicurezza sul lavoro. Dunque, senza possibilità di equivoci o interpretazioni, la materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro rientra nella piena competenza dello Stato non delegabile alla legislazione regionale.

Nel corso dell’esame presso la Camera sono state approvate, sia in sede referente che in Assemblea, alcune modifiche tese a riformulare specifiche materie di competenza legislativa. In particolare, la competenza in materia di tutela e sicurezza del lavoro è stata interamente attribuita allo Stato, mentre nel testo approvato dal Senato lo era limitatamente alle disposizioni generali e comuni [lett. o) e m)].

Come già avvenuto al Senato, anche alla Camera è stato abrogato il comma che definiva la “legislazione concorrente” in ambiti specifici quali la sicurezza del lavoro, l’istruzione, l’alimentazione, la protezione civile, ecc. ecc.

Ed è proprio nell’abolizione della legislazione concorrente che viene ad esercitarsi una profonda modifica dei rapporti normativi.

C’è da chiedersi che cosa succeda adesso, o domani. Per il momento non cambia nulla sino alle approvazioni definitive. Dato per completato l’iter parlamentare delle 4 letture, tra Camera e Senato, verranno – di fatto – modificate tutte le leggi, decreti o decreti legislativi laddove vi siano dei rimandi ad Accordi tra lo Stato e le Regioni. Ciò però, non significa, l’abolizione dalla sera alla mattina di tutti gli Accordi in essere ed approvati. E, d’altro canto, non può nemmeno configurarsi un vuoto legislativo.

Di fatto gli attuali Accordi Stato-Regioni avranno valore fino alla loro decadenza decretata con altri atti che possono essere decreti ministeriali o nuove leggi. Ma non sarà un passaggio semplice. Di fatto ci troveremo ad operare con un sistema legislativo che continuerà ad applicare tali Accordi in attesa della nuova legislazione di riferimento, pur non riconoscendoli più costituzionalmente validi. Sarà un dibattito interessante e che non mancherà di sollevare problemi, polemiche e prospettive.

Come sempre accade – purtroppo – nel nostro abbastanza sgangherato corpus legislativo, sappiamo già che al momento dell’approvazione definitiva delle modifiche costituzionali si presenta la prevedibile necessità di modificare altrettante leggi e norme. Però prima di rimboccarsi le maniche si aspetta il D-Day per cominciare daccapo. Con il risultato che tutto resterà fermo in attesa del “partiam, partiam, partite…” dell’opera, dove tutti cantano ma restano impassibilmente fermi.

Probabilmente succederà ancora una volta così. Si cambierà la Costituzione (già sapendo adesso cosa si cambia) e staremo ad aspettare Godot.

Cosa fare, invece, nell’immediato? Non è vero che non ci sia nulla da fare. I periodi di gestazione e discussione di leggi e norme servono o, meglio, dovrebbero servire ad alimentare il dibattito culturale. In un paese, come il nostro di guelfi e ghibellini, i dibattiti sulle leggi si aprono dopo la loro approvazione con il risultato che ciascuno tende a dare la propria interpretazione.

In un paese moderno e civile il dibattito si fa mentre si lavora al cambiamento e, allorquando la norma viene approvata, cessano le parole e si inizia il percorso della sua applicazione.

Verrebbe da chiedersi perché di questo tema non se ne parli. Siamo tutti – da anni ormai – in attesta della modifica dell’Accordo Stato Regioni del 2006 sugli RSPP e non abbiamo il coraggio di dire che si sta pensando (da anni) ad una sistema normativo che verrà abolito. I puristi della dottrina diranno che il sistema attuale non è cambiato e dunque si va avanti come se nulla fosse. Una bella risposta da politica dello struzzo che mette la testa sotto la sabbia, perché non vuole vedere, ma all’aria – ben visibile – sta la parte posteriore.

Varrebbe la pena, allora, iniziare nello stesso momento in cui si parla di semplificazioni, delle nuove politiche del lavoro, del Job Acts, dell’ Agenzia Unica, a discutere tenendo presente il faro di riferimento rappresentato dalle modifiche dell’art. 117 della Costituzione e procedere con logica conseguenza. Almeno in una fase di confronto, dialettica e dibattito quale contributo ai temi della salute e sicurezza le cui (nuove) norme, non dovrebbero produrre carta ed adempimenti formali, bensì costituire atti sostanziali per la prevenzione degli infortuni, degli incidenti sul lavoro e delle malattie professionali. Questo è il tema anche se, spesso, nel suo svolgimento viene dimenticato il titolo e si discute dei fogli, della penna, dell’inchiostro e dei bolli. Tutte cose assai utili per scrivere il tema, ma non il suo contenuto.

Rocco Vitale, presidente AiFOS

Link all’articolo originale di PuntoSicuro

 

 

Indagine competenze Stato/Regioni 7: quando si completerà l’iter delle modifiche costituzionali?

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter dopo l’approvazione alla Camera (seduta del 10 marzo 2015). Ora la riforma dovrà tornare a Palazzo Madama per l’iter della seconda lettura e approvazione. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

Il 10 marzo la Camera dei deputati – con 357 sì, 125 no e 7 astenuti – ha approvato la riforma costituzionale che contiene non solo importanti cambiamenti riguardo al bicameralismo e al Senato, ma anche le modifiche all’articolo 117 della Costituzione di cui parliamo da mesi in questo blog di informazione. Modifiche che riporterebbero le competenze relative alla “tutela e sicurezza del lavoro” allo Stato.

A leggere i titoli dei media – cartacei e non – ogni approvazione della riforma costituzionale sembra definitiva. Sembra che il nuovo assetto istituzionale sia cosa fatta, che dall’oggi al domani le rilevanti modifiche possano entrare in vigore.

Per fortuna non è così: cambiare la nostra Costituzione prevede un lungo iter che dovrebbe permettere modifiche meditate e, laddove possibile, condivise. Un iter che ci permette di valutare attentamente le conseguenze di ogni virgola alterata della legge fondamentale della Repubblica italiana e l’impatto sulla nostra democrazia.

Non entro nella discussione, invero allettante, se questo stia accadendo o meno, se le proposte siano sufficientemente meditate e condivise. In epoca di semplificazioni e razionalizzazioni esasperate, non sarebbe la prima volta che in Italia il tempo non sia un valore a cui si dà la giusta importanza. Tuttavia è bene ricordare quale sia l’iter di una modifica costituzionale in Italia.

Anche perché se diamo per scontato che le modifiche all’articolo 117 della Costituzione sono destinate ad essere approvate definitivamente (se il progetto di legge costituzionale dovesse arenarsi, in realtà lo farebbe su ben altri temi che non quello relativo all’articolo 117) è bene che ciascuno di noi sappia, a livello indicativo, quando questo accadrà. E quando entreranno in vigore i cambiamenti annunciati…

Sul tema della recente approvazione alla Camera, è intervenuto su PuntoSicuro, Rocco Vitale, presidente dell’Associazione AiFOS. Prima di parlarne, in un prossimo post, vorrei riportare oggi un breve schema da cui partire per poter dare un’idea dell’iter normativo e, indirettamente, dei tempi. È un semplice schema pubblicato sul sito di un Istituto Professionale di Stato e che ha il felice dono della chiarezza e della sinteticità.

Immagine blog_pdfIterCostCliccare sull’immagine per scaricare e visualizzare lo schema

Dunque 4 votazioni (ne abbiamo avute fino ad oggi 2).

Se si approva con maggioranza qualificata (2/3) si passa direttamente alla promulgazione, altrimenti può essere richiesto un referendum (ne ha parlato più volte il nostro Presidente del Consiglio).

Infine per approfondimenti più “spinti” vi lascio un link presente sul sito della Camera. E’ un analisi, di Gian Carlo Perone, dal titolo “L’iter legislativo : l’esame delle leggi costituzionali e di revisione costituzionale”, sul procedimento di revisione della Costituzione.

Immagine blog_pdfCamCostCliccare sull’immagine per scaricare il documento

Buona lettura.

Tiziano Menduto

 

Indagine competenze Stato/Regioni 6: per le ispezioni è meglio un’Agenzia Unica?

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter dopo la recente approvazione alla Camera (seduta del 10 marzo 2015). Ora la riforma dovrà tornare a Palazzo Madama per l’iter della seconda lettura e approvazione. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

 

Della legge delega per la riforma del lavoro, ormai chiamata da tutti “Jobs Act”, si parla in Italia da mesi. Di questa legge, già approvata ed entrata in vigore, i media hanno sfornato tutti i possibili dettagli in materia di reintegro, licenziamenti, ammortizzatori, nuovi contratti. Innumerevoli talk show hanno cercato di chiarire se questa legge servirà o meno a diminuire la disoccupazione in Italia, se l’azzardo verso le “tutele crescenti” non sia un modo di nascondere la riduzione delle “tutele presenti”. I grandi giornali cartacei hanno ricoperto le proprie prime pagine di titoli sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sull’opportunità osteggiata, discussa o esaltata di cambiare le regole in materia di licenziamenti.

Peccato che invece pochi media si sianoinvece soffermati su un aspetto del “Jobs Act” meno conosciuto e per questo più insidioso: i cambiamenti in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori con particolare riferimento alle “Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”.

Quali cambiamenti?

Innanzitutto cambiamenti dipendenti dalla delega in materia di sicurezza, delega per modifiche che tengano conto dei criteri della semplificazione e razionalizzazione.

Ma una ulteriore delega, ancor più sottaciuta dai media e sempre ispirata dagli obiettivi di semplificazione e razionalizzazione, riguarda anche il compito di istituire una sorta di “Agenzia unica delle ispezioni del lavoro”.

Questo è uno stralcio del comma 7 dell’articolo 1 del Jobs Act approvato:

7. Allo scopo di rafforzare le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione, nonché di riordinare i contratti di lavoro vigenti per renderli maggiormente coerenti con le attuali esigenze del contesto occupazionale e produttivo e di rendere più efficiente l’attività ispettiva, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, di cui uno recante un testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi, in coerenza con la regolazione dell’Unione europea e le convenzioni internazionali:

(…)

i) razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso misure di coordinamento ovvero attraverso l’istituzione, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, di una Agenzia unica per le ispezioni del lavoro, tramite l’integrazione in un’unica struttura dei servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell’INPS e dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL), prevedendo strumenti e forme di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali e delle agenzie regionali per la protezione ambientale.

 

Per cogliere la connessione tra Jobs Act e riforma del titolo V della Costituzione, tra l’Agenzia Unica delle Ispezioni e il passaggio delle competenze allo Stato in materia di sicurezza, riprendiamo uno stralcio di un contributo, pubblicato con il titolo “Vigilanza e competenze: l’Agenzia unica delle ispezioni del lavoro” su PuntoSicuro del 15 gennaio 2015, di Massimo Peca, Ispettore tecnico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, componente del Coordinamento Spontaneo degli Ispettori del Ministero (CSI-MLPS).

Per comprendere infine il percorso a ostacoli del futuro decreto attuativo relativo all’Agenzia Unica, riportiamo a seguire, infine, lo stralcio di una mia intervista a Sebastiano Calleri, il Responsabile Salute e Sicurezza della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (Cgil) nazionale. Intervista pubblicata su PuntoSicuro il 5 marzo 2015 con il titolo “Jobs Act: le modifiche in materia di ispezioni e formazione”.

Buona lettura.

Tiziano Menduto


 

Vigilanza e competenze: l’Agenzia unica delle ispezioni del lavoro

Lo “stato dell’arte” dell’Agenzia unica delle ispezioni del lavoro” in relazione alle probabili competenze sulla salute e sicurezza dei lavoratori. A cura di Massimo Peca.

(…)

Dalla lettura dei testi anzidetti (il comma 7 dell’articolo 1 del Jobs Act, ndr), appare evidente che, mentre nel caso in cui venisse realizzata l’Agenzia, questa potrebbe interessare solo le funzioni ispettive dell’INPS e dell’INAIL, per quanto riguarda le attività ispettive descritte delle ASL e ARPA (circa 250 in tutto), la legge delega (e di conseguenza il decreto legislativo che ne deriverebbe) prevede solo delle “forme di coordinamento” e quindi tali funzioni non potrebbero essere ricomprese tra i compiti dell’agenzia, se verrà realizzata. Ciò a causa del vincolo posto dal Parlamento al Governo.

Lo stesso Governo Renzi ha presentato l’8 aprile 2014 al Senato, il disegno di legge costituzionale S1429 per la riforma del titolo V della Costituzione. Per quanto d’interesse in questa trattazione, la modifica dell’articolo 117 della Costituzione predisposta dal Governo prevedeva la seguente formulazione: “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie e funzioni: … norme generali per la tutela … e sicurezza del lavoro”. Il testo licenziato dal Senato ed ora in discussione alla Camera (C2613) è stato privato della parola “funzioni”, sebbene sia stato emendato nelle varie commissioni affari costituzionali.

Seppure il percorso della riforma costituzionale dell’articolo 117 non si sia ancora concluso, è importante rilevare dalla lettura del testo originario del Governo, che l’intenzione dello stesso parrebbe essere quella di creare i presupposti normativi costituzionali per riportare alla competenza esclusiva dello Stato non solo l’importantissima ed esclusiva potestà legislativa relativa alla tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, ma anche quella delle “funzioni” ad essa connessa, cioè l’attività di vigilanza a parere di chi scrive. Ben più pregnante, impegnativa e profondamente riformatrice dell’apparato pubblico ad essa destinato: principalmente ASL e ARPA. Le date di trasmissione dei due disegni di legge sono sintomatiche.

Orbene, seppure la riforma dell’articolo 117 della Costituzione tornasse nella sua precedente formulazione, cioè ricomprendendo anche le “funzioni”, queste sarebbero impossibili da esercitare se non previa modifica sia della legge delega appena approvata (183/2014) che del conseguente decreto legislativo, perché esulerebbero dai vincoli “imposti” dal Parlamento. O meglio, sarebbe più opportuno parlare di vincoli “votati” dal Parlamento.

Sarebbe importante che l’obiettivo della riforma legislativa in atto fosse quello di ricondurre alla gestione unitaria dell’Agenzia, tutte le competenze frazionate in tema di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro già assegnate ai Ministeri del lavoro e delle politiche sociali, della salute, dello sviluppo economico, della difesa per la parte di competenza sulle funzioni delle Capitanerie di porto in merito alla navigazione civile, al Servizio sanitario nazionale, alle ARPA, alle Regioni direttamente o alle Province e pertanto dovrebbero essere ricondotte all’Agenzia anche i compiti svolti da organismi regionali o statali relativi a:

– porti e navigazione delle navi mercantili e da pesca;

– ferrovie e aeroporti;

– industrie estrattive a cielo aperto o sotterranee, torbiere;

– acque minerali e termali;

– radiazioni ionizzanti in ambito sanitario.

Si evidenzia come l’Agenzia così definita, esercitando i compiti già assegnati ad altri organi pubblici, statali o locali, riunirebbe in un unico soggetto una molteplicità di funzioni che attualmente sono sovrapponibili con quelle già presenti in alcune direzioni generali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Per tale ragione, il Ministero di riferimento non avrebbe più la necessità di contenere al suo interno la Direzione generale dell’attività ispettiva, le divisioni II e VI della Direzione generale delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro, similmente per gli altri Ministeri indicati. In termini generali, i principali compiti specifici dell’Agenzia, relativamente agli aspetti della salute e sicurezza dei lavoratori, sono ben delineati negli articoli 5, 6 e 7 del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.

Questa sarebbe una vera riforma di una parte della pubblica amministrazione che consentirebbe di affrontare in modo decisivo ed organico i 2’282’000 tra malattie professionali e ad esse assimilate degli ultimi 12 mesi (di cui tra i 700 e 900 causano la morte – dato sottostimato) rispetto ai “soli” 714’000 infortuni dello stesso periodo, di cui 833 mortali (INAIL – ultimo rapporto). Nel nostro Paese, una stima prudenziale del 4% di tutte le morti per neoplasie, porterebbe a quantificare in 6’400 l’anno quelle di origine lavorativa (Ultimo Piano sanitario nazionale).

Massimo Peca

NB: Ai sensi della circolare del MLPS del 18 marzo 2004, le considerazioni contenute nel presente scritto sono frutto esclusivo del pensiero dell’autore e non hanno in alcun modo carattere impegnativo per l’Amministrazione di appartenenza

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro

 


 

 

Jobs Act: le modifiche in materia di ispezioni e formazione
Il Jobs Act e i decreti attuativi introducono varie novità: dall’Agenzia Unica per le ispezioni alla possibile fine dell’obbligo di formazione per i lavoratori demansionati. Ne parliamo in un’intervista con Sebastiano Calleri, responsabile sicurezza Cgil.

 

(…)

Altri due punti che è necessario chiarire in merito al Jobs Act sono relativi alla legge-delega sulla normativa in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro di cui, ad oggi, si sa poco o nulla e all’ Agenzia unica delle ispezioni del lavoro a cui si fa cenno nel Jobs Act approvato a dicembre e a cui sarebbe dedicato un decreto attuativo che è ancora in fase di definitiva formulazione.

(…)

Credo che poi nel provvedimento già approvato a dicembre ci fosse già il riferimento ad un Agenzia Unica per le ispezioni…

Sebastiano Calleri: C’è una delega del Jobs Act dedicata espressamente a questo. Doveva andare in Consiglio dei Ministri il 20 febbraio. Non ci è andata.

Noi abbiamo accolto positivamente questa cosa perché la bozza di decreto rispetto all’Agenzia Unica non ci piaceva affatto e non ci piaceva per due motivi.

Uno perché è una delega come al solito senza alcuna risorsa, cioè a invarianza della finanza pubblica. E’ una riorganizzazione basata sul risparmio economico nella quale si prevede l’abolizione, per esempio, delle Direzioni Territoriali del Ministero del lavoro e anche di quelle interregionali nell’ottica della razionalizzazione, ma in realtà di un accorpamento e di un taglio di fondi. Non si dice poi nulla di quello che l’Agenzia farà.

Vi dico solo una chicca che era contenuta nella Relazione Illustrativa del provvedimento: c’è l’ispettore, fa il suo lavoro sul territorio e quindi non ha bisogno di un ufficio per tutta la settimana, e poi torna una volta a settimana a scaricare le pratiche all’interno della struttura. Questo è un modo di vedere le cose che non ci soddisfa. Primo perché in realtà le professionalità presenti all’interno dei servizi ispettivi del Ministero del Lavoro (…) sono professionalità multiformi che hanno bisogno di formazione (…) e soprattutto hanno bisogno di mezzi (…).

Crediamo che anche questa sia un’operazione da fare con molta attenzione e molta cautela. Noi non siamo in toto contrari all’Agenzia e alla sua istituzione. Però si deve fare con un criterio di positività di tutti, sia per i lavoratori che ci lavorano dentro e in seconda battuta per i lavoratori che devono essere salvaguardati da questa Agenzia. Non possiamo abbassare né il livello, né il numero delle ispezioni. (…) In realtà le ispezioni sono poche su tutto il territorio nazionale e non si raggiungono dei livelli ottimali.

E poi c’è il problema del raccordo, del coordinamento con i servizi ispettivi delle Asl sotto il Ministero della Sanità. Questa è una grossa querelle che sappiamo che parte dall’ articolo 117 della Costituzione, dalla volontà di cambiarlo e da tutto quello che c’è sulle Regioni. Ha senso fare un’Agenzia che poi non integra in qualche modo anche le attività di vigilanza delle Regioni? (…).

 

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro

Indagine competenze Stato/Regioni 5: perché le competenze allo Stato

La modifica al Titolo V della seconda parte della Costituzione – all’interno di un disegno di legge costituzionale più complessivo finalizzato al superamento del bicameralismo perfetto – continua il suo lungo iter dopo la recente approvazione alla Camera (seduta del 10 marzo 2015). Ora la riforma dovrà tornare a Palazzo Madama per l’iter della seconda lettura e approvazione. Con questo blog di riflessione cerco di rispondere ad alcune domande sull’utilità e sulle conseguenze dell’accentramento o decentramento delle competenze in materia di salute e sicurezza. E lo vorrei fare attraverso una raccolta di materiali e di pareri, con particolare riferimento a mie interviste e articoli pubblicati sul quotidiano online, in materia di sicurezza sul lavoro, PuntoSicuro.

Dopo aver descritto nelle scorse settimane la situazione attuale delle competenze in materia di salute e sicurezza e aver approfondito il tema del ruolo delle regioni, veniamo ora ad analizzare storia e conseguenze del probabile futuro passaggio (in realtà, un ritorno) di competenze allo Stato.

E per farlo utilizzo il racconto e il parere di una persona che sull’utilità di riportare le competenze allo Stato credo non abbia mai avuto dubbi e che ha dovuto spesso affrontare, nel suo lavoro, le difficoltà di quel gioco “concorrenziale” di competenze tra Stato e Regioni che ha causato non pochi ritardi nella legislazione.

Sto parlando dell’avvocato Lorenzo Fantini, ex dirigente del Ministero del Lavoro, che in questi anni è stato, non solo dall’interno del “Palazzo”, uno dei principali referenti dell’applicazione e attuazione del D.Lgs. 81/2008, ma anche il felice connettore di una miriade di progetti e accordi in materia della sicurezza.

Quello che presento è un suo contributo in due puntate presentato su PuntoSicuro il 05 dicembre 2014 (“Le competenze legislative in materia di salute e sicurezza”) e il 10 dicembre 2014 (“Competenze Stato-Regioni e Jobs Act: le prospettive di un mutamento”), per cui ben prima della recente approvazione (con modifiche che affronteremo più avanti), dopo il Senato, della Camera dei Deputati.

Del suo contributo presento in particolare la parte che riguarda proprio il tema delle competenze Stato/Regioni in materia di sicurezza, rimandando poi ai link per una lettura integrale dei contributi su PuntoSicuro.


 

Le competenze legislative in materia di salute e sicurezza

Le competenze legislative in materia di salute e sicurezza

La competenza legislativa in materia di salute e sicurezza tra assetto attuale e possibili prossime novità. Brevi considerazioni sulla competenza “ripartita” tra Stato e Regioni in materia di salute e sicurezza. Di Lorenzo Fantini.

(…)

1. Il “testo unico” di salute e sicurezza come corpo normativo “cedevole”

Il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in piena coerenza con il criterio di delega a suo tempo introdotto dalla legge n. 123 del 2007 (il cui articolo 1 recava i principi da attuare per l’esercizio delle relativa delega), individua esplicitamente – in apertura del provvedimento – l’obiettivo principale dell’intervento legislativo, identificato nel “riordino e coordinamento” delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza “delle lavoratrici e dei lavoratori nei luoghi di lavoro, mediante il riordino e il coordinamento delle medesime in un unico testo normativo”.

Le ragioni della rivisitazione sono molto chiaramente identificate nella “Relazione di accompagnamento” al d.lgs. n. 81/2008, ove è dato leggere quanto segue: “l’attuale regolamentazione è il risultato di una stratificazione di norme, molte delle quali di derivazione comunitaria, emanate nell’arco di quasi sessanta anni. Il sistema che ne è disceso è caratterizzato da una notevole complessità nonché strutturato sul modello della grande impresa, tanto da imporre alle aziende ed agli organi di vigilanza un approccio alla sicurezza unicamente per regole, tassative ed assistite da sanzione penale, e non per obiettivi. Ne sono derivati problemi di adattabilità alla realtà produttiva italiana, fondata sulle imprese di piccole o piccolissime dimensioni, in particolare nei settori (si pensi, per tutti, ai cantieri edili o alla agricoltura) nei quali l’utilizzo del lavoro nero ed irregolare determina una minore attuazione di cautele antinfortunistiche.Per tali ragioni il Governo ha perseguito con convinzione l’obiettivo della creazione di un “Testo Unico” di salute e sicurezza sul lavoro avente natura non solo compilativa ma anche innovativa del sistema vigente, al fine di perfezionarlo, nel rispetto della filosofia delle direttive comunitarie in materia e del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, il quale – come noto – trova i suoi capisaldi nella programmazione della sicurezza in azienda, da realizzare tramite la partecipazione di tutti i soggetti delle comunità di lavoro”.

Tale obiettivo andava, naturalmente, necessariamente perseguito in un contesto costituzionale radicalmente modificatosi nel 2001.

In particolare, va ricordato che l’articolo 117 della Costituzione, comma 3, quale risultante all’esito della legge costituzionale n. 3 del 2001, colloca tra le materie riservate alla potestà legislativa concorrente tra Stato e Regioni anche la “tutela e sicurezza del lavoro”, mentre il successivo comma 4 dispone — ribaltando la prospettiva precedente alla riforma del 2001 — che: “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”[1].

In ogni caso, rispetto alle materie di legislazione concorrente “la determinazione dei principi fondamentalientro i quali deve esplicarsi la potestà legislativa concorrente delle Regioni viene “riservata alla legislazione dello Stato” (comma 3, ultimo inciso, articolo 117 Cost.).

Per queste ragioni, la già citata “Relazione illustrativa” al d.lgs. n. 81/2008, rimarcava come la legge di delega (attuata dal d.lgs. n. 81/2008) prevedesse “non solo una operazione di riorganizzazione della normativa di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro bensì anche la rivisitazione della medesima materia attraverso l’armonizzazione di tutte le leggi vigenti in una logica unitaria ed innovativa e nel pieno rispetto delle previsioni dell’art. 117 della Costituzione, il cui terzo comma attribuisce alla competenza ripartita di Stato e Regioni la materia della “tutela e sicurezza del lavoro”.

Di conseguenza, sempre secondo la “Relazione illustrativa”, il “testo unico” identifica “come imposto dall’articolo 1, comma 1, della legge 3 agosto 2007, n. 123, i principi e i livelli essenziali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, che devono essere gli stessi sull’intero territorio nazionale, ferma restando la facoltà delle Regioni di esercitare la propria potestà legislativa concorrente, sempre in maniera tale da non intaccare complessivamente alcune garanzie di base che assumono un ruolo fondamentale in una materia come quella della salute e sicurezza del lavoro che riguarda beni di natura primaria costituzionalmente tutelati”.

In tale contesto risulta, quindi, fondamentale la formulazione del secondo capoverso dell’articolo 1 del d.lgs. n. 81/2008, il quale specifica che il decreto legislativo n. 81/2008 persegue le proprie finalità da un lato “nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia” e dall’altro in coerenza con l’assetto delle competenze tra Stato e Regioni, “garantendo l’uniformità della tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Attraverso il richiamo ai “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” il “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro dimostra di voler garantire l’assenza di diversificazioni di disciplina e assicurare, quindi, l’uniformità della disciplina legale in materia di sicurezza sul lavoro sull’intero territorio nazionale attraverso l’attribuzione allo Stato della legislazione sui “minimi di tutela” lasciando alle Regioni il compito di operare attraverso un sistema di opting out upwards, cioè unicamente tramite deroghe migliorative.

Tale interpretazione risulta rafforzata dalla lettura del comma 3 dell’articolo 1 della legge n. 123 del 2007, il quale imponeva al legislatore delegato di non prevedere alcun abbassamento dei livelli di tutela raggiunti, limite valido anche per i legislatori regionali. Resta inteso che, come puntualmente evidenziato dalla “clausola di cedevolezza” inserita al comma 2 dell’articolo 1 della legge n. 123/2007, le Regioni sono libere di disciplinare la materia liberamente sostituendosi — sempre nel rispetto dei livelli di tutela appena citati — alla normativa statale, espressione del “potere sostitutivo” dell’Amministrazione centrale, le cui regolazioni in materia sono destinate a perdere efficacia una volta che Regioni e Province autonome decidano di esercitare il loro potere legislativo.

2. Gli indirizzi sistematici del passato: una breve ricostruzione.

La dottrina giuslavoristica pronunciatasi sull’assetto costituzionale sopra richiamato ha in passato costantemente rimarcato come il testo dell’articolo 117 della Costituzione sia quanto meno di difficile interpretazione, se non addirittura “criptico in merito ai contenuti ed ai confini della competenza legislativa attribuita alle Regioni” (in questi termini M. Magnani, Il lavoro nel Titolo V della Costituzione, in ADL, n. 3, 2002, 646, la quale sottolinea altresì come tale ripartizione di materia in ambito lavoristico non risulti “essere stata oggetto di attenta discussione nei lavori parlamentari”).

In particolare, è stato sottolineato come tali problemi divengano ancora più complessi ove si consideri che il diritto del lavoro è una materia ove opera un sistema complesso di fonti, non solo legislative, che possono dirsi – in via di prima approssimazione – dirette a dare concretezza alla tutela di diritti fondamentali dell’individuo.

A fronte di tale realtà, il punto essenziale è quello di capire se ed in quale misura il diritto del lavoro in senso stretto, quello sindacale, quello della previdenza sociale e la salute e sicurezza sul lavoro continuino ad essere – a costituzione variata – materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato o se ed in quale misura, viceversa, debbano intendersi affidate alla legislazione concorrente Stato-Regioni oppure a quella esclusiva delle sole Regioni.

A tale riguardo, appare fondamentale individuare il concetto di “ordinamento civile” dello Stato (secondo comma, lettera l), dell’articolo 117 della Costituzione nel testo introdotto dall’art. 3 della legge costituzionale n. 3 del 2001) a fine di capire se in tale previsione debba farsi rientrare, in tutto o in parte, la materia del lavoro complessivamente e/o nelle sue singole partizioni considerata.

Con specifico riferimento all’espressione ordinamento civile”, ritengo necessario segnalare come la dottrina vi riconduca pressoché in maniera unanime l’intera disciplina del contratto e del lavoro subordinato[2] che risulterebbe in tal modo assistita da una riserva di legge statale, anche se gli interpreti si dividono sulle ragioni in base alle quali detta disciplina debba essere considerata come appartenente all’ “ordinamento civile” dello Stato. Così taluni hanno affermato semplicemente che farebbero parte dell’ “ordinamento civile” dello Stato tutte le materie regolate dal Codice civile e, comunque, tradizionalmente ricomprese nel diritto privato[3], altri hanno concluso nel senso appena esposto prescindendo da una interpretazione del dettato dell’articolo 117 della Costituzione (nel testo attualmente vigente) condotta secondi i canoni propri della legge ordinaria ed orientata dalla considerazione dei “principi fondamentali” enunciati dalla Costituzione (M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, op. cit., 26).

In particolare, secondo i fautori di tale seconda corrente di pensiero, la legislazione in materia di regolamentazione del rapporto di lavoro dovrebbe essere riservata al solo Stato in applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale nella vigenza del precedente testo dell’articolo 117 – ritenuti applicabili anche in relazione al nuovo dettato introdotto nel 2001 – e secondo i quali: “l’ordinamento del diritto privato si pone quale limite alla legislazione regionale, in quanto fondato sull’esigenza, sottesa al principio costituzionale di uguaglianza, di garantire nel territorio nazionale l’uniformità della disciplina dettata per i rapporti tra privati”[4]. Ne deriva, sempre seguendo l’orientamento appena considerato, che il diritto del lavoro strictu sensu non tollererebbe una differenziazione per territorio proprio in quanto la disciplina del rapporto di lavoro potrebbe davvero dirsi rispettosa del principio costituzionale di eguaglianza solo ove essa non sia differenziata per aree geografiche. In tale ottica, la materia della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro dovrebbe essere ricompresa tra quelle riconducibili al concetto di “ordinamento civile” in quanto trova la sua norma-cardine nell’articolo 2087 del Codice civile che è norma diretta a disciplinare i rapporti tra privati imponendo al datore di lavoro l’obbligo di apprestare ogni misura di tutela nei confronti dei propri prestatori di lavoro (M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, op. cit., 24).

Altra parte della dottrina è giunta ad una interpretazione parzialmente diversa del dettato costituzionale in commento, per quanto pur sempre diretta a dare coerente soluzione al problema della uniformità della disciplina legale in materia di sicurezza sul lavoro sul territorio nazionale. In particolare, vi è stato chi ha ritenuto che facendo leva sull’articolo 117, 2° comma, lettera m), della Costituzione, che, si ripete, attribuisce alla potestà legislativa esclusiva dello Stato “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti di diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, si potrebbe superare la apparente dicotomia tra “ordinamento civile” e “tutela e sicurezza sul lavoro” e ritenere attribuita allo Stato una legislazione sui minimi – che in determinati casi potrebbe spingersi fino alla normativa di dettaglio – lasciando alle Regioni il compito di modulare oltre il minimo la legislazione in materia di lavoro e sicurezza (M. Biagi, Il lavoro nella riforma costituzionale, in DRI, n. 2 , 2002, 157).

Al fine di avere un quadro di riferimento maggiormente completo e, al contempo, di comprendere bene la notevole complessità della questione dell’assetto delle competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro, può essere utile ricordare quanto accaduto ancora prima del 2008, in relazione al tentativo – poi fallito – di attuare la delega (anch’essa per la rivisitazione e la razionalizzazione della normativa di salute e sicurezza sul lavoro) di cui all’articolo 3 della legge n. 229 del 2003 (legge “di semplificazione” 2001), il cui termine ultimo era stato, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 306, prorogato al 30 giugno 2005.

Al fine di attuare tale delega era, infatti, stato approvato dal Consiglio dei Ministri, in data 18 novembre 2004, un articolato al tempo anch’esso comunemente definito come “Testo Unico” di salute e sicurezza sul lavoro. Tuttavia, il relativo schema di decreto, dopo essere stato trasmesso alle Commissioni XI e XII per i pareri di competenza, venne ritirato dal Governo nel mese di maggio del 2004. Tale decisione, oltre che frutto di valutazioni politiche indotte dalle posizioni critiche espresse dalla Conferenza Stato-Regioni alla seduta del 3 marzo 2005, venne adottata anche in ragione del parere espresso sulla bozza di articolato dal Consiglio di Stato in data 7 aprile 2005 (in Bollettino ADAPT del Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi”,n. 16, del 2 maggio 2005), il quale ha segnalato al Ministero proponente (quello del Lavoro e delle Politiche Sociali) l’opportunità di procedere ad una modifica dell’impostazione del testo di una così ampia rilevanza da far preferire al Governo il ritiro della bozza, la quale avrebbe tramite tali modifiche perso alcune delle sue più pregnanti caratteristiche.

In particolare, in tale parere il Consiglio di Stato, sul presupposto che nel caso di specie il principio di leale collaborazione tra lo Stato e le Regioni non avrebbe potuto operare in ragione del parere negativo (parziale, in quanto la Regione Lazio ed i Comuni avevano manifestato il proprio consenso) espresso sulla bozza di decreto legislativo in parola dalla Conferenza Stato-Regioni alla citata riunione del 3 marzo 2004, ha innanzitutto evidenziato come: “le prescrizioni finalizzate alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro non costituiscono (…) il frutto dell’autonomia contrattuale delle parti ma vengono eteroimposte”, non rientrando pertanto nell’”ordinamento civile dello Stato”, come invece sostenuto dal Ministero del Lavoro nei documenti illustrativi del “Testo Unico”, evidentemente in applicazione dell’orientamento sopra riportato. Ciò, specifica il Consiglio di Stato, a differenza di quanto attinente alla materia regolata dalla allora molto di attualità “Riforma Biagi” (la quale, come evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2005, è quasi del tutto riconducibile “alla disciplina intersoggettiva del rapporto di lavoro”).

Sulla base di tale presupposto logico, il parere citato ha “inquadrato” la totalità della materia della salute e sicurezza sul lavoro nell’area della concorrenza procedendo, quindi, ad una ampia dissertazione (tramite la rassegna della giurisprudenza della Corte costituzionale in materie connesse) su temi quali i “principi fondamentali”, le “clausole di cedevolezza”, la normativa “di dettaglio” e la attuazione delle direttive comunitarie.

All’esito di tale operazione, il Consiglio di Stato ha esposto testualmente quanto segue:

“- il legislatore statale può adottare solo norme costituenti principi fondamentali e non anche disposizioni di dettaglio, benché cedevoli;

– le disposizioni di dettaglio preesistenti restano in vigore con carattere della cedevolezza, fino a quando esse non vengono sostituite da nuove norme dettate dall’autorità dotata di competenza nel nuovo sistema;

– in relazione a tali disposizioni di dettaglio preesistenti, lo Stato non dispone della legittimazione ad innovarle, ma può solo svolgere un’attività meramente ricognitiva, fermo restando il carattere di cedevolezza delle disposizioni stesse.

A tali principi sempre il Consiglio di Stato ha aggiunto che:

nelle materie a legislazione concorrente, avendo lo Stato perduto la potestà regolamentare, le leggi previgenti, attributive della potestà regolamentare allo Stato, debbono ritenersi venute meno a seguito della emanazione del nuovo Titolo V della Costituzione che esclude che lo Stato possa disciplinare le materie predette nella loro intera estensione e, per giunta, a livello regolamentare (Cons. Stato, Ad. gen., 11 aprile 2002, n. 1/2002; 17 ottobre 2002, n. 5/2002);

– in sede di attuazione delle direttive comunitarie nelle materie attribuite alle Regioni o alle Province autonome in via esclusiva o concorrente, il potere sostitutivo attribuito allo Stato in caso di inadempimento da parte delle Regioni presuppone la possibilità che lo Stato possa intervenire in via preventiva adottando una normativa di carattere cedevole e ad efficacia differita alla scadenza dell’obbligo comunitario di attuazione della direttiva nei confronti delle sole Regioni inadempienti (Cons. Stato, Ad. Gen., 25 febbraio 2002, n. 2/2002)”.

Il parere del Consiglio di Stato, per quanto ormai risalente nel tempo, appare di particolare rilevanza perché reso su un testo – per quanto mai approvato – che esattamente come il d.lgs. n. 81/2008 costituisce un “codice” concernente la disciplina di una materia attribuita alla legislazione concorrente tra Stato e Regioni.

Ad esso, quindi, ritengo che si debba necessariamente guardare per comprendere le possibilità, le criticità e le ricadute di una possibile riforma della salute e sicurezza sul lavoro, che possa comprendere anche il mutamento, totale o parziale, delle competenza legislativa e/o istituzionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro.

Tale tema è di assoluta attualità, solo che si consideri che il disegno di legge di riforma della Costituzione che è stato presentato dal Governo Renzi prevede che la salute e sicurezza sul lavoro torni di competenza esclusiva dello Stato e che un documento di particolare importanza in materia, come la “Relazione finale” – approvata in data 15 Gennaio 2013 dal Senato della Repubblica[5] – predisposta da parte della Commissione parlamentare di inchiesta per gli infortuni sul lavoro, identifica tra le principali criticità del sistema di prevenzione italiano attuale la mancanza di uniformità degli indirizzi della Pubblica Amministrazione in materia di salute e sicurezza proponendo, come cercherò di esporre nel dettaglio nella seconda parte di questo contributo, una sostanziale devoluzione della vigilanza (se non proprio di tutta la competenza in materia) sulla salute e sicurezza allo Stato (in questo caso “rappresentato” da una Agenzia).

Avv. Lorenzo Fantini

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Competenze Stato-Regioni e Jobs Act: le prospettive di un mutamento

Competenze Stato-Regioni e Jobs Act: le prospettive di un mutamento

La competenza legislativa in materia di salute e sicurezza tra assetto attuale e possibili novità. Considerazioni sulla legislazione concorrente, sul Jobs Act e sulla possibile rivisitazione delle competenze istituzionali. Di Lorenzo Fantini.

(…)

3. La prospettiva di un mutamento delle competenze di Stato e Regioni in materia di salute e sicurezza

Nella prima parte di questo contributo ho cercato di fornire una – per quanto sintetica – ricostruzione storica e sistematica delle ragioni e dei contenuti della definizione, operata dal “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro, dell’assetto delle competenze tra Stato e Regioni in materia antinfortunistica.

Al riguardo, ritengo utile sottolineare come il tema del cambiamento delle competenze in materia di salute e sicurezza sul lavoro sia stato, negli anni successivi alla pubblicazione del “testo unico” di salute e sicurezza sul lavoro e del decreto “correttivo” (d.lgs. n. 106/2009) del d.lgs. n. 81/2008, di costante attualità, per ragioni non tanto di tipo dottrinale quanto, invece, più legate alla difficoltà di applicazione di una normativa non semplice nelle diverse parti del territorio italiano, troppo spesso interpretata dagli organi di vigilanza competenti in materia – i quali, va ricordato, sono ex lege le ASL ma anche, in taluni settori (edilizia su tutti) le Direzioni Territoriali del Lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, in altri, organi diversi (si veda quanto previsto all’articolo 13 del d.lgs. n. 81/2008) – in modo niente affatto uniforme nelle diverse Regioni o Province autonome.

In tale contesto, solo in parte mitigato dalla operatività (oggi apprezzabile, dopo un primo periodo di stasi nelle relative attività) della Commissione per gli interpelli in materia di salute e sicurezza (chiamata a fornire indirizzi operativi comuni agli organi di vigilanza di Stato e Regioni su temi di natura generale discussi in materia di salute e sicurezza sul lavoro) prevista dall’articolo 12 del d.lgs. n. 81/2008, si è sempre più diffusa tra gli operatori la convinzione che sia opportuno se non addirittura necessario un mutamento almeno dell’assetto istituzionale – se non proprio delle competenze legislative – della salute e sicurezza sul lavoro, con particolare riferimento alle attribuzione della titolarità della vigilanza in materia.

Al riguardo, valore paradigmatico va attribuito alle ampie considerazioni svolte al punto 2.5. della “Relazione finale”, approvata in data 15 Gennaio 2013 dal Senato della Repubblica[6], da parte della Commissione parlamentare di inchiesta per gli infortuni sul lavoro, che si riportano – parzialmente – di seguito.

2.5. La proposta della Commissione. L’istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro

In vista della scadenza del suo mandato, la Commissione d’inchiesta ha sentito come suo dovere non solo la necessità di segnalare l’esistenza di una serie di difficoltà e di ritardi nel coordinamento e nella cooperazione tra gli organismi statali e periferici del sistema della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, ma anche l’esigenza di individuare e suggerire, al Governo e al Parlamento, possibili soluzioni. La prima ipotesi presa in considerazione è stata quella di una proposta di modifica dell’articolo 117 della Costituzione per riportare alla competenza esclusiva dello Stato la potestà legislativa in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Si trattava certamente di una proposta «forte», in quanto incideva direttamente sull’assetto del nostro sistema istituzionale e, come tale, è stata oggetto di un’ampia riflessione all’interno della Commissione.

Con questa proposta di revisione costituzionale non si intendeva tuttavia sottrarre competenze o poteri alle Regioni e alle Province autonome, in nome di una malintesa forma di statalismo o centralismo, bensì piuttosto ripristinare le condizioni per l’esercizio di un effettivo potere di indirizzo e di programmazione nelle politiche a favore della salute e sicurezza sul lavoro, capace di dispiegarsi in maniera univoca su tutto il territorio nazionale, per assicurare uguali livelli di tutela di diritti che – è bene ribadirlo – sono costituzionalmente garantiti. Un potere di questo tipo potrebbe essere esercitato soltanto dallo Stato, ma non andrebbe ad interferire con le altre attribuzioni spettanti alle Regioni in questo settore, considerato tra l’altro che l’azione amministrativa – ossia le concrete competenze operative, volte a tradurre in pratica gli indirizzi politici – dovrebbe necessariamente esplicarsi a livello locale, come prevede del resto anche l’articolo 118, primo comma, della Costituzione, in applicazione del principio di sussidiarietà.

Questa posizione trova conforto nel confronto con l’assetto normativo di altri Paesi. All’inizio della XVI legislatura, la Commissione d’inchiesta ha svolto un’apposita indagine in tre Paesi dell’Unione europea (Germania, Francia e Regno Unito), dalla quale è risultato che in tutti e tre gli Stati la potestà legislativa in materia di “tutela e sicurezza del lavoro” è di esclusiva competenza statale, anche in una nazione di marcata impronta federalista come la Germania.

In realtà, sul tema della competenza legislativa si confrontano, legittimamente, due distinte posizioni, fra chi ritiene che essa dovrebbe essere appunto ricondotta in via esclusiva allo Stato, per assicurare una effettiva uniformità di indirizzo, e chi invece sostiene l’opportunità che essa rimanga concorrente fra lo Stato e le Regioni e Province autonome, per garantire una più efficace attuazione in ambito territoriale. Si tratta ovviamente di un tema complesso, che si iscrive nel più generale dibattito sulla ridefinizione dei rapporti e delle competenze tra lo Stato centrale e gli enti locali, intorno al quale esistono opinioni e sensibilità diverse”.

La Commissione prosegue ricordando come le criticità da lei stessa riscontrate nel corso degli anni siano state decisamente negate dalle Regioni a tale scopo audite e, tenendo conto delle medesime, formalizza la proposta che testualmente di seguito si trascrive:

“Come risulta da questa ampia illustrazione, il sistema delle Regioni e delle Province autonome è dunque fermamente contrario ad una revisione dell’articolo 117 della Costituzione, ritenendo che essa non risolverebbe i problemi indicati dalla Commissione d’inchiesta, che andrebbero invece affrontati con interventi volti a rafforzare il coordinamento e la leale collaborazione tra le amministrazioni centrali e periferiche nelle sedi istituzionali già esistenti. Ciononostante, le Regioni hanno comunque riconosciuto l’esistenza di un problema generale, che è appunto quello di assicurare una più efficace uniformità di indirizzo politico e quindi di azione sia a livello nazionale che territoriale, anche se le valutazioni divergono riguardo alle possibili soluzioni.

Nel prendere atto della posizione del sistema regionale, la Commissione ha avviato lo studio di una soluzione alternativa che, senza incidere sul riparto delle competenze costituzionali in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, possa tuttavia fornire correttivi all’attuale situazione, nella convinzione che occorra comunque prevenire quei rischi di eccessiva dispersione e disomogeneità dell’azione amministrativa che – è bene ripeterlo – sono emersi in modo chiaro durante l’inchiesta, in particolare attraverso la ricognizione diretta svolta in tutte le Regioni d’Italia negli ultimi due anni.

Si è già spiegato che nell’attuale assetto istituzionale il coordinamento a livello centrale delle attività di prevenzione e di vigilanza per la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro spetta al Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale dell’attività di vigilanza, previsto dall’articolo 5 del Testo unico. Tuttavia, per le difficoltà già indicate, il Comitato non ha potuto finora svolgere appieno questa funzione, il che costituisce un oggettivo elemento di debolezza del sistema e impone un ripensamento della natura e degli strumenti a disposizione di questo organismo. Come si è già accennato nel paragrafo 2.3, partendo da tale assunto, dopo un’attenta riflessione la Commissione d’inchiesta ha elaborato una proposta, mirante a sopprimere il Comitato e a sostituirlo contestualmente con una nuova «Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro», che ne assumerà le funzioni. L’Agenzia eserciterà tali attribuzioni, e in particolare quella della programmazione e del coordinamento delle attività di prevenzione e di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, con un rafforzamento dei relativi poteri rispetto all’assetto vigente. I diversi aspetti dell’iniziativa sono stati esaminati in particolare nelle sedute del 14 e del 21 novembre 2012 e hanno condotto alla predisposizione di un testo normativo che, su iniziativa del presidente Tofani e dei componenti della Commissione, è infine confluito nel disegno di legge n. 3587, presentato in Senato il 27 novembre 2012 e intitolato «Istituzione dell’Agenzia nazionale per la salute e la sicurezza sul lavoro».

La scelta di proporre questa soluzione si rende necessaria proprio alla luce delle considerazioni precedenti: il sistema della prevenzione disegnato dal Testo unico è infatti necessariamente complesso e articolato, coinvolgendo le competenze di una pluralità di soggetti istituzionali e sociali. Serve quindi una modalità di raccordo più forte, che possa fare da sintesi tra le diverse istanze e, contemporaneamente, dare impulso alle varie attività di prevenzione e di contrasto agli infortuni e alle malattie professionali. Al riguardo, la Commissione ha ritenuto che tale compito possa essere meglio assolto da un organismo dedicato, che sia al tempo stesso operativamente snello e dotato di adeguate competenze e risorse.

La formula dell’Agenzia, già prevista e presente nel nostro ordinamento con compiti di supervisione e controllo in vari settori di pubblico interesse (si pensi, solo per fare un esempio, all’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie), è apparsa quindi la scelta più idonea a soddisfare queste esigenze”.

La Commissione, dopo aver esplicato nel dettaglio la proposta (effettivamente confluita in un vero e proprio disegno di legge), conclude sul punto formulando: “L’auspicio (…) che questa iniziativa possa trovare il sostegno convinto di tutte le istituzioni e le forze politiche e sociali del Paese, per giungere ad una sua rapida attuazione nella prossima legislatura, e contribuire così in questo modo ad una più efficace azione di prevenzione e contrasto agli infortuni e alle malattie professionali”.

(…)

Avv. Lorenzo Fantini

Link diretto all’articolo integrale di PuntoSicuro e al link per visualizzare il breve saggio presentato…


 

[1] Per un approfondimento dei temi legati a tale — indubbiamente problematica — ripartizione di competenze si rinvia, per tutti, a Persiani, Devolution e diritto del lavoro, in ADL, 2003, 19

[2] Per tutti, si rinvia a M. Persiani, Devolution e diritto del lavoro, in ADL, n. 1, 2002, 19

[3] Così, per tutti, M.G. GAROFALO, Pluralismo, federalismo e diritto del lavoro, in RGL, 2002, II, 410, secondo il quale: “sono esclusi dall’espressione solo i rapporti tra soggetti pubblici in quanto tali e l’esercizio delle potestà pubbliche nei confronti dei cittadini”),

[4] Corte cost., 6 novembre 2001, n. 352; Corte cost., ord. 23 giugno 2000, n. 243; Corte cost., 24 luglio 1998, n. 326; Corte cost., 1° aprile 1998, n. 82; Corte cost., 24 luglio 1996, n. 307; Corte cost., 27 luglio 1995, n. 408; Corte cost., 23 dicembre 1994, n. 441

[5] Disponibile, quindi, nel relativo sito, ma anche in www.olympus.uniurb.it

[6] Disponibile, quindi, nel relativo sito, ma anche in www.olympus.uniurb.it